Passeggiate ladine

Zaino in spalla e scarponi ai piedi, in Val Gardena si cammina a volontà tra vette imponenti esplorate dai montanari di ieri e di oggi, storici rifugi, boschi e pascoli che offrono viste tra le più celebrate delle Dolomiti.

Indice dell'itinerario

Sua Maestà il Sassolungo sorveglia la Val Gardena da sempre. La gigantesca montagna che alpinisti ed escursionisti di lingua tedesca chiamano Langköfel e i ladini conoscono con il nome di Sasslònch sorveglia con la sua impressionante parete nord, alta 1.000 metri e più, i dossi del Monte Pana e del Mont de Sëura, percorsi d’inverno da magnifiche piste da sci, e la Città dei Sassi di Passo Sella.
Più a sud, verso la Val Duròn e il Col Rodella, fanno corona alla cima principale altre montagne – le Cinque Dita, la Punta Grohmann, la Torre Innerkofler, il Dente – che la vicinanza del fratello maggiore mette inevitabilmente un po’ in ombra. Da nord, tra la vetta principale e il Sassopiatto, s’insinua il severo Vallone del Sassolungo, occupato da nevai per buona parte dell’estate: qui anche l’escursionista più pigro può entrare in uno dei luoghi più segreti e selvaggi dei Monti Pallidi, raggiungendo l’antico rifugio Vicenza. Verso ovest, invece, le due vette sorvegliano i pascoli dell’Alpe di Siusi e disegnano una delle viste più famose e fotografate delle Alpi.
L’imponenza della grande montagna, però, si coglie soprattutto dalla Val Gardena. Elegantissimo se lo si osserva da Ortisei, dove si erge a sfondo della chiesa, dei vecchi alberghi del centro, della passeggiata intitolata al regista Luis Trenker che sfrutta la massicciata della vecchia ferrovia, il Sassolungo diventa meno opprimente da Selva, il più alto dei tre paesi della valle, da cui acquistano imponenza anche le torri della Vallunga e la bastionata del Sella.
A guardarlo da Santa Cristina, invece, il Sassolungo è semplicemente la montagna ideale. Se la parete nord si coglie di profilo, acquistano visibilità e imponenza le torri della cresta sommitale, i pilastri che le sorreggono, le guglie minori (si fa per dire) tra le quali spicca l’affusolato Salame. Non è un caso che il Sasslònch, da un secolo e mezzo bandiera del turismo in Val Gardena, sia considerato nelle quattro valli ladineFassa, Livinallongo, Badia e per l’appunto Gardena – come il simbolo di un popolo fieramente attaccato alla sua terra.
«Sono arrivato per la prima volta sulla cima a dodici anni, ho aperto sulle pareti e sulle vette vicine una sessantina di itinerari. Ma continuo a essere affascinato da questa montagna, che rimane una delle più grandi, belle e misteriose delle Alpi» spiega Ivo Rabanser, guida alpina e albergatore di Santa Cristina, che si trova il Sassolungo davanti ogni volta che si affaccia dalle finestre di casa.
Agli escursionisti, invece, il Sasslònch ispira un certo timore. Anche se gli impianti del Ciampinoi, del Mont de Sëura e del Piz Sella portano in quota ogni giorno centinaia di persone, la maggior parte non si allontana dalle piste da sci e dai sentieri ben tracciati che corrono tra pini cembri e larici ai piedi della parete nord. Solo una minoranza, traversato il Plan da Cunfìn, sale verso il rifugio Vicenza e il Vallone del Sassolungo.
Verso sud, in vista della Val Duròn, della Valle di Fassa e della Marmolada, le rocce sono più lontane e assolate, e dominano sereni pendii di pascoli su cui crescono abbondanti le stelle alpine. Esplorato da re Federico Augusto di Sassonia, il versante meridionale del massiccio è tagliato dal frequentatissimo sentiero che ricorda il sovrano nel nome e collega il Passo Sella e il Giogo di Fassa, accesso all’Alpe di Siusi; accanto al rifugio Friedrich August brucano le pelose vacche di razza Highlander importate qualche anno fa dal gestore Günther Prinoth, e che si sono ben ambientate da queste parti.Ma in Val Gardena non c’è solo il Sassolungo. Di fronte alla montagna, facili sentieri zigzagano tra le foreste di pino cembro e i pascoli della conca di Cìsles, dominata dalle Odle, e tra i boschi di pino silvestre della Rascìesa, dove l’abbandono di un antico rifugio non ha ridotto l’afflusso di escursionisti verso un altro celeberrimo belvedere. La cabinovia che sale da Ortisei a Furnes dà invece accesso al sentiero che scavalca il Passo Brògles e scende all’omonimo rifugio ai piedi delle Odle: un percorso che diventa favoloso al tramonto, quando le Fermede e la Furchetta si colorano di rosso e d’oro.
Dal Passo Gardena altri frequentati sentieri salgono verso il Sella o le guglie del Puez. Il primo è riservato a chi ha esperienza di montagna: le celebri ferrate Tridentina e delle Mèsules si svolgono su terreno verticale ed esposto, e possono essere affrontate dagli inesperti solo legandosi alla corda di una guida. Il sentiero del rifugio Cavazza, che sale dal Passo Gardena per la Val Setùs, offre difficoltà minori ma comprende una breve scarpata attrezzata (imbragatura, moschettoni e cordini sono consigliati per autoassicurarsi agli infissi).
Non c’è bisogno di ferri e corde, invece, per apprezzare le atmosfere del Pùez. Dal Passo Gardena o dalla cabinovia Dantercëpies un ripido sentiero porta in mezz’ora al Passo Cir; qui si può scegliere tra la solitaria Val Chedùl, sorvegliata dai Pizzes da Cir, che scende verso la Vallunga e di Selva, e la risalita verso la Forcella di Crespeina e l’omonimo laghetto. Proseguendo ci si affaccia sulle Dolomiti venete, si scopre la Val Badia, poi si torna sul versante gardenese e si arriva al rifugio Puez, circondato da dolcissimi pascoli e affacciato sulla scarpata che chiude la Vallunga.
Quest’ultima, che si raggiunge in pochi minuti da Selva, è il luogo più amato dai veri frequentatori della Val Gardena. All’imbocco, la Scuola Alpina dell’Arma dei Carabinieri ospita per una o più settimane ogni estate le vacanze dei capi dello Stato: a inaugurare la tradizione è stato Sandro Pertini, oggi Carlo Azeglio Ciampi segue con entusiasmo il suo esempio. Verde, bucolica e dolce, la valle conserva la deliziosa chiesetta di San Silvestro e vede snodarsi d’inverno una delle più belle piste di fondo dei Monti Pallidi, mentre d’estate offre una godibile passeggiata alla quale si può abbinare piacevolmente il ripido sentiero che sale ai ruderi del castello von Wölkenstein. Molto più in alto, sopra alle gialle pareti della Steviòla, occhieggia sulla valle l’aereo rifugio Stevìa.
Chi non vuole puntare verso le cime può salire da Santa Cristina ai masi Ulëta o da Ortisei alla chiesa di Sankt Jakob, decorata da bellissimi affreschi e affacciata sull’ennesimo panorama del Sassolungo. Da Passo Gardena si può scendere a piedi verso Selva toccando il Plan de Frea e il grande masso erratico del Sas d’l Moro, ai piedi del quale è stato scavato un insediamento dell’Età del Bronzo. Quando il tempo volge al brutto si possono visitare le botteghe degli innumerevoli scultori in legno o il museo della valle che sorge nel centro di Ortisei.
«Noi ladini siamo un popolo strano, e l’avere una lingua diversa ci ha reso ancora più solitari» sorride Stefan Planker, direttore del Museo della Val Gardena e del Museo Ladino della Val Badia. «In passato, per sopravvivere, ogni valle ha sviluppato un artigianato diverso: legno in Val Gardena e in Val Badia, mobili dipinti in Val di Fassa, filigrana a Cortina. Oggi, se si considera l’inglese, i ragazzi studiano quattro lingue. Non ci sono solo montagne: queste sono le valli più colte d’Europa».

PleinAir 396/97 – luglio/agosto 2005

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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