Passaggio in India

Un'esperienza fuori dall'ordinario per conoscere una realtà altrettanto straordinaria: colti dal vero lungo le infinite strade di un paese grande dieci volte l'Italia, alcuni ritratti della cultura, dei paesaggi, della vita quotidiana nella terra del Mahatma Gandhi.

Indice dell'itinerario

Con altri occhi
Se non siete mai stati in India non potete immaginare neanche lontanamente cosa vuol dire guidare in questo paese. Per rendere l’idea non basta dire che guidano anche contro mano, che vi sorpassano da tutte le parti, che vi tagliano la strada, che non si spostano dalla corsia di sorpasso, che suonano il clacson come dei forsennati, che sulle superstrade a doppia corsia di marcia si incontrano biciclette, risciò, pedoni, animali, carri trainati da buoi, o che di sera tanti non hanno le luci né anteriori né posteriori.

Ma dove siamo capitati? Gente dappertutto, in città e in campagna, che si sposta da un posto all?altro a piedi o con ogni mezzo immaginabile; un miliardo e ottanta milioni di abitanti, una cifra che fa spavento solo a leggerla, ma solo se ti ci trovi in mezzo ti rendi conto di cosa vuol dire. Cosa fa tutta questa gente? Ha un lavoro e di che vivere? Troveremo presto le risposte a queste domande, perché basta guardarsi intorno per comprendere una realtà che si manifesta in tutta la sua drammaticità.
L’impatto è brusco, pur arrivando preparati al peggio. Bisogna trovare un rifugio dove poter smaltire a piccole dosi la ridda di emozioni che ti assale di fronte a certe situazioni. E il rifugio ci viene offerto dalla Smiling Children’s Home, un piccolo orfanotrofio nella campagna dell’Andra Pradesh, a 20 chilometri da Vijayawada, a ridosso dell’aeroporto: una minuscola oasi nel deserto di fame che tormenta l’India.

Questo piccolo mondo ci ha offerto la possibilità di entrare a contatto con l’aspetto più genuino di questo paese, lontani dal turismo di massa; giorno dopo giorno abbiamo potuto osservare la vita degli abitanti, le loro misere esigenze, e la fatica che occorre a soddisfarle. Il punto d’osservazione è limitato, certo, ma l’India è fatta di piccoli mondi che si giustappongono, si confrontano, si scontrano, sfilando per centinaia di chilometri dietro il finestrino dell’auto o del treno. La città inganna col suo traffico di veicoli e pedoni indaffarati, stanca con la frenesia dei negozi e delle strade su cui è impossibile camminare perché non ci sono marciapiedi: è nei villaggi che si coglie l’aspetto più intimo di questo paese, in mezzo agli abitanti, camminando per le sue strade impolverate dove galline, bufali, maiali, scrofe con i loro piccoli, carri tirati da buoi sono incontri comuni.

Andhra Pradesh: presente e futuro
Siamo nello stato meridionale dell’Andhra Pradesh, secondo in ordine di grandezza solo al Maharashtra. L’odierna popolazione si dichiara discendente dagli Andhra, una civiltà già fiorente nel II secolo avanti Cristo; l’antica lingua locale, il telugu, viene gelosamente protetta fin dai tempi della colonizzazione inglese, nel segno di un’irrinunciabile unicità culturale.
Il tratto costiero si estende per più di 400 chilometri, e le pianure centrali sono occupate da numerose piantagioni. Verso l’interno la catena dei Ghati orientali e l’altopiano del Deccan rappresentano una delle più antiche formazioni geologiche dell’India; qui, a 500 metri sopra il livello del mare, si concentra la maggior parte della popolazione dell’Andhra Pradesh. I fiumi Godavari e Krishna rappresentano, dopo i monsoni, la principale risorsa idrica: sono numerosi i canali che da essi si diramano per attraversare le campagne.

La principale attrattiva è per noi naturalmente lo Smiling Children’s Home, il centro che ospita il bambino che abbiamo adottato (vedi Approfondimento), ma scopriamo ben presto che la capitale dello stato, Hyderabad, è pronta a offrirci altre meraviglie.
Quattro milioni e mezzo di abitanti, suddivisi tra le comunità hindu e musulmane protagoniste a volte di momenti di tensione, fanno di Hyderabad la sesta città dell’India. Sorta nel 1590 per volere dallo shah Muhammad Quli Qutb, che si era trovato costretto ad abbandonare la vicina Golconda per scarsità d’acqua, divenne ben presto il centro principale dell’India musulmana richiamando gente da tutti gli altri stati islamici. L’abbondanza di gemme rare e minerali consentì ai nizam, i regnanti, di accumulare ingenti fortune, ma anche di diffondere arte, cultura e sapere. Alcuni tra i più ricchi sovrani del mondo vissero qui, e in questa zona fu trovato il famoso diamante Koh-i-noor. Ancora oggi Hyderabad è famosa per i numerosi negozi che vendono perle e lavori di oreficeria. Per muoverci in città optiamo per un’auto a noleggio con autista, soluzione che ci costa 1100 rupie, 20 euro, una cifra spropositata per gli standard locali, ma preferibile alla prospettiva di perdersi nel tentativo di muoversi con gli autobus locali. Undici chilometri di possenti mura: doveva essere una meraviglia, all’epoca, il forte di Golconda, edificato usando enormi massi incastrati con una perizia che richiama alla memoria simili costruzioni dell’America meridionale. Abul Hasan, ultimo sovrano della dinastia dei Qutb Shahi prima dell’avvento dei moghul, resistette per otto mesi all’assedio dell’armata dell’imperatore Aurangzeb; solo il tradimento di un suddito che lasciò aperto un varco permise all’esercito nemico di ovviare all’ostacolo delle possenti porte dalle enormi punte di ferro, studiate per impedire agli elefanti di abbatterle. Ora l’antica cittadella sorge alla periferia ovest della città e per raggiungerla si attraversano chilometri di territorio militare, occupato da caserme e terreni d’istruzione. La prima curiosità del luogo ci viene indicata dalla guida: qualunque suono prodotto sotto il grande portico d’ingresso si propaga per tutto il forte, salendo di costruzione in costruzione fino al tempio di Mahakali, in cima dell’altura granitica, producendo una poderosa eco. Più faticosa è invece la salita per i visitatori, che devono affrontare scalini e passaggi tra un quartiere e l’altro. Le mura esterne non sono l’unica meraviglia: altri due ordini di mura interne fungevano da cuscinetto prima di avere accesso al forte. L’approvvigionamento idrico era garantito da un sofisticato sistema che di tubature in terracotta mista a vetro che si diramava per tutti gli edifici: palazzi, harem, arsenali, caserme la cui maestosità può essere ancora oggi ammirata, a dispetto dei danni portati dall’assedio, dal tempo e dall’incuria cui sono andati soggetti.
La visita continua con le tombe dei sovrani Qtub Shahi, sormontate da cupole così imponenti da essere visibili per chilometri all’esterno del forte.

Tra le visite di maggiore interesse nel caos di Hyderabad, il museo Salar Jung Museum ospita l’impressionante collezione di oggetti provenienti da ogni parte del mondo raccolta da uno dei gran visir del regno: tra i 35mila pezzi ci sono sculture, incisioni, oggetti religiosi, manoscritti, armi e armature, e gli abiti e ornamenti degli imperatori moghul. Spostandoci verso le due colline gemelle della città, lungo una strada adornata da sculture che ritraggono le divinità del Mahabharata e del Ramayana, giungiamo al Birla Mandir, un tempio hindu in marmo bianco del Rajastan di recente costruzione, che mescola in maniera mirabile gli stili architettonici dell’India settentrionale e meridionale. E’ dedicato al Signore Venkateshwara, e insieme al lago Hussan Sagar su cui affaccia, dominato dall’enorme statua del Buddha, è una popolare meta di pellegrinaggio.

Scendiamo di nuovo nel caos, alla volta di Charminar, emblema e principale punto di riferimento di Hyderabad. Il termine significa “quattro torri”, e indica i quattro minareti della moschea. Quattro grandi colonne sorreggono la struttura su cui si aprono quattro archi trionfali rivolti verso i quattro punti cardinali. La parte superiore ospita la piccola moschea, la parte inferiore è invece accessibile ai visitatori; non siamo fortunati abbastanza da poter salire sui minareti, che troviamo chiusi per lavori di ristrutturazione. Di fronte al Charminar sorge Mecca Masjid, una delle moschee più grandi al mondo, che può ospitare fino a 10.000 fedeli; ne deturpano l’aspetto lo stato di incuria e le grandi strutture in ferro innalzate per impedire l’ingresso agli uccelli. Nella zona del Charminar, tra gli stretti vicoli che lo circondano, il Laad Bazaar offre animazione, confusione, merci e colori di ogni tipo. Di qualche interesse per il visitatore anche l’edificio che ospita l’università, innalzato in uno stile ibrido tra quello hindu e quello perso-arabico.
Il lago offre qualche svago al visitatore: si può optare per un giro in barca alla volta della statua del Buddha, assicurandosi anche un momento di frescura nell’afa cittadina, oppure sfidare il caos del traffico sul lungolago per guardare le statue di bronzo erette in onore dei personaggi storici più significativi dell’Andhra Pradesh. Nei dintorni di Hyderabad, meritano una visita il Ramosi Film City, un centro cinematografico secondo solo a Bombay per volume di produzioni, e Hitec City, la nuova meraviglia tecnologica che sorge a 30 chilometri dalla città. Gli edifici futuristici e le torri in vetro che ospitano le centinaia di società di software costituiscono uno stridente contraltare all’estrema povertà incontrata in tante città e villaggi, un fiume di denaro in una realtà quotidiana fatta di lavoro durissimo e sofferenze infinite per guadagnarsi la mera sopravvivenza. Vijayawada non ci offre grandi spunti di interesse; fanno eccezione un paio di piccoli templi hindu ricavati nella roccia e il moderno tempio Kanaka Durga, centro di pellegrinaggio eretto presso il fiume Krishna in onore della dea che salvò la città dai demoni che la infestavano. Qualche suggestione la offre anche una passeggiata al tramonto sul Prakasam Barrage, la diga sul bacino artificiale del Krishna; poco distante, i fedeli scendono sulle sponde per bagnarsi nelle acque terapeutiche del fiume creato da Shiva. Nei dintorni della città, oltre il fiume, meritano una visita gli antichi templi rupestri di Undavalli dedicati ad Anantasayana (altro nome di Vishnu) e alla Trimurti, la sacra triade hindu; di sapore squisitamente buddhista sono invece il centro di Amaravathi, antica capitale del regno, e il suo piccolo museo dedicato all’Illuminato. La città di Kondapalle, a 20 chilometri a nord-ovest di Vijayawada, deve invece la sua fama agli artigiani specializzati nella pittura del legno.

Prendiamo congedo dalla regione ripensando a quell’enorme teatro all’aperto che è la vita quotidiana in questi luoghi. Ripensiamo ai calzolai, sarti, meccanici, venditori, tutti in strada col loro mestiere, su un palcoscenico lungo chilometri che attraversa città e villaggi. Ripensiamo alla pazienza e alla calma degli indiani, e al fitto brulichio dei continui spostamenti di persone e animali: è un popolo in marcia, pronto a ogni sopportazione. Ci soffermiamo su quadretti rurali, con gente minuta china nelle risaie, o carica di fascine di legna sulla testa, o, ancora, al pascolo con le bufale, in mezzo al traffico dei veicoli. E’ la vita povera dei contadini, che decorano la soglia delle loro case con fantasiosi disegni: si tratta dei kolam, fatti con farina di riso e gesso in occasione della fine della stagione dei raccolti.

Kerala: luoghi di speranza
La prospettiva di tre scali e lunghe attese non lascia dubbi: raggiungeremo il Kerala con il treno espresso omonimo. Ci attendono 24 ore di viaggio (e qualche ora di ritardo) in una cuccetta a quattro posti di seconda classe a bordo di un treno che parte da Delhi e attraversa il paese. Abbiamo così modo di constatare come lo scenario cambi quasi per magia entrando in Kerala: non più villaggi di capanne, ma casette singole in mattoni e muratura con tetti di tegole, circondate da palme massicce ed enormi antenne paraboliche. La nostra conoscenza del Kerala si basa sulla triste vicenda de Il Dio delle Piccole Cose di Arundhati Roy, originaria di un paesino nei pressi di Kochi. Confinato dalla catena dei Ghati Occidentali nell’estrema punta meridionale del paese, il Kerala ha trovato nel mare il suo naturale sbocco, sviluppando una vocazione commerciale fin dai tempi dei Fenici: da allora si sono avvicendati Romani, arabi, cinesi, e ancora portoghesi, olandesi e inglesi, in gara per impossessarsi di queste terre ricche di spezie. I ripetuti contatti con civiltà diverse, uniti all’alto livello medio di scolarizzazione garantito dai maharaja, hanno permesso agli abitanti del Kerala di raggiungere un grado di sviluppo eccezionale, con una percentuale altissima di alfabetizzati, e una tradizione politica di stampo progressista.

Il treno ci deposita a Trivandrum, ma preferiamo evitare il pernottamento in una città, per quanto ordinata e pulita rispetto alla media, e percorriamo in taxi i pochi chilometri che ci separano da Kovalam, una località in riva al mare.
Siamo in uno stato che vanta i più bei litorali dell’India, e Kovalam ne offre uno: ci riprendiamo dalle 27 ore di viaggio godendoci il tramonto sulla spiaggia, tra le palme e la risacca, a pochi passi dal nostro albergo. Questa non è più la Kovalam che trent’anni fa ospitava hippy europei e pescatori locali ma, nonostante i negozi e gli alberghi, riesce ancora a dare l’illusione del paradiso, specialmente quando le sue stradine pedonali non sono affollate di turisti come accade a dicembre. La vita si svolge tra la spiaggia e la striscia pedonale che passa di fronte negozi e alberghi. Nei ristoranti vengono serviti a prezzi irrisori pesce freschissimo e crostacei giganti, che i clienti scelgono tra quelli in mostra di fronte a ogni esercizio, valutandone il prezzo prima di fare l’ordinazione. A pranzo si può optare di rimanere in spiaggia con un ricco piatto preparato da una venditrice di frutta; da qui si può osservare il lavoro dei pescatori, che faticosamente tirano in barca reti pesantissime, con un bottino spesso magro: il vero pescato è quello che si ottiene di notte, al largo, dove centinaia di imbarcazioni illuminate in fila danno l’illusione di una terraferma sul mare. Utilizziamo Kovalam come base per escursioni di una giornata, prima verso Trivandrum, e poi verso il capo di Kanyakumari, sull’estrema punta dell’India, dove confluiscono le acque dell’Oceano Indiano, del Mare Arabico e del Golfo del Bengala. In questo punto in cui si fondono sacralità e suggestione sono state sparse in mare le ceneri del Mahatma Gandhi, ed è meta di pellegrinaggio da parte degli hinduisti, che ritengono sacre queste acque verdastre, agitate da vento e correnti. In molti vi si recano in occasione del plenilunio di aprile per assistere allo spettacolo della luna che sorge sulla scia del tramonto del sole.
Poco al largo del porto si trovano due isolotti: sul primo si erge un’enorme statua di recente costruzione di Thiruvalluvar, autore del Thirukkural, uno dei testi cardine della letteratura tamil, mentre il secondo ospita il memoriale, dallo stile eclettico, dedicato a Swami Vivekananda, che nel XIX secolo influì radicalmente sui principi dell’hinduismo, contribuendo alla sua espansione anche al di fuori dei confini indiani.

Proprio i 90 chilometri di strada che da Kovalam porta a Kanyakumari, o Cape Comorin, com’era più conosciuto ai tempi della dominazione inglese, sono l’occasione per alcune soste interessanti, lungo un percorso che corre dritto tra piantagioni, laghetti punteggiati da fiori di loto e colline dalle incredibili sfumature che vanno dal blu al rosa. A metà strada ci fermiamo per una visita al palazzo di Padmanabhapuram, sede dal XVI al XVIII secolo dei regnanti di Trivancore, il principato che un tempo comprendeva buona parte del moderno territorio del Kerala, e la costa occidentale del confinante Tamil Nadu. L’edificio, realizzato in tek e granito locali, ci colpisce per l’evidente influenza cinese, l’eleganza delle forme, e la ricercatezza di soffitti, finestre e pavimenti.
Meno conosciuta di Kovalam, la località balneare di Varkala gode però di una posizione e di una natura altrettanto belle. La parte che si sviluppa sulla scogliera è estremamente caratteristica, e la spiaggia, nonostante l’accesso un po’ difficoltoso, offre un suggestivo colpo d’occhio sulle capanne e i ristoranti riparati dalle foglie di palma.

L’entusiasmo che il Kerala ha già suscitato in noi viene rafforzato dall’escursione nelle backwater, l’area coperta da lagune e canali. Le visitiamo in battello, approfittando del ritmo lento per osservare e fotografare la vita sulla riva: persone intente nella pesca o nel bucato, nelle abluzioni personali o in lavori di carpenteria, e ancora galline, mucche, bufali e maiali che girano liberamente tra le palme e nelle aie delle fattorie, in uno spettacolo lungo 80 chilometri. L’escursione può essere fatta anche a bordo di imbarcazioni simili alle kettuvallam, tipiche chiatte da trasporto locali, con destinazione finale a Channgannasery, una piccola Venezia dei tropici: queste barche, che ospitano fino a otto persone, possono anche essere noleggiate per più giorni. Per raggiungere le isole su cui sorge Kochi dobbiamo rinunciare al treno, e arrivare in corriera fino a Ernakulam, la sua appendice commerciale sulla costa; da qui raggiungiamo in traghetto Fort Cochin, la parte vecchia. Questa città rappresenta un esempio mirabile di convivenza pacifica tra etnie e religioni: all’originaria popolazione malayalam si sono mischiati, nei secoli, musulmani, cinesi, colonizzatori europei, e persino una piccola comunità israelitica, stabilitasi qui nel 52 d.C., contemporaneamente al primo insediamento cristiano, che si fa risalire a San Tommaso Apostolo.
Passeggiando per questi luoghi si viene accolti dalle fragranze pungenti delle spezie; qui pepe, cannella, coriandolo, cumino, noce moscata, cardamomo, finocchio, curcuma e zenzero non servono solo ad arricchire la variopinta gastronomia, ma sono anche ingrediente fondamentale dell’Ayurveda. Questa antica medicina hindu sfrutta le proprietà terapeutiche di foglie, radici, semi e cortecce raccolti sui monti Ghati occidentali, che utilizza sotto forma di oli per massaggio specifici per ogni tipo di malattia, e, in generale, per ottenere un deciso miglioramento del sistema linfatico, circolatorio e nervoso, con una conseguente riduzione dello stress e un vero e proprio “effetto anti-età”. Per vedere i primi risultati occorrerebbe un ciclo di massaggi di una settimana, ma chi è solo curioso può rivolgersi ai centri benessere ospitati negli alberghi più famosi per un trattamento singolo. Rimangono a ricordare la dominazione portoghese la chiesa di San Francesco Saverio, la più antica dell’India, che custodisce anche le spoglie di Vasco de Gama, e il Mattancherry Palace, costruito nel 1555 dai portoghesi e donato al raja locale; i suoi saloni ospitano oggi un museo, e da non perdere sono gli affreschi che illustrano gli episodi delle saghe del Ramayana e del Mahabharata. Da qui ci si può dirigere verso il quartiere ebraico e la sinagoga lungo una strada piena di negozi di antiquariato e di spezie, e quindi verso il lungomare, dove si trova l’attrattiva turistica principale della città: le enormi reti da pesca introdotte dai mercanti provenienti dalla corte di Kublai Khan. Sorrette da più tronchi legati insieme, queste reti vengono alzate e abbassate per mezzo di corde da cui pendono grandi massi a mo’ di contrappeso; i pescatori potrebbero chiedervi di dar loro una mano a tirare le reti, in cambio di un piccolo compenso. Per evitare l’imbarazzo di un’elemosina non richiesta, potreste invece acquistare un po’ del pesce appena pescato, da far cucinare nei modesti ristoranti che si allineano lungo la spiaggia. In mare, a pochi metri di distanza, i delfini improvvisano per i visitatori il loro show acrobatico di salti. Sempre in tema di esibizioni, Kochi offre l’occasione di assistere al kathakali, una forma di teatro-danza originaria del Kerala.
Per dare un momentaneo sollievo alla calura della città, ci rechiamo a Munnar, un delizioso paesino a 1500 metri d’altezza, per visitare una piantagione di tè e per alcune piacevoli escursioni in ambiente montano.

Tamil Nadu: cultura e colori
Approfittiamo della tappa a Chennai, l’antica Madras, dove ci attende il volo di ritorno, per visitare due centri fondamentali nella storia indiana, Mamallapuram e Kanchipuram, rispettivamente a sud e a sud-est di Chennai. Anche in questo caso rinunciamo all’idea del treno e ci affidiamo a un’agenzia di taxi: con una modica spesa si può organizzare un tour delle tre città con autista, evitando le complicazioni dei cambi ferroviari. Kanchipuram, o Kanchi, come comunemente è chiamata, è tappa obbligata per l’acquisto di sari, sciarpe e foulard di seta tessuti a mano, tra i più belli dell’India, e la visita ai laboratori artigianali dove vengono prodotti. Città sacra, unica dell’India meridionale, dedicata a Shiva e a Vishnu, arrivò in passato a vantare un migliaio di templi; ne rimangono oggi circa duecento, di cui almeno cinque di assoluto interesse per gli appassionati di architetture sacre hindu.

Mamallapuram ci colpisce per l’atmosfera rilassata da cittadina marittima, semplice da girare, che ha mantenuto un ritmo lento nonostante il suo status di località turistica di fama internazionale. L’attrattiva maggiore è costituita dai due tempietti situati sulla spiaggia, dichiarati patrimonio dell’umanità dall’Unesco; non ci colpiscono tanto per il loro pregio artistico, quanto per l’ostinazione con cui da più di mille anni resistono all’attacco dei venti e della salsedine, e per il fascino della loro posizione solitaria.
Le protagoniste a Mamallapuram sono le sculture, da quelle antiche che adornano i templi, alle recenti opere in miniatura realizzate dagli abili scalpellini, in vendita nelle botteghe. L’esempio più impressionante rimane però l’Arjuna’s Penance, 30 metri di altezza per 12 di larghezza di scultura in rilievo ricavata in una parete rocciosa: dei, semidei e figure della mitologia hindu si succedono in questo enorme esempio di armonia figurativa. Alla sua destra, il piccolo tempio di Ganesh Ratha, e, ancora più in là, l’enorme masso del Krishna’s Butter Ball che rimane in bilico sul crinale roccioso. Abbiamo tempo per un’ultima visita ai Five Rathas, cinque templi a forma di carro ricavati dalla roccia, sormontati da elaborate sculture.
Sarà l’ultimo fotogramma di un’India complessa, crudele e insieme bellissima: sull’aereo del ritorno ripenseremo a tutti i momenti vissuti in questa realtà così lontana, che difficilmente si lascia descrivere in tutte le sue sfaccettature.

PleinAir 391 – marzo 2005

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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