Parco insegna

Sulla base delle informazioni raccolte a Parco Produce, l'originale rassegna delle aree protette di cui si svolge in questi giorni ad Ancona la quarta edizione, abbiamo scoperto tre eccezionali aule di natura all'aperto sperimentandovi, insieme ad alcune scolaresche, indimenticabili momenti di educazione ambientale.

Indice dell'itinerario

Anni fa, all’inaugurazione del Museo Paolucci (piccola ma interessante collezione di reperti naturali che, dimenticata a lungo in qualche magazzino del Comune di Ancona, ha finalmente trovato la sua collocazione sotto il castello di Offagna, in faccia al monte Conero) c’erano autorità, giornalisti, comuni cittadini, e qualcuno non aveva trovato di meglio che portarsi dietro i figli in tenera età, ovviamente chiassosi in attesa che si cominciasse. La cosa mi innervosì, e provai disagio anche per gli altri: che ci fanno dei bambini a una cerimonia ufficiale? E cosa combineranno, una volta dentro e in un ambiente tanto piccolo?
Ebbi modo di ricredermi: mentre si alternavano i rituali discorsi di chi di dovere, i ragazzini, in luogo di disturbare, colpiti dagli uccelli impagliati, dai cartelli esplicativi, dalle collezioni nelle bacheche, si misero religiosamente a guardare tutto… neanche gliel’avesse ordinato la maestra. Fu una folgorazione. Possibile che la scuola eserciti un influsso tanto negativo se le stesse cose, spostate da un’aula a un ambiente più “naturale” (non necessariamente all’aperto), assumono tutt’altro aspetto?
In giro per il mondo ebbi numerose conferme: dalla scolaresca in visita al Centro Zanardo sul Cansiglio, allo straordinario laboratorio sotterraneo del parco Hoge Veluwe in Olanda (ricostruzione di ambienti, animali spiati nella loro tana attraverso pertugi, il gioco delle orme e delle tracce), alla antica cartiera di Basilea mossa da una ruota ad acqua dove, anziché subire una dimostrazione di come si faceva un tempo la carta a mano, erano i bambini stessi, e non metaforicamente, con le mani in pasta. E infine Parco Produce: non starò a ripetere quanto già scritto su queste pagine (vedi PleinAir nn. 306 e 318), ma fra le proposte dell’ultima edizione ho deciso di sceglierne un paio e accodarmi a qualche scolaresca in visita per valutare quanto offerto, e vivere le stesse emozioni di chi per la prima volta si trova a far scuola in mezzo alla natura.

A spasso con gli scolari
Vista da lontano, la scolaresca che in fila indiana si avvia all’escursione con le giacche a vento e gli zaini che, non fossero i marchi diversi e mescolati, darebbero l’impressione di uno spot pubblicitario, forma una bella macchia di colore, ravvivando un bosco quasi invernale e una giornata non propriamente serena. Siamo nel Parco del Cilento e Vallo di Diano, e precisamente ai mille metri del Passo di Vesalo. Lasciato il pullman (come noi il camper) nel piazzale sterrato, si scende fra faggi e ontani a cercare il torrente Milenzio. Gli accompagnatori hanno al seguito misteriose scatole. Sarà per la colazione al sacco? Anche. Ma dentro, soprattutto, vengono portati da casa reperti naturali che, data la stagione, non si potrebbero ancora trovare sul posto.
Si guada in acrobazia il corso d’acqua (una sola ragazzina finisce a mollo, e bisogna improvvisare con gli sterpi umidi un piccolo falò per asciugarla) e si arriva a una grande radura tra gli alberi, dove le panche e i tavoli per il picnic costituiscono la migliore aula per l’esperimento di scuola nella natura.
I ragazzi sono divisi in gruppi e si aprono le famose scatole: semi, frutti, fiori, foglie, arboscelli, reperti di terre varie vengono fatti esaminare e classificare. Sembra un gioco, e lo si poteva fare anche in classe, ma dato lo speciale contesto c’è tutta l’attenzione dovuta, e alla fine ognuno saprà qualcosa di più e vedrà con occhi nuovi il bosco in cui cammina. Poi finalmente è l’ora della merenda, e i ragazzi potranno scaricare tutte le energie represse correndo e giocando in questa bella radura.
Sulla via del ritorno si visita la Grava di Vesalo, uno spettacolare inghiottitoio in cui scompaiono le acque del torrente Milenzio, a dimostrazione della natura carsica della zona. Purtroppo la scolaresca, per evidenti motivi di sicurezza, dovrà restare in alto a guardare la scena da dietro una balaustra; noi ci siamo arrischiati per uno stradello fino ai bordi della voragine e ci ha dato da pensare uno dei nostri bastoni che, caduto nell’ultima pozza, ha fatto una giravolta quasi a salutarci e dopo un attimo non c’era più (e per fortuna che il cane del nostro amico non ha cercato di riprenderlo!).
Escursioni del genere continueranno a svolgersi, soprattutto nella stagione primaverile, e di certo gli ultimi gruppi saranno i più fortunati, trovandosi al momento in cui la natura esplode con conseguente minor bisogno di portare i reperti da casa.

Fondere come gli antichi
Per una sorta di inconscia autopunizione, da insegnante di chimica quale sono stato, mi è piaciuto verificare con i miei occhi come si riesca a far comprendere ai bambini delle elementari, usando il dovuto linguaggio e coinvolgendoli in una dimostrazione sul campo, gli stessi concetti che a fatica riuscivo a imprimere nelle zucche dei miei quasi maggiorenni studenti dell’Istituto Tecnico. L’esperienza si è svolta nell’ambito del Parco Archeologico Minerario di San Silvestro, di cui si è già ampiamente trattato (vedi PleinAir nn. 304 e 320): per secoli da queste colline metallifere sono stati estratti ferro, rame e persino argento, valga la testimonianza dei forni etruschi della vicina Populonia.
E’ stato dunque ricostruito a scopo didattico l’antico processo di fusione, cercando di immaginare quali fossero le tecniche e l’attrezzatura: non è mai stata trovata infatti una testimonianza scritta al riguardo, probabilmente perché i segreti dei maestri venivano tramandati per via orale di padre in figlio. Il procedimento è peraltro elementare: viene ridotto in piccoli pezzi il minerale grezzo, lo si riscalda sopra un fuoco a legna per eliminare le parti volatili (come lo zolfo), lo si porta quindi a cuocere, misto a carbone, in un forno di pietre e argilla alimentato da un mantice; se tutto ha funzionato a dovere si avrà la classica colata di metallo fuso dall’apposito foro. Tanto basti (anche ai nostri lettori…) e senza formule di chimica sulla lavagna!
Due classi di una scuola elementare di Piombino sono arrivate col pullman, mentre noi seguivamo col nostro camper (in via eccezionale, perché non è consentito alle auto private l’ingresso in questa parte del parco: l’ultimo tratto lo si deve percorrere comunque a piedi). Attraversata un’enorme cava ormai chiusa, dove a fatica si cerca di ripristinare la situazione originale (ma ci vorranno forse decenni prima che la ferita si rimargini), si raggiungono i resti, molto suggestivi, della rocca di San Silvestro. Dagli spalti, grande vista fino al mare; e proprio sotto le mura, sulle prime balze circondate da macchia mediterranea, si svolge l’esperienza.
Immaginate come si sono divertiti i bambini, per prima cosa a contendersi le maschere protettive, quindi a rompere a martellate il minerale, gettarlo sul fuoco, impastare l’argilla (sporcandosi fino alla cima dei capelli) e soprattutto, a turno, azionare il grande mantice. Quello che ci ha stupito, però, è stata l’attenzione alla lezione teorica, prova ne sia il risultato del questionario fatto compilare a conclusione del tutto: pochissimi errori, e ben tre ragazzi con tutte le risposte esatte. Merito sicuramente dell’istruttore, Davide Mancini: ne abbiamo ammirato in particolare il linguaggio semplice e la pazienza. Non ha mai dovuto alzare la voce, trasformando la massa urlante scesa dal pullman (l’eccitazione di trovarsi in tale contesto era peraltro giustificata) in una classe attenta. E al termine, con un pezzo di metallo grezzo, uno stampo e una mazza ha fatto omaggio alle scolaresche, a ricordo dell’esperienza, di monete coniate a mano, in maniera rozza, proprio come si faceva nell’antichità.
Per finire una curiosità, che ha attratto per una volta principalmente noi adulti: non sapendo esattamente come si facesse un tempo a collegare il mantice col forno, date le alte temperature prodotte (un tubo di piombo sarebbe fuso) è stato costruito un condotto impastando argilla intorno a della paglia; con la prima aria calda l’argilla si cuoce e la paglia brucia, lasciando all’interno la cavità richiesta.
Per la visita guidata a questa esperienza diamo a parte i riferimenti, ma consigliamo comunque di attendere in primavera che giunga sul posto una classe: l’animazione, vissuta da vicino, val più di tanti discorsi a impianto fermo, per brava che possa essere la guida che accompagna.

Camminando s’impara
Volete rendervi invisibili, magari con tutto il camper in una zona di divieti? Allora la notte di San Giovanni mettetevi in cerca delle spore di felce maschio. E poi: lo sapevate che la robbia si usava in tintoria, che l’alloro era piantato a protezione della casa e le sue foglie venivano bruciate nel camino per tenere lontani i fulmini, che con la vitalba i mendicanti si strofinavano la pelle per prodursi piaghe sì da impietosire la gente, che col biancospino si può fare sia il vino che la grappa, che il legno dell’ontano non marcisce (per cui ne vennero fatte condutture sotterranee per l’acqua e le fondamenta di Venezia), che col lattice di euforbia si avvelenavano i pesci per poterli più facilmente catturare, che i ceppi con cinque foglie di felce maschio (detti mano di San Giovanni ) erano venduti in Germania contro la malasorte, sì da costringere la chiesa ufficiale a indire il sinodo di Ferrara nel 1612 per combattere la pratica pagana? E’ tutto scritto in quel libro aperto sulla natura che si incontra nel parco del Beigua, seguendo il sentiero attrezzato (anche di cartelli) dell’Eremo del Deserto.
Noi non solo ignoravamo tutto ciò ma, onestamente, se non ci fossimo imbattuti nel relativo stand a Parco Produce, neppure conosceremmo oggi l’esistenza del Beigua e la sua collocazione geografica. Di norma quando sappiamo di passare per una determinata zona ci portiamo dietro il materiale relativo; quindi, trovandoci in Liguria e precisamente attorno a Savona, ci siamo ricordati di quanto raccolto in fiera a proposito del parco succitato e che facilmente abbiamo ritrovato nell’apposita cartellina. Come già detto su queste pagine (vedi ancora PleinAir n. 318) val più un libretto stampato in bianco e nero, con la piantina schematizzata e le informazioni essenziali, di tanti opuscoli su carta patinata in quadricomia fra cui è pure difficile districarsi nella ricerca dell’informazione giusta. Così è bastato cercare sull’atlante dell’Italia del Nord, alle spalle di Varazze, la strada per l’Eremo del Deserto, e, libretto di cui sopra alla mano, procedere all’escursione.
Oggi l’eremo è in realtà un convento restaurato, che non si può visitare; davanti ha uno spiazzo con enormi lecci che sembrano messi lì apposta per assicurare al camperista ombra tutto il giorno, e dal lato giusto. Una freccia indica l’inizio del sentiero: ora anche il libretto non serve più.
Mai incontrata, in tanti parchi da noi visitati, un’organizzazione del genere: qui si può davvero fare a meno di una qualsivoglia guida, è tutto già scritto nel bosco e nelle cinquantadue tabelle poste sotto le rispettive piante, ognuna con la sua sintetica ma esauriente spiegazione. Ma a colpirci particolarmente è stato il susseguirsi di ambienti naturali, messi lì in fila quasi a scopo didattico, e invece è tutto merito dell’intervento più o meno involontario dell’uomo che, con l’introduzione di specie non autoctone, ha fatto sì che si mescolassero, anzi si stratificassero una sull’altra situazioni diverse: il prato si alterna al querceto, il bosco ripariale al lecceto e così via, e per ognuna un tabellone illustrativo (11 complessivamente) ti dice tutto, ma proprio tutto quello che dovresti sapere.
E poi si scende fino al torrente, dove pozze e cascatelle quasi ci illudono di essere tornati ai Tropici. Più avanti, dove il sentiero per un attimo si affianca alla strada asfaltata, presso un ponte si raggiunge un mulino diroccato, risalente addirittura al Cinquecento. La macina è lì davanti, a pezzi, quasi a fare da insegna, e sulla facciata c’è il consueto affresco di natura religiosa. E infine la ruota in ferro, enorme, appare da dietro l’edificio; guardandola da vicino si scopre che la parte rimasta a mollo in una pozza d’acqua è stata praticamente distrutta da anni, forse decenni di immobilità, per cui alla lezione sugli ambienti naturali se ne potrebbe aggiungere una sulla corrosione dei metalli.
Da qui si risale senza problemi al punto di partenza, chiudendo l’anello. L’intero circuito, per comodi sentieri scalinati e, ove necessario, muniti di ringhiere, può essere percorso anche da chi sia poco avvezzo alle camminate; addirittura il senso di marcia è stato studiato per avere le minori pendenze nella risalita.
Per tutta l’escursione non abbiamo incontrato anima viva, salvo uno strano individuo che abita nel mulino diroccato (il solito artista che si è scelta una singolare e soprattutto solitaria dimora?) e alla fine, ripartendo, ci è sembrato quasi di avere rubato una visita guidata senza guida, mentre abbiamo semplicemente vissuto un’utopia: come si può attrezzare un parco e metterlo a disposizione della comunità senza balzelli da pagare sul posto, visto che i fondi necessari saranno stati già stanziati dalle istituzioni e quindi, come suol dirsi, abbiamo già dato .
L’amena storia ha comunque un seguito che ci riporta alla realtà: ripartiti da questi boschi, radure e torrenti, abbiamo voluto salire fino in cima al Monte Beigua dove passa (questo sì lo sapevamo) l’Alta Via Ligure; e qui ci siamo trovati in uno scenario quasi da fantascienza. Tutti i ripetitori al servizio del nord-ovest d’Italia (siamo sullo spartiacque fra Tirreno e Pianura Padana) sembrano essere stati radunati su questo cocuzzolo, altissimi e spettrali nella nebbia che andava e veniva, e talmente vicini l’uno all’altro da farti pensare quanto poco ci vorrebbe a creare un blackout che, sia pure per poche ore, ci terrebbe lontani dai malefici della televisione, riportandoci forse a riflettere sulla natura che ci circonda, e che talvolta neppure vediamo.

PleinAir 328 – novembre 1999

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

________________________________________________________

Tutti gli itinerari, i weekend, i diari di viaggio li puoi leggere sulla rivista digitale da smartphone, tablet o PC. Per gli iscritti al PLEINAIRCLUB l’accesso alla rivista digitale è inclusa.

Con l’abbonamento a PleinAir (11 numeri cartacei) ricevi la rivista e gli inserti speciali comodamente a casa e risparmi!

photo gallery

dove sostare

tag itinerario

cerca altri itinerari

Scegli cosa cercare
Viaggi
Sosta
Eventi

condividi l'articolo

Facebook
WhatsApp

nuove idee di viaggio