Viaggio tra i Parchi più belli del Sud Italia

Terza e ultima puntata del nostro viaggio nell’Italia protetta. Questa volta lo scenario è rappresentato da coste, boschi e montagne del Sud e delle isole: angoli di un Bel Paese rimasto davvero tale, da avvicinare con il v.r. e da scoprire passo dopo passo, seguendo itinerari di grande suggestione resi ancora più godibili dalle quote modeste e da una presenza turistica spesso ridotta. Nove proposte per partire subito, approfittando del pieno rigoglio primaverile, o da tenere in serbo per gli altri mesi del fuoristagione. E buoni parchi a tutti.

Indice dell'itinerario

L’itinerario tra i Parchi del Sud Italia parte dalla sommità del Vesuvio alle porte di Napoli, per poi discendere in Cilento nella periferia di Agropoli, fino al vuoto di ginestre e del voli di gabbiani dell’idillico paesaggio costiero di Punta Tresino. Si prosegue poi al Pollino, gigante tra i parchi italiani, il più esteso di tutti, e poi passiamo in Sila, uno dei cuori verdi della Calabria, per un percorso stavolta facile e breve che si snoda nel nucleo più vetusto della grande foresta dell’altopiano.

Per completare il giro ci soffermeremo in Puglia presso il lago costiero di Lesina che offre lo spunto per una passeggiata tra dune ammantate di macchia mediterranea. E infine faremo una puntatina nelle isole: in Sicilia presso le scogliere della Riserva dello Zingaro affacciate su un mare color cobalto, e poi in Sardegna per una passeggiata nel parco nazionale dell’Arcipelago di La Maddalena.

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Campania • Parco Nazionale del Vesuvio

Parco del vesuvio: l’interno del cratere

Il cratere del vulcano

Dislivello 170 metri • Tempo di percorrenza 3 ore circa

Da Ercolano e Torre del Greco una stradina sale verso il piazzale di partenza dell’escursione, con il perenne via vai di auto, pullman e camper provenienti da mezza Europa e il pittoresco presidio dei chioschi dei venditori di souvenir, bibite, minerali più o meno autentici, statuette in pietra lavica (molte Madonne e Padre Pio, ma pure faraoni e qualche Buddha). C’è anche un punto informativo del parco dove reperire dépliant, mappa, libri, magliette e altri souvenir o documentazioni.

Parcheggiato il mezzo, si varca a piedi un cancello (ticket di 6,50 euro per gli adulti e di 4,50 per i bambini, di cui una minima parte va al parco e il resto alle guide che conducono sul vulcano) e si sale a piedi per un sentiero da cui si gode un magnifico panorama. In breve si raggiunge l’orlo del cratere, sul cui imbuto affacciano alcuni belvedere tra i picchi di lava consolidata.

Verso il mare, invece, dall’Atrio del Cavallo dietro la colata di lave del 1944 e i Cognoli di Trocchia si spalanca quel Golfo di Napoli che da lontano è ancora bellissimo, da Torre del Greco a Posillipo, con il porto e le navi, Procida e Ischia. Mezzo giro di cratere ed ecco la Penisola Sorrentina, Castellammare di Stabia, le falesie di Capri. Ovunque la pietra lavica è ricoperta dal lichene Stereocaulum vesuvianum, una specie esclusiva del luogo che conferisce al suolo un caratteristico colore grigio-argenteo. Lungo il percorso di cresta, due basi in cemento ricordano il progetto risalente ad anni fa – e mai decollato – di sostituire la vecchia seggiovia da tempo in disuso con una teleferica.

Dalla primavera all’inizio dell’estate le ginestre in fiore emanano un profumo dolciastro e penetrante. Superata la Capannuccia, a quota 1.170, oltre una sbarra si lascia la cresta del cratere e s’inizia a scendere lungo le pendici del cono davanti alle creste del Monte Somma. Percorrendo un tratto dell’antica Strada Matrone si prosegue fino a un bivio, dove si prende il sentiero a sinistra che porta al Rifugio Imbò. Da qui in breve si è nuovamente al piazzale di partenza. Lungo la strada asfaltata di accesso è presente un ulteriore punto informativo del parco dove è possibile acquistare prodotti tipici come pasta, sughi, vini fra cui l’apprezzato Lachrima Cristi.

Per la visita al vicino Osservatorio Vesuviano fondato nel 1841 dal re di Napoli Ferdinando II di Borbone, invece, è consigliabile telefonare preventivamente (è aperto di solito per poche ore il sabato e la domenica).

Campania • Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano

Parco del Cilento: panorama da P.ta Tresino.

La punta Tresino

Dislivello 200 metri • Tempo di percorrenza 3 ore e mezzo circa

Da Agropoli si seguono le indicazioni per Trentova. Usciti dall’abitato e attraversata la campagna adiacente, si parcheggia il camper presso l’ultimo bivio prima di scendere alla baia di Trentova (tenere come riferimento una recinzione sulla sinistra che cinge alcuni campi da tennis, in verità poco visibili). A piedi si segue la traccia sterrata che sale a sinistra fra mirti e ginestre, tralasciando una deviazione asfaltata subito a destra. Fattosi subito solitario, il percorso prosegue pianeggiante a mezza costa offrendo scorci panoramici su Trentova.

Una traccia a sinistra porta in breve ad alcuni interessanti edifici rurali in rovina (uno dei quali conserva la bella torretta angolare), mentre il largo sentiero principale costeggia prima una recinzione e poi punta a una casa diroccata in posizione panoramica, oltre un filare di eucalipti e accanto ad alcuni cipressi.

A questo punto si prende la traccia di sinistra che, rasentando la vecchia tenuta, si riaffaccia più avanti a una splendida caletta tra le ginestre, dove scendeva un altro sentiero dalla casa abbandonata. Una valletta incide il costone; il nostro percorso, continuando a tenersi in quota, la aggira passando il modesto corso d’acqua oltre un cancello (aperto). Poco più avanti, in prossimità dei resti di una torre e di un edificio diroccato, si raggiunge la Punta Tresino (50 minuti circa dalla partenza).

Magnifico il panorama a 180 gradi sul mare e, alle spalle, sui monti dell’interno. Oltre ai gabbiani reali, è possibile in questo tratto osservare le evoluzioni del falco pellegrino oppure di altri rapaci come il falco pecchiaiolo, soprattutto durante i passi migratori.

La traccia del sentiero, sempre pianeggiante, prosegue fra lussureggianti cespugli di mirto, lentisco e ginestra, toccando i cippi dell’acquedotto del Basso Sele. Un albero isolato di ulivo nelle giornate più calde offre una rara oasi d’ombra, mentre legioni di lucertole e inoffensivi biacchi scelgono il solleone per i loro agguati silenziosi.

A una mezz’ora scarsa dalla punta il tracciato è costretto a piegare a sinistra, in salita, per evitare una proprietà privata. Qui si hanno due alternative: la prima consiste nel tornare sui propri passi fino al camper, l’altra nel seguire il sentiero. Da qui si guadagnano circa 150 metri di quota, superando un fosso e quindi raggiungendo una sterrata che si segue a sinistra, per poi compiere subito dopo un tornante presso alcuni edifici.

Dopo alcuni tratti pianeggianti e altre curve a gomito, ad un bivio si prende a sinistra sulla sterrata, da qui in piano o quasi, che raggiunge la vecchia frazione ora disabitata di Case San Giovanni. Più avanti il percorso, tornato sentiero, fa il giro delle pendici del Monte Tresino (356 m) e, attraversato un tratto di bosco, perde quota andando a ricongiungersi alla traccia più bassa dell’andata, che incontra in corrispondenza degli edifici rurali descritti all’inizio. Fino al veicolo il giro completo – per il quale è consigliabile partire con una scorta d’acqua adeguata – richiede tre ore e mezzo di percorrenza.

Puglia • Parco Nazionale del Gargano

Parco del Gargano: un sentiero.

La duna di Lesina

Dislivello assente • Tempo di percorrenza un’ora e mezzo circa

Lesina, base della visita, si raggiunge dalla A14 Bologna-Taranto uscendo al casello di Poggio Imperiale. Giunti in paese conviene recarsi per prima cosa al centro visite del parco, situato quasi in riva al lago. La sua maggiore attrazione è l’acquario delle specie ittiche lagunari, con quattordici vasche di acqua salmastra direttamente collegate al bacino, mentre al piano superiore sono esposte piccole raccolte malacologiche e archeologiche, resti provenienti dall’isolotto lagunare sommerso di San Clemente nonché una ricostruzione della casa del pescatore lesinese.

Parco del Gargano: lago di Lesina, un’imbarcazione tradizionale.

Usciti dall’abitato, costeggiando la sponda occidentale del lago si giunge a un lavoriero tuttora attivo per la pesca delle ottime anguille locali, con piccolo punto sosta. In alternativa si può raggiungere lo stesso punto navigando sulla laguna con il catamarano del servizio escursioni guidate, che parte presso il centro visite. Che si scelga l’una o l’altra soluzione, dal molo si prosegue a piedi fino all’ingresso, sulla sinistra, di un sentiero su passerella in legno che ha inizio da una tabella del parco. Si cammina lungo un percorso facile e pianeggiante, attraversando uno dei lembi di macchia mediterranea più integri dell’intera costa adriatica. Cuscini di erica multiflora, rosmarino, lentisco avvolgono la passerella e sono animati dai voli brevi e nervosi dell’occhiocotto e della sterpazzolina.

Qui vegeta e fiorisce tra aprile e maggio anche il raro cisto di Clusius (Cistus Clusii), in tutta l’Italia peninsulare presente unicamente qui. Superata una fantina, ovvero uno stagno retrodunale temporaneo, dopo una mezz’ora di cammino si giunge alla pineta del Bosco Isola, che ammanta buona parte dell’istmo sabbioso tra il lago e il mare. Tavoli e panche per il picnic e l’ombroso sottobosco ne fanno una meta frequentatissima in estate, ma nel resto dell’anno è un’oasi di verde e tranquillità. Da qui è possibile proseguire fino alla spiaggia ormai vicina, ancora nel bosco fino alla Torre Scampamorte oppure tornare sui propri passi fino al lavoriero (in quest’ultimo caso, un’ora in tutto di cammino o poco più).

Basilicata • Parco Nazionale del Pollino

Parco del Pollino: panorama.

La Grande Porta

Dislivello 374 metri • Tempo di percorrenza 5 ore circa

Fra i più begli itinerari a piedi nei parchi italiani, questo che conduce nel cuore del massiccio del Pollino (in Basilicata ma ai confini con la Calabria) è un tuffo nella natura integra del Mezzogiorno. La partenza è dal Colle dell’Impiso, valico posto a quota 1.573 lungo la strada che congiunge San Severino Lucano alla piana di Campo Tenese, dove scorre l’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria. All’alternativa di lasciare il mezzo lungo strada si può preferire il parcheggio del vicino Piano del Visitone, poco a valle verso San Severino, oppure in direzione opposta quello del Piano Ruggio dove sorge il Rifugio De Gasperi.

Dall’asfalto si prende a seguire verso monte, oltre una sbarra, la sterrata che sale brevemente nel bosco, poi scende in direzione del primo dei piccoli Piani di Vacquarro. Si cammina fino al bivio con il sentiero che verso destra, per il Colle Gaudolino, porterebbe alla vetta del Monte Pollino: noi invece andiamo a sinistra. Si rientra nel bosco e più avanti si rasentano le acque cristalline di un torrente, guadandolo nel punto più agevole prima di affrontare la lunga salita nella faggeta.

Ignorando le deviazioni si sbuca al margine degli spettacolari Piani di Pollino dopo circa un’ora e mezzo di salita, più faticosa nel tratto finale. A sinistra si apre la vista sulla Serra di Crispo con i suoi magnifici pini loricati, a destra il Pollino e più indietro il Dolcedorme. Si prende a risalire i prati verso sinistra, senza una traccia precisa, in direzione di alcuni piccoli faggi isolati che segnalano la preziosa Sorgente Toscano che sgorga subito dietro gli alberi, in un avvallamento del terreno. A maggio e giugno – quando il disgelo è ancora recente – i pendii sono crivellati dai fori d’ingresso delle gallerie delle arvicole e tappezzati di viole, scille, orchidee, crochi a migliaia.

Ci vuole un’altra mezz’ora di cammino sul ciglio di una balza rocciosa per raggiungere i primi esemplari di pino loricato, la conifera dal portamento inconfondibile che è il simbolo del parco. Poco più avanti c’è quel che resta del pino della Grande Porta del Pollino – è questo il nome dell’insellatura fra la Serra delle Ciavole e la Serra di Crispo – riprodotto nel logo stesso dell’area protetta: vecchio di secoli, era il più maestoso di tutti, preso a simbolo del cambiamento possibile e perciò dato alle fiamme da vandali nell’autunno del 1993, appena dopo l’istituzione del parco.

Per fortuna altri giganti resistono, come alla Serretta della Porticella, l’anticima che s’incontra sul crinale salendo alla Serra di Crispo dalla Grande Porta. Alle piante ancora in salute, dalla grigia corteccia a grosse scaglie poligonali simili alle loriche (le piastre metalliche delle corazze indossate dai legionari romani), si accostano qui esemplari ormai secchi ma ancora in piedi. Tronco e rami color argento, non di rado spaccati dal fulmine, sfidano vento e neve a 2.000 metri di quota, avvinghiati alla groppa di calcare sospesa sul verde manto del sottostante Bosco della Fagosa.

Senza prolungare oltre un’escursione che potrebbe continuare a piacimento in quest’anfiteatro selvaggio di cime, si ridiscende ai Piani di Pollino e da qui al Colle dell’Impiso (calcolare un’ora e mezzo dalla Sorgente Toscano).

Calabria • Parco Nazionale della Sila

Parco della Sila: il bosco di Fallistro

Il bosco dei giganti

Dislivello assente • Tempo di percorrenza un’ora circa

Quello della Sila, in Calabria, è uno dei parchi più boscati d’Italia. Migliaia di ettari ammantati di verde e con l’aroma penetrante dei pini larici o silani, tra le specie qui più diffuse. Per ammirare gli alberi più belli non è necessario sobbarcarsi faticose esplorazioni della foresta: è sufficiente recarsi a Spezzano della Sila in località Fallistro dove, grazie alle cure del Corpo Forestale dello Stato, un facile sentiero si snoda tra esemplari dalle proporzioni maestose.

I Giganti della Sila, come vengono chiamati, sono cinquantatré eccezionali piante di pino laricio: il più grande misura 187 centimetri di diametro e 43 metri di altezza (i forestali ne hanno calcolato anche il volume, ben 62 metri cubi di legno). Pini a parte, si fanno ammirare cinque esemplari di acero montano, anch’essi di età secolare, il cui diametro del tronco alla base è di circa 2 metri.

Parco della Sila: la riserva dei Giganti

Questi patriarchi vegetali altro non sono che i più imponenti testimoni dell’antica silva brutia, la fitta foresta che un tempo ricopriva il territorio calabro e che segnava molto più di adesso il paesaggio della Sila fino alla seconda metà dell’800, prima cioè che gran parte delle foreste venissero tagliate per rifornire di legname pregiato il giovane Regno d’Italia. Per raggiungere il sito si percorre l’autostrada A3 fino a Cosenza, quindi la statale 107 Silana fino allo svincolo di Croce di Magara. Da qui la segnaletica conduce senza problemi al parcheggio d’ingresso del bosco, dove si lascia il camper e si paga il modesto ticket d’ingresso (un euro per gli adulti e 50 centesimi per i ragazzi).

Il sentiero che serpeggia fra i giganti è praticamente obbligato: camminando e fermandosi ad ammirare e scattare fotografie non è raro imbattersi nell’acrobatico scoiattolo, la cui pelliccia di colore nero è tipica delle zone meridionali. Spesso si avverte il ritmico tambureggiare del picchio rosso maggiore, non difficile da scorgere, come pure il picchio muratore. Praticamente invisibile è invece il driomio, piccolo e localizzato roditore simile al ghiro che più a sud, sull’Aspromonte, è presente con una sottospecie endemica.

Parco della Sila: la riserva dei Giganti

In base alla curiosità di ciascuno e al tempo a disposizione, l’escursione ha una durata variabile. Chi è interessato ad ammirare altri pini colossali può trovarne nel parco anche in località Gallopane e al Bosco Gariglione, dove crescono anche enormi abeti bianchi e faggi.

Sicilia • Parco Regionale dell’Etna

Parco dell’Etna: coni eruttivi lungo i monti Sartorious.

Il sentiero dei Monti Sartorius

Dislivello 100 metri • Tempo di percorrenza un’ora e mezzo circa

Certamente uno dei più interessanti fra quelli proposti e segnati dal parco, questo sentiero si sviluppa sul versante nord-orientale del vulcano. L’accesso è dal Rifugio Citelli, facilmente raggiungibile per la strada che sale da Linguaglossa oppure da Fornazzo. Si parte da una pista chiusa al transito veicolare da una sbarra, poco prima di arrivare al rifugio, e ci s’incammina in un bosco rado di splendide betulle appartenenti alla specie Betula aetnensis, endemica dell’Etna. Superato un ovile in pietra con abbeveratoio, seguendo i paletti gialli si lascia la pista e si piega a destra su un sentiero che scende nel bosco, sempre di betulle ma ora molto più fitto.

Questo è il tratto più bello, poiché si attraversa l’antica colata lavica del 1865, prodotta da un’eruzione che durò cinque mesi e diede origine fra l’altro ai sette coni eruttivi dei Monti Sartorius. Il nome di questi rilievi deriva dallo studioso tedesco Wolfgang Sartorius von Waltershausen, tra i primi a riportare sulle carte le principali eruzioni del vulcano. Si cammina sulla splendida sabbia nera che oggi sovrasta uno strato di lava dello spessore di 12 metri circa, tra giovani piante di pino laricio e di ginestra dell’Etna.

Con un po’ di fortuna e attenzione è possibile osservare alcuni degli animali che frequentano quest’ambiente, tra cui gheppi, gazze, conigli selvatici. Sul terreno crescono numerose piantine di notevole interesse per i botanici, come la camomilla e il romice dell’Etna. Particolarmente abbondanti e vistosi i cuscini fucsia della saponaria, le cui radici contengono sostanze detergenti e venivano utilizzate in passato per lavare la biancheria nei paesi che sorgono alle pendici della muntagna. In breve si torna sulla pista dell’andata e da qui al parcheggio del Rifugio Citelli, a circa un’ora e mezzo dalla partenza.

Sicilia • Riserva Naturale dello Zingaro

Riserva dello Zingaro: calette di acqua cristallina.

Il sentiero delle palme

Dislivello 100 metri • Tempo di percorrenza 2 ore e mezzo circa

Con 1.658 ettari di estensione, quella dello Zingaro è la prima riserva naturale istituita in Sicilia, nel 1981, sull’onda di una sollevazione popolare per contrastare la realizzazione dell’ennesima strada costiera verso il promontorio di San Vito Lo Capo. Ancora oggi, arrivando da sud, vi si accede a piedi per una galleria che doveva essere stradale, mentre sul lato settentrionale la ferita segnata sulla montagna dai primi lavori, poi bloccati, è uno sfregio visibile a distanza ma anche un monito.

Riserva dello Zingaro: Superbi esemplari di palma nana.

Da Scopello, poco distante dal casello autostradale di Castellammare del Golfo, si raggiunge il parcheggio dell’ingresso meridionale della riserva dove, presso un chiosco, si paga il biglietto d’ingresso (3 euro per gli adulti, 2 euro per i ragazzi da 10 a 14 anni, gratis per gli over 65, ingresso vietato ai cani anche se al guinzaglio). La piacevolissima escursione lungo il sentiero che suggeriamo, privo di particolari difficoltà, attraversa per intero i 7 chilometri di splendida costa quasi del tutto incontaminata. Molti gli scorci su cale e scogliere da ricordare, camminando fra carrubi e agavi dalle infiorescenze colonnari.

Ma la specie simbolo tra le piante dell’area protetta è senza dubbio la palma nana, l’unica a crescere spontaneamente nel Mediterraneo, che qui è presente in singolare abbondanza. In realtà il gran numero di palme e anche le loro dimensioni si spiegano con una passata attività di coltivazione, volta al confezionamento di molti oggetti d’uso quotidiano come borse, scope, cappelli, ventagli per attizzare il fuoco che si realizzavano con le foglie.

Quanto agli animali, l’incontro più ambito è invece quello con la rarissima aquila del Bonelli, una coppia della quale nidifica sulle pareti rocciose della riserva, ma bisogna starsene a testa in su e avere non poca fortuna. Vivono qui anche falchi pellegrini, gheppi e poiane, mentre volgendo il binocolo verso il mare spesso si individuano le sagome delle berte maggiori e minori a caccia sulle onde.

Passando in successione Cala del Varo, Cala della Disa, Cala Berretta e Cala Marinella si giunge alla contrada Uzzo, presso cui è possibile visitare il Museo della Civiltà Contadina e dove si trova un’area attrezzata per la sosta (con possibilità di rifornimento d’acqua).

Per il ritorno non resta che ripercorrere il sentiero dell’andata; per i più allenati, vicino all’ingresso nord – quello di San Vito Lo Capo – c’è anche un Museo delle Attività Marinare. Oltre al percorso costiero qui presentato, ce ne sono uno a mezza costa e uno ancora più in alto, verso le falesie calcaree che raggiungono quasi verticalmente i 913 metri di quota.

Sardegna • Parco Nazionale del Gennargentu

Parco del Gennargentu: la spiaggia di Cala Luna.

La costa del Supramonte

Dislivello assente • Tempo di percorrenza 8 ore e mezzo circa, soste comprese

Quello tra Santa Maria Navarrese e Cala Gonone è il tratto più selvaggio delle coste italiane: una successione di cale, pinnacoli, spiagge da sogno – da ammirare necessariamente dall’acqua – affacciate su un mare che ha pochi eguali nell’intero Mediterraneo. Lasciata Santa Maria Navarrese, la barca parte dal gigantesco faraglione della Pedra Longa o Agugliastra, ben 128 metri di altezza. Alle sue spalle si susseguono cime dall’aspro profilo come il Monte Argennas, la Punta Giradili, il Monte Ginnircu.

Il capo di Monte Santu, un susseguirsi di alte falesie oltre le quali si apre l’ampia mezzaluna del Golfo di Orosei, durante tutta l’estate è sorvolato dalle snelle sagome di stormi di uccelli che intrecciano nel cielo le loro rapide traiettorie: sono i falchi della regina, rarissimi altrove e che proprio qui hanno invece una delle roccaforti mondiali, con decine e decine di coppie nidificanti. Si chiamano così in onore di Eleonora d’Arborea, illuminata sovrana del XIV secolo la quale promulgò norme ambientaliste ante litteram a tutela di questo rapace, che divide la sua esistenza tra la Sardegna e il Madagascar.

Parco del Gennargentu: la costa.

Doppiato il capo si incontrano le tre insenature di Portu Pedrosu, Portu Quau (che vuol dire nascosto) e Portu Iltiera. Poco dopo si incontra lo scenario forse più stupefacente, e cioè le acque di un turchese indescrivibile dove si specchiano le guglie di Cala Goloritzè. Continuando verso Cala Gonone, dopo altre spiagge e falesie si arriva a un’altra meta ben nota, Cala Sisine. Alla conclusione dell’omonima codula si apre l’autentico gioiello di una spiaggia circondata dalle rocce e dalla verde foresta di leccio e ginepro.

Parco del Gennargentu: la grotta del Bue Marino.

Dopo 5 chilometri di scogliere verticali, grotte e foreste costiere, l’arrivo a Cala Luna è davvero di quelli che non si dimenticano, soprattutto per chi ci mette piede la prima volta. La candida spiaggia si allunga tra il mare e uno stagno, bordato di oleandri e formato dalle acque dolci del rio che percorre la valletta. Sei enormi grotte si aprono sul lato settentrionale proprio davanti al mare, in un contesto di incomparabile bellezza.

Tre chilometri dopo Cala Luna la falesia è bucata da un’altra cavità, la celebre Grotta del Bue Marino che, con i suoi 4.200 metri di sviluppo, è una delle maggiori dell’isola: il nome e la fama derivano dalla presenza, fino a pochi decenni fa, dell’ultima popolazione italiana di foca monaca. Dei due rami della grotta, quello nord è attrezzato turisticamente e presenta una complessa successione di gallerie e caverne, allagate dalla lingua di mare che si inoltra nelle visceri della montagna. Più avanti c’è solo la piccola baia di Cala Fuili, già colonizzata dal turismo balneare, prima dell’animatissima spiaggia di Cala Gonone.

Sardegna • Parco Nazionale dell’Arcipelago di La Maddalena

Parco della Maddalena: la spiaggia a Caprera

Cala Coticcio

Dislivello 105 metri • Tempo di percorrenza 2 ore circa

Cala Coticcio non è solo una delle meraviglie di questo parco, ma anche uno degli scorci costieri più straordinari dell’intera Italia protetta. Da La Maddalena si arriva a Caprera con il ponte della Moneta e si prosegue per circa 2 chilometri. Superata la deviazione a sinistra per la casa di Garibaldi e quella per la Cala Brigantina a destra, ecco l’indicazione del sentiero numero 2, segnato con tracce bianche e rosse. Da visitare prima o dopo l’escursione è il vicino forte delle cosiddette Batterie Arbuticci o Garibaldi, eretto assieme a molti altri sull’isola nel 1887 per uno degli interventi di fortificazione che periodicamente hanno interessato l’arcipelago, situato in posizione strategica.

Parco della Maddalena: macchia mediterranea.

Parcheggiato il camper, s’inizia a camminare tra i roccioni di granito e la rigogliosa macchia di erica, corbezzolo ed altre aromatiche essenze sempreverdi. Dopo l’iniziale saliscendi si supera una casermetta e più avanti si procede in discesa verso il mare, con vista a tratti sugli isolotti dei Monaci. Siamo sulla costa orientale di Caprera e le uniche tracce dell’uomo sono le barche che solcano incessantemente uno dei mari più decantati del Mediterraneo.

Giunti all’istmo del promontorio di Punta Coticcio, al termine di un tratto più ripido che segue le tracce di una scalinata, scendendo a sinistra ci si affaccia su una prima baia rocciosa; la nostra meta è invece sulla destra e appare come una mezzaluna bianca incastonata tra il verde degli arbusti e l’azzurro dell’acqua, dalle tonalità incredibili. Camminando tra le rocce si può raggiungere una seconda spiaggetta, poco più avanti, bordata da giunchi e ginepri. Si torna per la via dell’andata, camminando in tutto un paio d’ore.

Qui i Parchi Nazionali del Nord Italia

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