Paradiso a sorpresa

In camper e kayak alla scoperta dell'isola meno turistica dello Jonio greco: a Lefkada, collegata alla terraferma da un ponte, ottime possibilità di sosta facilitano la visita dei pittoreschi paesini e il soggiorno marino in vista di spiagge da favola, che in bassa stagione sono ancora più solitarie e invoglianti.

Indice dell'itinerario

La mattina presto i pescherecci con gli uomini in cerata gialla partono dai porticcioli di Lefkada, ma invece di raggiungere il mare aperto attraccano poco lontano, a qualche metro dalla battigia, gettando le reti sulle sardine che si riuniscono a centinaia per sfuggire ai delfini. Tursiopi e stenelle, che popolavano le pitture dei palazzi della Grecia classica, sono ancora talmente numerosi nelle acque elleniche verso l’Italia che a Kalamos, isoletta di fronte a Lefkada, si trova uno dei centri di ricerca più famosi del prestigioso Istituto Tethis.
I simpatici mammiferi marini sfruttano le correnti dei canali tra le isole arrivando a caccia di pesci sino a riva, ed esplorare in canoa queste coste può voler dire vivere l’esperienza meravigliosa di essere circondati da un branco. Noi continuiamo a guardarci intorno pieni di speranza, cercando anche un minimo soffio e annusando l’aria per avvertire quell’odore di pesce di cui parlano gli esperti. Eppure, quando l’acqua si fa scura per l’ombra di una nuvola o perché si naviga su una macchia di poseidonia e si rema senza sapere cosa c’è sotto, si avverte una certa inquietudine: i quattro metri dell’agile bestiola sarebbero quasi più lunghi dei nostri kayak. Poi finalmente il grido, «Laggiù, a sinistra!», e allora ci affrettiamo a pagaiare verso gli spruzzi cercando le pinne nell’acqua che sembra ribollire, ma alla fine scorgiamo solo un branco scomposto di tonni in caccia.
Continuiamo a studiare attenti l’acqua e la costa attorno a noi, facendo anche divertenti scoperte sulle continue vittorie della natura che sfrutta a proprio vantaggio le disattenzioni dell’uomo. Un barattolo di plastica abbandonato alla deriva, ad esempio, è diventato il rifugio di alcuni piccoli pesci bianchi a righe nere, dall’aspetto molto tropicale, mentre la bottiglia del latte, da mesi a galla e ormai ricoperta di alghe, ospita un minuscolo granchio ben mimetizzato, sovrano indiscusso della sua minuscola isola artificiale. Le stelle marine, che in un primo momento ci sembravano pezzi di vetro colorato gettati sugli scogli, sono proprio come quelle perfette a cinque punte che disegnavamo da bambini sul seno delle sirene: ce ne sono di color rosso fuoco, con le estremità contorte e strappate dai predatori, o arancio, come lunghe dita affusolate che abbracciano il reef.
Ma il momento più emozionante, per chi esplora Lefkada con il v.r. e il kayak, sono le grotte. Quelle di Meghanisi, ad esempio, due enormi buchi rotondi scavati nella parete calcarea: viste dall’interno, con le stalattiti che pendono dal soffitto proprio sull’ingresso e le piante rampicanti che calano dall’alto, paiono la grande bocca dentata di una balena. O quelle più piccole della costa meridionale dove, con la coda dell’occhio, si possono scorgere i moscardini di campagna scesi a bere l’acqua dolce che percola dalle pareti. Grotte abitate, con un grosso nido di taccola sul fondo o un ricamo di fango di rondine all’entrata. Grotte sante, dove si rifugiavano i pescatori durante le tempeste, con tanto di lumino e offerta di cinque euro che rimane intoccata, ad ulteriore dimostrazione della proverbiale onestà greca. In uno stretto e bassissimo pertugio di roccia bianca riusciamo ad entrare solo sdraiandoci sulla canoa e aspettando il ritirarsi dell’onda: nella cavità più ampia all’interno il respiro del mare rimbomba come un ruggito feroce. Quando gli occhi si abituano alla penombra scorgiamo una seconda camera completamente ricoperta di concrezioni: stalattiti e stalagmiti, colonne, cascate e drappeggi illuminati solo dal riflesso del sole sull’acqua. All’uscita un anziano pescatore sulla sua malmessa e squadrata barchetta ci sorride con la bocca completamente sdentata, il viso rugoso seminascosto dall’intrico di barba e capelli, e ci indirizza un lunghissimo saluto in greco sollevando il gigantesco polpo che ha pescato. Dalla vetta del monte Phirgos, ad oltre 1.000 metri di altitudine, gettando lo sguardo sullo specchio di mare di fronte appare per prima Itaca insieme a Meganissi e a Kalamos, poi Cefalonia, più giù ancora Zacinto, tutte davanti a noi su una fila che si allunga per poco più di 100 chilometri, così vicine che nelle giornate limpide di maestrale si crederebbe di poterle raggiungere a nuoto. Difficile immaginare che l’astuto Ulisse potesse perdere la rotta, e infatti alcuni studiosi hanno sollevato dubbi sul legame fra l’omerico esploratore e l’odierna Itaca: secondo l’archeologo tedesco Wilhelm Dörpfeld sarebbe stato proprio a Lefkada, la Bianca, ben riconoscibile per il suo candido sperone, che Penelope avrebbe atteso il suo sposo vagabondo.
Comunque sia, quest’isola è il paradiso che non ti aspetti, fuori dai canoni prestabiliti di bianche casette dalle finestre azzurre: mulini sulla spiaggia, forre e cascate, fioriture di ciclamini fin sulla riva al riparo di boschi di platani, villaggi di laguna, pescatori di acqua dolce. E poi spiagge riparate dai venti, innumerevoli grotte da esplorare, promontori selvaggi e deserti dove pernottare in vista del mare e godersi il tramonto. L’ideale, insomma, per una vacanza pleinair con il piccolo natante al seguito.

In camper via terra
Primo approdo per chi arriva percorrendo il ponte dalla terraferma, Lefkada è la cittadina che dà il nome all’isola (anche se non è più geograficamente tale essendo ormai unita ai Balcani continentali). La caratteristica più curiosa, che si nota a prima vista, è l’architettura delle case che ricorda i borghi di pescatori delle lagune nordeuropee: le pareti hanno un’intelaiatura di legno a croce riempita di pietrame leggero, con angoli in pietra e, a chiudere il tutto, bandoni di metallo che però qui vengono colorati e ingentiliti con bordi in legno, talvolta intarsiati, mentre i balconi sono anch’essi in legno o in ferro battuto e ogni finestra è addobbata da fiori coloratissimi. Sui tetti svettano, ancora più singolari, i due campanili di metallo con una struttura che ricorda la Torre Eiffel.
A ridosso del ponte si incontra il castello di Aghia Mavra, costruito all’inizio del ‘400 dagli Orsini e rimaneggiato nel XVIII secolo durante la dominazione veneziana; la sosta, anche notturna, è consentita nel parcheggio del complesso, visitabile liberamente tutti i giorni dalle 9 alle 15. Il castello delimita l’accesso alla spiaggia di Ghiras, una lingua di terra di 4 chilometri che cinge la laguna Limnothalassa, all’estremità settentrionale dell’isola, e questa lunga striscia di spiaggia è l’unico luogo dove il pernottamento con il camper non è ben visto.
Arrivati all’ingresso del nucleo urbano di Lefkada conviene lasciare il mezzo nell’ampio parcheggio (in parte sterrato) del porto turistico, perché le strade sono molto strette. Nonostante la presenza di alcune roulotte di gitani, la zona è sicura durante le ore diurne. Si entra quindi in centro lungo il corso principale, che prende il nome di Dörpfeld in omaggio all’archeologo e poi di Ioànnou Méla. Lungo la via si incontrano tre delle principali chiese, tutte del XVII secolo: Aghios Spyrìdon, Pandokràtor, ovvero Cristo Creatore, e Isodia tis Theotòkou, la Presentazione della Vergine. La cattedrale invece è situata lungo la traversa Mitropoleos, dietro l’ospedale.
Il tour dell’isola in camper non presenta grandi difficoltà neppure per veicoli di grosse dimensioni, a patto di evitare le tortuosissime discese verso le spiagge della costa occidentale. Usciti dal capoluogo in direzione ovest, verso Kalamitsi, troviamo il monastero di Faneroméni (aperto tutti i giorni dalle 8 alle 14 e della 16 alle 20, ingresso libero) che è il principale monumento religioso dell’isola: originario del ‘600 ma ricostruito dopo un incendio nell’800, può essere visitato parcheggiando nello stretto spiazzo antistante. Quindi la strada comincia a salire, nel tratto forse più angusto del percorso, offrendo una stupenda panoramica sul versante settentrionale di Lefkada. Proseguendo verso sud-ovest ci si ritrova su una costa alta e ripida di bianche montagne calcaree che l’acqua piovana, raccolta in impetuosi torrenti, dilava in forre e cascate, sino a creare lunghe e ampie spiagge di sabbia candida. Tutta la costa occidentale è molto esposta al vento di maestrale e tramontana, ma offre vari approdi e possibilità di mettere in mare il kayak.
Skala Ghimalou (indicazioni solo salendo verso nord) è la prima spiaggia raggiungibile dalla strada principale tra Lefkada e Aghios Nikìtas, ma la strada stretta e franata sul fondo è adatta solo a camper di dimensioni ridotte. Basta però proseguire per pochi chilometri fino alle lunghe spiagge di Aghios Nikìtas e di Kàthisma, molto più comode da raggiungere a bordo di mezzi di grosse dimensioni, con possibilità di sosta anche notturna e in vista del mare. Merita una visita anche il villaggio di Aghios Nikìtas, una delle più caratteristiche località di Lefkada.
Sempre più isolate e deserte mano a mano che si scende verso sud, le spiagge di Kalamìtsi, 5 chilometri di stretti tornanti su asfalto che conducono a una splendida situazione di sosta libera, Komìli, da raggiungere con un ultimo tratto a piedi attraverso il piccolo parcheggio privato dello stabilimento balneare, e infine Gialou, a ovest di Athani. Una striscia di asfalto nero segue purtroppo la costa per 3 chilometri, dopo una discesa a tornanti spettacolare e altrettanto lunga, ma anche qui le possibilità di sosta libera sono ottime.
Più famose, ma per fortuna ancora praticamente deserte, le spiagge di Egremnì, raggiungibile con un breve tratto di sentiero, e di Katsìki, verso l’estremità sud-orientale dell’isola, un arenile riparato dai venti da una parete di roccia bianca con un pittoresco ponticello sospeso. Una cinquantina di scalini dividono la spiaggia dal parcheggio con le taverne, dove c’è un ampio spazio anche ombreggiato per i camper. Da Vassiliki, che i possessori di mezzi agili potranno visitare parcheggiando oltre il porto, vale la pena effettuare un’escursione nell’entroterra in direzione Sivros. Il paesaggio è del tutto inaspettato: pascoli fioriti di crochi e ciclamini, vigneti di quota con le piantine basse tipiche dei Balcani riparate da muretti a secco, santuari da cui lo sguardo spazia verso le isole joniche, grotte di eremiti o rifugi preistorici, mulini a vento che svettano su villaggi di pietra abbandonati, foreste di castagni e platani che nascondono un tesoro di funghi giganti. Oltre Sivros la strada diventa un purgatorio di tornanti e curve fino ad Aghios Ilias e, dopo un angusto passaggio nel paesino, si fa ancora più stretta fino al monastero di Aghia Paraskevi. Un tratto di sterrato molto panoramico, circondato da rocce laviche multicolori, conduce a Egklovì da dove si può scendere su asfalto verso Vafkeri. Prima di arrivare a Nidri, al centro della costa orientale dell’isola, si può visitare una cascata raggiungibile a piedi con una piacevole passeggiata (ma al nostro passaggio il sentiero era chiuso da una frana).
I conducenti meno esperti o che non abbiano voglia di affaticarsi troppo su questi tortuosi percorsi potranno raggiungere il versante est da Vassiliki continuando in senso antiorario. Conviene effettuare quasi subito la bella deviazione per Maradochori, continuando per Evgiros e poi per il promontorio di Capo Lipso, percorso da strade più strette ma transitabili. Peccato che i posti per parcheggiare siano pochi, perché la zona sarebbe ideale anche per la notte. Salendo ancora verso nord-est si incontrano le due baie di Sivota e Poros, incantevoli ma con una lunga sequenza di tornanti per raggiungerle, pochi posti per il parcheggio e nessuna possibilità di sosta notturna.
Più a nord il parcheggio lungomare di Vlichò, piccolo borgo di pescatori che dà il nome alla baia, è il punto di partenza per esplorare il promontorio di Gheni: a piedi, in bici – visto che finalmente la strada è quasi in pianura – oppure, con furgonati o piccoli camper, arrivando alla punta di Aghia Kiriaki o seguendo lo sterrato che costeggia il canale di Meghanisi.
Da Nidri, dove il camper si può parcheggiare sul molo turistico dietro il paese, partono invece le escursioni in barca per le isole. La vicina Meghanisi è raggiungibile in chiatta a un costo abbastanza contenuto, con partenze giornaliere, e offre molte opportunità di pernottamento sul mare lungo la strada che percorre il lato nord, mentre il promontorio di Capo Kefali rimane inaccessibile.

In kayak sul versante sud
A Vassiliki si può mettere in acqua il kayak nella spiaggetta in fondo al porto, dietro il frangiflutti con il faro, lasciando il v.r. nel parcheggio con il casottino dei biglietti per il ferry che porta alle isole.
Seguendo la costa verso sud, in circa 25 minuti di pagaiata si arriva a una piccola spiaggia bianca con cipressi e pini che arrivano quasi fino al mare, ideale per prendere un po’ d’ombra se accaldati. Poco dopo si incontra una piccola grotta, con un bell’arco in pietra che si può attraversare studiando l’onda. Passato Capo Trachilos, in altri 10 minuti si arriva alla spiaggia di Aghiofili, protetta da una parete ripida di roccia bianca e ocra (il luogo è raggiungibile anche a piedi dall’entroterra attraverso un impegnativo sentiero). Ancora una decina di minuti per arrivare in prossimità del camping Kastri, indicato anche dal mare, che ha una piccola spiaggia riparata subito dietro il promontorio. Doppiato Capo Kastri si entra nella baia di Amousa e si prosegue lungo costa per arrivare in circa mezz’ora all’omonima spiaggia, su cui si affacciano alcune taverne. Pagaiando ancora per 10 minuti si arriva in fondo al golfo, a un’estremità molto riparata dal vento (raggiungibile anche da terra con uno sterrato praticabile da piccoli veicoli). Il promontorio che da qui si protende ancora verso sud-est è una groviera di minuscole grotte, dentro cui percola anche acqua dolce, popolate da topolini, pipistrelli, colombe, falchi, rondini e ovviamente pesci e stelle marine. Sono necessari altri 35 minuti per doppiare Capo Lipso lungo una scogliera terribilmente aguzza e senza approdi, da non affrontare se siete affaticati. I più allenati potranno invece procedere ancora verso la spiaggia di Efteli, l’approdo marino del paese di Efghiros, tenendo conto che per doppiare Capo Logì e risalire lungo tutto il promontorio di Lipsò ci vuole quasi un’ora.

In kayak alle isole
Per visitare alcune delle isolette situate in prossimità della costa sud-occidentale si può partire dal borgo di Vlichò, aggiungendo una buona mezz’ora di pagaiata all’itinerario; oppure direttamente dalla spiaggia di Dessimi, indicata soprattutto per i campeggi Santa Maura e Dessimi (i mansardati oltre i 7 metri possono avere qualche problema di accesso). Mettendo in acqua il kayak dal piccolo litorale sassoso si inizia costeggiando verso sud, mantenendo sulla destra il promontorio di Kastro. La costa è seguita da una strada sterrata, mentre una fila di piccole spiagge di sassolini candidi permette numerose soste. In circa 35 minuti si arriva al punto più stretto del canale di Meghanisi, dove si può attraversare verso l’omonima l’isola facendo attenzione ai pescherecci e ai motoscafi. Arrivati in circa un quarto d’ora sul lato opposto, altre spiagge sabbiose ci accompagnano per qualche minuto verso sud; quindi, dopo un ultimo approdo protetto e sassoso, la costa si fa ripida e inaccessibile, costellata di grotte, sino ad arrivare in circa mezz’ora alle grandi e imperdibili Joannis Cave e Papanikolis Cave, dove possono entrare anche i battelli. Si può tornare alla base costeggiando il più a lungo possibile l’isola, passando nel piccolo canale tra il minuscolo isolotto di Thilia e la scogliera e tagliando da qui per Dessimi con una pagaiata di venticinque minuti.
Ancora da Dessimi, costeggiando verso nord per venticinque minuti il promontorio di Prinos sino alla spiaggia Fraxia, in un quarto d’ora si può attraversare per Skorpios, l’isola privata che venne acquistata negli anni ’60 dall’armatore greco Onassis. E in quest’altro angoletto di paradiso, escluse le emergenze, non è consentito lo sbarco.

Testo di Federica Botta

Foto di Alessandro De Rossi

PleinAir 430 – maggio 2008

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