Paradiso del fondo in Val Badia

Passeggiate a ritmo lento nel tempio della discesa libera: belle sorprese tra Corvara e Selva di Val Gardena.

Indice dell'itinerario

Finora non si può dire che abbiamo scoperto nulla, se non dove trovare la neve anche in situazioni quasi disperate. Le scoperte invece le abbiamo fatte, incredibile ma vero, proprio là dove meno ce lo aspettavamo, e cioè nel tempio incontrastato dello sci da discesa, in quel comprensorio che va da Corvara a Selva di Val Gardena e che anche morfologicamente non sembra proprio il più vocato per questa disciplina.
Tornando da San Vigilio lungo la Val Badia e puntando verso sud si percorre una valle dapprima stretta e cupa, che salendo si allarga arrivando al centro di La Villa. Qui troviamo un efficiente ufficio turistico che ci informa sia sui punti di sosta che sui campi per lo sci di fondo.
La sosta viene normalmente effettuata presso il campo sportivo (l’ultimo sulla sinistra), al termine di una lunga discesa che rende questo posto alquanto isolato dal paese e poco pratico, ma almeno tranquillo. Lo è certamente più del parcheggio delle funivie (protetto da una barra che tuttavia era alzata) dove bisogna scappare di primo mattino per non restare intrappolati per tutto il resto della giornata.
I campi da sci si trovano invece in una stupenda piana, detta della Armentarola, nei pressi del vicino paese di San Cassiano. Lo scenario è anche qui davvero superbo; la pista, curatissima, è straordinaria sia per la bellezza dei panorami che offre in ogni punto sia per la gradevolezza del percorso, e pur annodandosi con infinite contorsioni attorno allo stesso posto per circa 7 km è così invitante che si è portati a percorrerla due e anche tre volte prima di abbandonarla. Alla base c’è un comodo parcheggio.
Dalla parte opposta della strada d’accesso si apre poi una vallata molto invitante, ma in questo caso l’innevamento non è così sicuro e anche la manutenzione non è all’altezza dell’altra zona, non a caso indicata come “paradiso del fondo”. Appellativo meritato, diremmo.

PleinAir 317 – dicembre 1998

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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