Panorami di Lucania

Con i monti alle spalle, una corona di paesi collinari si affaccia sulla grande pianura della Murgia fra la valle del Bradano e quella del Basento: tappe d'elezione per un pleinair di appagante tranquillità, e con più di un inedito motivo d'interesse.

Indice dell'itinerario

Non conta più di 700.000 abitanti, la Basilicata. «Ci conosciamo tutti» è voce ricorrente, anche se vivono in nuclei appartati, un terzo nei capoluoghi di provincia Potenza e Matera, i restanti in un arcipelago di paesi presepio galleggianti su un oceano di verde e tenuti in ordine come salotti: ricami alle finestre, chiavi di casa sulla porta e vicoli fioriti dove risuonano antichi dialetti e giochi di bambini. Distanti l’uno dall’altro solo pochi chilometri, eppure isolati nella loro unicità da infinite serpentine d’asfalto, questi luoghi hanno saputo adeguarsi ai nuovi costumi conservando quei valori della tradizione rurale e della famiglia, quel gusto della buona creanza e delle piccole cose che inteneriscono il cuore. Hanno anche mantenuto le caratteristiche ambientali della posizione geografica, come l’architettura di transizione tipica degli insediamenti di confine. E la Basilicata, regione prevalentemente montuosa, di confine vero e proprio ne ha uno solo: quello tra l’Appennino Lucano e la grande pianura della Murgia. Se guardiamo la carta geografica notiamo che a segnare questo limite fisico è la valle del Bradano e che, dalle alture circostanti, una corona di centri abitati più o meno grandi affaccia sull’infinito. Ecco allora un itinerario che compie un anello di circa 110 chilometri con partenza e ritorno a Matera, includendo tre tappe del tutto inedite: una proposta da non trascurare se si dedica un viaggio alla città dei Sassi.

Mantegna a sorpresa
Dal capoluogo, percorrendo la superstrada Bradanica verso nord e bordeggiando basse colline coltivate a grano, dopo circa 40 chilometri si vede apparire come un miraggio Irsina. Una cerchia di mura, rinsaldata a metà del secolo scorso, trattiene sul ciglio di uno sperone tufaceo questa nobile quanto misconosciuta cittadina, mentre in secondo piano il sole accende l’intonaco delle case bianche, già di sapore pugliese. Non meno scenografico, con la possente fabbrica della cattedrale che magnetizza le prospettive, è l’ingresso dal versante opposto lungo il viadotto che cuce il nucleo più antico all’addizione ottocentesca, posti sui due versanti di un ampio avvallamento. Ordinata su un impianto a scacchiera, la zona nuova offre al camper le poche e uniche risorse di parcheggio; mentre il centro medioevale, a circa 500 metri, non può che essere visitato a piedi.
Il nome Irsina è relativamente nuovo: fino al 1895 si chiamava Montepeloso, per via dei boschi che un tempo la circondavano. Ma la sua origine – senza contare le numerose testimonianze di insediamenti preistorici – risale alle colonizzazioni greche, poi municipio romano. Rasa al suolo una prima volta dai Saraceni nel X secolo, risollevatasi e aspramente contesa da Bizantini e Normanni, fu distrutta una seconda volta nel 1133 durante una faida tra signorotti locali. Ricostruita da Svevi e Angioini, in seguito passò nelle mani di vari feudatari anche dopo il 1452, anno in cui fu nominata sede vescovile. Conobbe inoltre moti libertari, spalleggiando le sommosse della Repubblica Partenopea nel 1799 e la carboneria durante il Risorgimento. Insomma, una storia lunga e tormentata che vari segni fanno riaffiorare qua e là durante la visita. Non vale però seguire un percorso preciso: meglio farsi guidare dalle consuetudini dei residenti, dagli umori che tingono l’aria, dai richiami di luce che filtrano tra i vicoli aperti sulla campagna. Le emergenze vengono incontro da sole, a cominciare dalle porte urbiche, dalla torre di vedetta del 1200, ora Torre dell’Orologio, e dalla citata cattedrale dell’Assunta, fondata nel XIII secolo ma ampiamente rimaneggiata alla fine del XVIII. Qui in particolare si è attratti da alcune pregevoli opere d’arte, una delle quali è diventata un caso mettendo in subbuglio gli amministratori pubblici: una statua della patrona Santa Eufemia che è stata recentemente attribuita al Mantegna (vedi riquadro “Il grande Andrea”). Altri notevoli beni culturali, come tele di scuola napoletana del ‘700 e un ciclo di affreschi di fine ‘300, si possono ammirare nella chiesa e nella cripta di San Francesco, fondate da Federico II di Svevia sui resti di un castello normanno, mentre nell’attiguo convento è di imminente apertura il nuovo Museo Janora, che conserva reperti archeologici rinvenuti in loco.
Nel breve tragitto fra il duomo e il complesso francescano, tra Via Roma e Piazza Garibaldi si ha modo di apprezzare l’architettura aulica di alcuni palazzi nobiliari, dal più antico palazzo Nugent (XII-XIII secolo) allo Janora dal bugnato a diamante. Ma è soprattutto la spontaneità degli edifici minori e delle abitazioni a rubare la scena, componendo deliziosi quadretti di vita domestica e di arredo urbano, che lasciano trasparire l’amore degli irsinesi per il decoro.

Balconi lungo l’Appia
Lasciamo Irsina con due opzioni: proseguire diritti verso Tolve per un fuorirotta sino alle pale eoliche di Cancellara (vedi riquadro “Via col vento”) o attenersi all’itinerario principale. In questo caso, dopo 2 chilometri occorre imboccare in discesa la provinciale che punta sul Bradano, scavalca l’altura opposta e infine risale incontro alla statale 7. Giunti al bivio non si può non andare e tornare alla vicina Tricarico, luogo natale del poeta e politico Rocco Scotellaro. Che il paese sia stato da sempre uno strategico caposaldo lungo la Via Appia lo si capisce dal notevole apparato difensivo, dalla rilevante estensione del centro storico che include un quartiere d’impronta araba (La Rabata) e dalla stessa espansione extra moenia. Né l’abitato manca di singole preziosità, dalla cattedrale romanica al castello, fino ai due conventi isolati del Carmine e di Sant’Antonio.
Soddisfatti della visita, possiamo tornare a riannodare l’anello curva dopo curva, guardando ora verso occidente sulla valle del Basento e sugli Appennini, ora verso oriente sul panneggio di aridi calanchi e floride coltivazioni che inseguono l’orizzonte. La strada si mantiene su questo spartiacque e in breve raggiunge Grassano, popoloso centro agricolo sviluppatosi soprattutto in anni recenti, che ne occupa una posizione dominante. Dal sagrato di San Giovanni Battista, la chiesa madre che emerge dal nucleo antico su una rupe, si gode un panorama inebriante; non da meno è l’effetto del vino locale che si conserva nelle grotte scavate alla base della roccia e ora interessate da un progetto pubblico di valorizzazione.
Apprezzato qualche gradevole scorcio urbano, riprendiamo il camper: appena 13 chilometri ci separano da Grottole. Qui l’attenzione va sì ai singoli monumenti, ma soprattutto al tessuto connettivo. Fra l’imponente parrocchiale barocca di Santa Maria Maggiore (ancora una terrazza panoramica), la protoromanica Santa Maria La Grotta ora dedicata a San Rocco, la coreografica chiesa diruta dei Santi Luca e Giuliano e il castello longobardo del IX secolo, si sommano pittoreschi moduli edilizi di tradizione mediterranea in parte già visti a Irsina e spesso composti a formare vicinati, come nell’antica Matera. L’accostamento ai Sassi non è casuale: lo confermano i numerosi ambienti rupestri che affiancano le abitazioni e che da tempo immemorabile vengono adibiti alla lavorazione artigianale di vasi e oggetti di terracotta.
Di nuovo sulla statale, dopo altri 13 chilometri sostiamo a Miglionico. La ricerca di un parcheggio proporzionato al camper richiede qualche impegno, ma serve a dare la misura di questa cittadina di rilievo storico e artistico. Più volte fortificata, offre ancora un percorso anulare tra resti di mura e ampi belvederi sul Bradano e sul lago artificiale di San Giuliano. In disparte dal centro storico sorge invece il suo maggior vanto: il castello aragonese, all’apparenza molto ben conservato ma non visitabile. In compenso si passeggia piacevolmente nell’abitato dove si apprezzano la bella parrocchiale, gli affreschi del XV secolo nella chiesetta della Trinità e, sorpresa, nientemeno che un polittico di Cima da Conegliano conservato nel piccolo convento di San Francesco. Dopo Miglionico la Via Appia punta su Matera, a chiudere il cerchio. Ma verso sud, poco discosto su un’altura isolata un altro paese balcone, Montescaglioso reclama una sosta. A costituire il primo embrione del suo sviluppo urbano fu l’abbazia di San Michele Arcangelo, fondata dai benedettini nell’XI secolo e accresciutasi a dismisura nel tempo, specialmente fra ‘600 e ‘700 (non a caso il pieghevole della Pro Loco è intitolato Montescaglioso città monastero). Anche se in seguito sorsero altri edifici conventuali, chi arriva vuole visitare innanzitutto il primo: troppo spesso però lo trova chiuso per via degli interminabili restauri, ed è fortunato se nei pressi incontra un simpatico giovanotto di 85 anni che ne ha le chiavi e si offre di fare gli onori di casa senza lasciarsi pregare. Si chiama Vito Salluce: bersagliere durante l’ultima guerra e poi partigiano, non è un custode ma l’attuale presidente provinciale dell’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci che ha sede proprio all’interno dell’abbazia (vedi riquadro “Un bersagliere tra i falchi”). Della chiesa, inagibile al momento della nostra incursione, si possono percorrere e ammirare unicamente i chiostri al piano terra e qualche sala affrescata al primo piano. Ma, a rischio di sembrare blasfemi, quel che più resta della visita è soprattutto la grande umanità dell’insperato accompagnatore.
Tornati al camper, forzatamente posteggiato fuori dall’abitato, in meno di mezz’ora si rientra alla base di Matera. In tempo per godersi il lieto fine: zuppa di cicerchie, burrata con cime di rapa, tarallucci all’olio e un bicchiere di Aglianico.

PleinAir 440 – Marzo 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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