Per rendere una meta davvero appetibile non c’è niente di meglio del fatto che sia difficile da raggiungere e ad accesso limitato. Se poi a questo si associa un paesaggio da favola, una costa incontaminata e selvaggia in un’atmosfera immutata da secoli, il cocktail è completo e l’attrazione fatale. E’ questo il caso di Aghio Oros Athos, il monte sacro del cristianesimo ortodosso greco: un lungo promontorio – il più settentrionale dei tre che formano la Penisola Calcidica – interamente consacrato al culto e al monachesimo, non facilmente accessibile ai laici e con particolari eccezioni per i pellegrini (o i volenterosi e pazienti turisti a piedi, naturalmente vestiti in abiti decorosi). L’autorizzazione, del resto, si riceve solo dopo aver presentato domanda al Patriarca di Costantinopoli presso il Dhiamonitirion, l’ufficio per il permesso di soggiorno, la cui richiesta si può inoltrare per mezzo di agenzie locali e prevede solo un 10% di stranieri ammessi, in genere dopo mesi di attesa.
Quasi come fosse una tradizione per le cime sacre di ogni religione, spesso una linea di nuvole e foschia nasconde la vetta dell’Athos, 2.033 metri a picco su una costa rocciosa, dove sono ospitati venti laure (monasteri), dodici skiti (conventi minori) e almeno duecentocinquanta piccole comunità di monaci sorte attorno a una chiesa o santuario. Con una popolazione di circa 1.500 abitanti fra pope e altri religiosi, il territorio è riconosciuto addirittura dalla Costituzione greca come Repubblica Teocratica Indipendente ed è stato inserito dall’Unesco nel patrimonio dell’umanità: i suoi più antichi monasteri, come il Megisti Laure che sorge a Karyes, la capitale posta al centro del promontorio, ospitano icone, sculture lignee e gioielli architettonici risalenti al IX secolo. Il Tragos, rotolo di pergamena datato 971, sancisce già formalmente l’indipendenza e la sacralità dell’area.
La caratteristica inconfondibile dei monasteri è la costruzione particolare a torre fortificata, con terrazze e ballatoi sporgenti in legno che spesso i monaci raggiungono, come una volta, mediante ingegnosi sistemi di carrucole e ceste; e ancora oggi gran parte dell’autosufficienza economica dell’Oros Athos si fonda sulla realizzazione di opere di alto artigianato. I pellegrini, suddivisi in base alla nazionalità, vengono ospitati gratuitamente all’interno dei conventi, dove partecipano alle funzioni liturgiche.
Oltre alle difficoltà di ammissione, poiché gli spostamenti avvengono su impervi e faticosi sentieri il monte è una destinazione riservata ai buoni camminatori. Tutti gli altri si possono però rifare con una molto più agevole (e meno spirituale) visita in barca, partendo dal porto di Ouranopolis e ammirando dalla costa i santuari più vicini al mare. Dall’unico approdo, Dafni, è possibile salire a piedi o in autobus fino a Karyes: le donne dovranno comunque accontentarsi del panorama dal mare, ma anche gli uomini privi di permesso di soggiorno non possono entrare nei conventi né spostarsi lungo i sentieri. Il promontorio sacro guadagna ancora di più in misticismo e inaccessibilità se la gita si affronta in canoa, visti i suoi oltre 100 chilometri di coste senza spiagge o altri accessi: compierne il periplo è dunque un’impresa alla portata solo di chi ha grande esperienza.
Molto più abbordabili e adatte anche alle famiglie le isole Amouliani, di fronte a Ouranopolis, da cui si gode un superbo panorama della vetta su spiaggette isolate in un paesaggio dai colori quasi tropicali. Dal porto di Trypiti, piccolo centro abitato prima di Ouranopolis, occorre circa mezz’ora di pagaiata per raggiungere l’antistante Amouliani e l’omonima cittadina. Costeggiandola si arriva in meno di un’ora all’estremità sud-orientale, riparata e deserta. Lo stesso tempo si impiega da Amouliani per remare fino ai grossi scogli che chiudono il golfo, abitati solo da capre e da qualche intrepido campeggiatore che ha accolto con gioia la tolleranza con cui si guarda all’attendamento libero. Almeno un’ora e mezzo è necessaria per tornare a Trypiti tagliando dritto, mentre in meno di mezz’ora si può arrivare a Ouranopolis.
Foto di Alessandro De Rossi
PleinAir 443 – Giugno 2009