Paesaggi nascosti

Nel parco dell'Alto Garda Bresciano, a pochi chilometri dalla Riviera dei Limoni ma in uno scenario già di sapore alpino, i boschi e gli specchi d'acqua della Valvestino e del Lago d'Idro sono un piccolo paradiso dell'escursionismo, tra minuscoli paesetti dalla caratteristica architettura montana dove capita ancora che gli abitanti aprano al turista le porte di casa.

Indice dell'itinerario

Quando si parla di turismo nel Bresciano quasi tutti nominano per prima cosa il Garda, e capita spesso di sentirsi dire che la riviera del nostro lago più grande è molto bella ma anche molto affollata. In realtà, chi sceglie un itinerario in queste zone ha a disposizione una rosa di possibilità piuttosto ampia, che consente di immergersi in ambienti naturali di tutto rispetto traendone grandi soddisfazioni nel soggiorno e nelle attività all’aria aperta. E’ il caso della Valvestino, che dista pochi chilometri dai lidi festaioli della sponda centro-meridionale: vette e altipiani, boschi e prati che d’estate sono un trionfo di verde e d’inverno si coprono di un candido manto, un laghetto che sembra quasi un fiordo incastonato tra gli scoscesi versanti. Dal tepore quasi mediterraneo dell’ambiente gardesano, dove crescono olivi e limoni, si passa in pochi minuti alle atmosfere alpine che introducono al Lago d’Idro, meta naturale dell’esplorazione.

Prime impressioni
Lasciandosi alle spalle i punti di riferimento noti a chi frequenta il Garda (il Monte Baldo sulla sponda veneta e il Pizzocolo su quella lombarda), da Gargnano si stacca la provinciale 9 che sale a Navazzo con splendide vedute sul Benaco ed è il naturale accesso alla valle. La strada è un susseguirsi ininterrotto di curve che seguono ogni sporgenza e rientranza del pendio, ma i chilometri sono solo una quindicina fino alla prima tappa. Superata la diga, ecco apparire la stretta sagoma del Lago di Valvestino, che percorreremo in tutta la sua lunghezza. Una lapide su un muro di contenimento della montagna, all’altezza dell’ultimo ponte, ci rivela che qui passava il vecchio confine tra l’Italia e l’impero austroungarico: il piccolo edificio doganale finì sommerso nel 1962, quando venne sbarrato il torrente Toscolano, e riemerge nei periodi di svuotamento del bacino. La mulattiera che passava da qui risalendo il corso d’acqua era l’unico collegamento tra la valle e il Garda, che si raggiungeva solo dopo ore di faticoso cammino.
Al di là del lago i fianchi della valle si allargano e il territorio inizia ad acquisire caratteristiche più adatte all’antropizzazione. La strada procede ancora tortuosa, ma tra i 700 e i 1.000 metri di quota si incontrano i sette paesi della Valvestino, altrimenti conosciuti come i Sette Fratelli: Armo, Bollone, Cadria, Magasa, Moerna, Persone e Turano. Oggigiorno la comunità è formata nel suo complesso da poche centinaia di abitanti (erano circa 2.000 all’inizio del secolo scorso) e, a riscatto del lungo isolamento, desidera farsi conoscere promuovendo il turismo escursionistico e naturalistico. I visitatori cominciano ad arrivare, ma i ritmi lenti di una volta sono rimasti ed è facile intrecciare qualche chiacchiera con gli anziani, che ci raccontano di quando andavano a scuola – ogni villaggio aveva la sua, poiché la legge asburgica aveva introdotto l’istruzione elementare obbligatoria fin dal 1774 – in classi che contavano più di cinquanta alunni.
Fra un ricordo e l’altro, non perdete l’occasione di ascoltare la leggenda della nascita di questi luoghi. Ce ne sono almeno due versioni: la prima, dai contenuti mitologici, dice che sette fratelli fondarono i villaggi su invito di una sacerdotessa della dea Vesta (alla quale sarebbero dedicate una vetta, una località sul Lago d’Idro e la stessa valle), mentre l’altra vuole che i fratelli si fossero trovati in tale disaccordo da sparpagliarsi nella zona costruendo ognuno un proprio insediamento.
Proseguiamo a questo punto sulla provinciale fino alla località di Molino, da cui una deviazione di 4 chilometri porta a Bollone. La strada, piuttosto stretta, non è consigliabile ai mezzi di una certa dimensione: meglio dunque fermarsi nel parcheggio del ristorante che sorge dove una volta c’era il mulino, proseguendo a piedi. Se invece siete alla guida di un piccolo camper potete provare a salire fino al paese, sostando nella piazzetta d’ingresso dove si trovano una bella fontana e, poco più in basso, il lavatoio. E’ questo il villaggio più nascosto, e forse per tale ragione è anche rimasto il più integro nella struttura originaria: in un continuo saliscendi si va a zonzo come fuori dal tempo tra case di pietra, vecchie porte di legno, qualche ballatoio per essiccare il granoturco e alcuni fienili, molti dei quali ristrutturati e trasformati in abitazioni.
Tornati sulla strada valliva e trascurato un primo bivio per Capovalle, c’imbattiamo dopo qualche chilometro in una rotonda con il busto di Giuseppe Feltrinelli, un commerciante di legname di Gargnano che finanziò la costruzione di questa via carrabile. In altri 4 chilometri arriviamo ai 1.000 metri di altitudine di Magasa, che con circa 150 abitanti è il centro più grande, dotato di vari servizi. Dall’aspetto delle case si può capire che gli abitanti godevano di un certo benessere, derivato principalmente dai pascoli: siamo infatti ai piedi dei prati del Denai, dove sono tuttora in funzione le stalle che producono un formaggio prelibato, il tombea, che profuma d’erba e fiori di montagna. Incontriamo un ragazzino che, superata l’iniziale timidezza, ci racconta l’antica storia della Rocca Pagana, un vicino torrione roccioso di aspetto dolomitico dove trovò rifugio, nel IV secolo, una famiglia che rifiutava di convertirsi al cristianesimo, proclamato da Teodosio religione ufficiale dell’Impero Romano. Su quel nido d’aquila nessuno avrebbe osato avventurarsi, ma l’acqua non mancava e, per procurarsi il cibo, i fuggiaschi derubavano nottetempo le cascine dei dintorni. I figli però sentivano la mancanza di una donna, e rapirono una giovane: ma l’astuta fanciulla, conquistatasi la fiducia dei suoi carcerieri, con la scusa di intrecciare qualche cesto riuscì a farsi portare dei vimini con i quali fabbricò una sorta di catena, riuscendo a calarsi fino alla chiesetta del villaggio. Nella foga di raggiungerla, i fratelli non si resero conto di essere arrivati in paese e i contadini non si lasciarono sfuggire l’occasione di catturarli, liberandosi così dalle loro scorrerie.

Passeggiate in quota
La strada che da Magasa porta a Cima Rest si restringe e sale abbastanza ripida, quindi bisogna mantenere alto il livello di attenzione alla guida, ma una volta in cima lo spettacolo è assicurato: l’orizzonte si apre e il paesaggio si mostra in tutto il suo splendore. Sull’origine dei tanti fienili dal tetto spiovente di paglia, che punteggiano i dintorni, sono state fatte varie ipotesi: chi li vuole di matrice longobarda, chi austriaca e chi invece ungherese; alcuni sono stati ristrutturati e vengono affittati per brevi periodi di vacanze. Numerose scolaresche arrivano fin quassù per visitare il piccolo Museo Etnografico (all’interno di un fienile, per l’appunto) e l’Osservatorio Astronomico, costruito quassù per sfruttare al meglio la limpidezza dell’aria. Oltre a una locanda sulla strada e a un bar in posizione panoramica troviamo il Rifugio Lo Scoiattolo, che offre una trentina di posti letto e una saporita cucina.
Scendendo di quota, sempre fra curve e tornanti, la strada finisce a Cadria dove ci sistemiamo nella piazzetta all’inizio dell’abitato. E’ forse questo il paese più piccolo della valle, con una chiesa in miniatura che ha conservato le forme originarie e vari affreschi. L’accoglienza dei pochi abitanti è fantastica e ci invitano nelle loro case – come ci capiterà anche altrove – a bere un caffè. Singolare la tradizione del posto, risalente a un lascito testamentario del ‘500, di distribuire pane e vino il 10 agosto in onore di San Lorenzo, al quale è dedicata la chiesina. Le due piccole campane avevano invece il compito di allontanare gli istriù, misteriosi stregoni che potevano trasformarsi in qualunque cosa: a volte si mutavano in spaventosi nubifragi che prendevano di mira il villaggio, ma bastava dar voce alle campane per scongiurare il pericolo. Il signor Massimo, che di Cadria sa tutto o quasi, ci spiega che sino a una ventina d’anni fa c’era ancora qualche vecchietto che, all’avvicinarsi di un temporale, correva a suonarle.
Da Cadria partono due interessanti itinerari escursionistici. Il primo, indicato come Percorso Naturalistico n. 2, richiede circa 4 ore e supera un dislivello di 400 metri (indispensabile rifornirsi d’acqua prima della partenza). Dopo una sterrata si attraversa il torrente Proaglio, si sale fino a raggiungere i resti di una malga e in discesa si arriva al Passo Scarpanè; seguendo la strada sulla destra si giunge a una cascina demaniale dove uno spiazzo con panchine, ombra e verde invita a una sosta. Ancora sulla destra, una pista forestale in circa 20 minuti di discesa conduce ai ruderi di un altro casolare, in mezzo a grandi faggi, da cui parte un sentiero che in poco più di mezz’ora, lasciando sulla destra un abbeveratoio, riporta sulla strada bianca.
Il secondo itinerario è un po’ più lungo del precedente, ma di modesta difficoltà. Il sentiero che parte sopra Cadria è il vecchio tracciato che gli abitanti usavano per spostarsi in altri paesi quando ancora non c’era la rotabile; la salita all’inizio è abbastanza ripida, ma poi diventa più accessibile e in 40 minuti porta a Cima Rest. Poco distante da dove eravamo sbucati sulla strada, prima della chiesetta degli Alpini, parte il percorso che conduce ai monti Tombea e Caplone, dove l’impegno dell’ascesa è ripagato da belle vedute su pascoli e boschi: dopodiché si scende all’ombra di una faggeta e si passa di fianco alla Malga Alvezza. Riprendendo a salire, si incontrano un’area attrezzata con panchine e alcune indicazioni all’altezza di una curva: chi intende andare al Tombea o al Caplone deve scegliere il sentiero sulla sinistra, chi invece vuole recarsi al Passo Puria può proseguire sull’ampia sterrata. Si cammina comodamente prima in piano e poi in discesa, quando comincia una lunga salita che porta al valico: uscendo dal folto si ammirano le creste del Monte Baldo, che si staglia in lontananza, e si inizia a scendere fino ad incontrare il percorso precedente. Poco dopo il passo, dove c’è una piazzola per gli elicotteri, si continua in discesa fino a un bivio dove si prende a destra sulla sterrata che riporta a Cadria.
Riguadagnato il mezzo, invertiamo la rotta per proseguire nella visita dei Sette Fratelli. Il bivio per Armo, poco dopo una rotonda, ci indirizza al paesino che è dotato di un buon parcheggio. La strada è stretta ma poco frequentata e, con un po’ d’attenzione, si percorre facilmente: nella piazza troviamo infatti un maxiveicolo attrezzato che è adibito a negozio di alimentari. Anche qui una manciata di vecchie case pittoresche con ballatoi e parapetti in legno per l’essiccazione del granoturco, la chiesa che emerge con il suo campanile e tutt’intorno la pace di una natura maestosa.
Alla fine del paese, superata un’edicola dedicata a San Vigilio e alla Madonna, inizia l’Itinerario Naturalistico n. 1, che richiede circa 3 ore di camminata. Imbocchiamo la stradina che si inoltra nel bosco, immersi in una vegetazione rigogliosa specialmente nel tratto in cui il tracciato corre parallelo al torrente Armarolo. E’ un periodo ricco d’acqua e piccole cascate bagnano la stradina; troviamo anche i resti di un vecchio mulino. Dopo un’ora, attraversati un ponticello in legno e poi uno più grande in cemento, incontriamo un tornante con un bivio: proseguendo dritti si arriva in mezz’ora ai pascoli del Denai, sopra Magasa, mentre noi scegliamo il ponte sulla destra e continuiamo a salire sul versante opposto. In questo tratto è possibile vedere alcuni cuel, ripari di roccia un tempo utilizzati dai pastori, ma per raggiungerli bisogna individuare un piccolo sentiero nascosto nel folto. In cima alla salita si esce dal bosco e, dopo alcune costruzioni abbandonate, si aprono i prati di Messane. Giunti al passo, fornito di tavolo e panchine, incrociamo l’itinerario che sale a Bocca di Valle e la ripida discesa asfaltata che conduce a Persone; noi invece tagliamo per una splendida faggeta e con un percorso a zigzag torniamo ad Armo e al camper.
Turano è poco più in basso, a 680 metri di quota; essendo quasi sulla strada è molto più facile da raggiungere, e prima del paese si può trovare qualche opportunità di sosta. Alla sommità dell’abitato sorge la chiesa di San Rocco, ma più interessante è l’isolata pieve di San Giovanni Battista, risalente al X secolo, che fu testimone di una singolare vicenda: a cavallo fra il ‘500 e il ‘600 fu infatti retta da due sacerdoti omicidi, uno dei quali venne addirittura giustiziato.
Proseguiamo sulla provinciale (ora indicata dal numero 113) fino a Persone, che ricalca la struttura degli altri villaggi e fa sfoggio della sua chiesetta. Una strettoia fra le poche case richiede prudenza, e potrebbe rivelarsi impraticabile per i mezzi più grandi. Più comodi invece l’accesso e la sosta a Moerna, l’ultima tappa della Valvestino, adagiata su una piana a quota 1.000 e con un panoramico parcheggio che invita volentieri a fermarsi. Anche qui due chiese, di cui una edificata su un lungo sperone di fronte all’abitato, dove troviamo anche un bar-ristorante e un piccolo campeggio.

Panorami lungolago
Attraversata di nuovo l’antica frontiera con i territori austriaci, siamo ormai in Valle Sabbia. Nella zona di Capovalle, ancora a un migliaio di metri di altitudine, recenti ritrovamenti archeologici testimoniano la frequentazione umana sin dalla preistoria; dopo i Romani vi si insediarono i Longobardi, quindi la Serenissima aggregò il territorio alla Riviera di Salò, mentre all’epoca della Repubblica Cisalpina il luogo divenne una frazione di Idro. Gli agglomerati di Vico, Viè e Zumiè, che formano l’odierno comune, presentano un’architettura simile a quella che abbiamo riscontrato fin qui, con viuzze medioevali, affreschi sulle case più signorili e qualche ballatoio: tuttavia, a differenza dei Sette Fratelli, questi borghetti sono l’uno vicino all’altro e in bella mostra sul pianoro, con al centro la graziosa chiesa in stile barocco a fare da congiunzione. Di nuovo non mancano le opportunità di effettuare piacevoli passeggiate, tra cui quella che porta al Monte Stino, con una chiesetta costruita dagli Alpini e un piccolo museo di reperti bellici ricavato in due gallerie. Poco distante, una scaletta di pietra conduce a un belvedere di roccia da cui la vista spazia sul Lago d’Idro, nostra prossima e ultima tappa.
La provinciale 58, pur sempre fra curve e tornanti in veloce discesa, si rivela ampia e ben praticabile. Alcuni cartelli segnalano il piccolo santuario settecentesco della Madonna di Riosecco, con facciata policroma affrescata negli anni ’20, ma la stradina che raggiunge il sito – tuttora meta di pellegrinaggio degli abitanti della valle – è inadatta a un veicolo ricreazionale. Continuando verso il lago, la strada regala piacevoli vedute sulle sue acque e ci porta a Idro, posto all’estremità meridionale del bacino. Dalla frazione di Lemprato parte la piacevole passeggiata lungolago per Crone, altro gruppetto di case rivierasche; un tratto del percorso si sviluppa su palafitte e ponti in legno. Proseguiamo a piedi sino a Vantone, dove si trovano tre campeggi, e infine a Vesta, dove finisce la strada (in tutto 6 chilometri dal punto di partenza): se si percorre questo tratto con il proprio mezzo si potranno individuare diversi angolini adatti alla sosta. Tornati a Idro, ci dirigiamo dalla parte opposta a Pieve Vecchia, dove è facile comprendere il motivo del nome: l’edificio di culto, ricostruito nel 1601 su una cappella dell’XI secolo, conserva al suo interno una stele funeraria, una statua lignea e un polittico ad affresco del 1460.
A riprova della spiccata vocazione dell’intero comprensorio al turismo escursionistico e all’outdoor, da qui partono tante altre passeggiate, anche se molte di esse non sono ancora segnalate: basterebbe poco per rendere più appetibili questi itinerari, perché la bellezza dei luoghi lo merita certamente. E con i pensieri ancora immersi nel fascino di queste splendide foreste, riprendiamo la strada verso il Garda.

Testo e foto di Gianni Fucile

PleinAir 447 – Ottobre 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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