Orme d'avanguardia

Un capolavoro d'architettura contemporanea per museo, raccolte permanenti e mostre in abbondanza, la collezione unica di Fortunato Depero. E' l'identità nuova di zecca di Rovereto, che oggi s'impone - anche grazie a una nuova area di sosta - tra le mete turistiche di primo piano del Trentino.

Indice dell'itinerario

Una piazza aperta solo da un lato: al centro un circolo di venti statue attorno a una fontana, in alto un’avveniristica cupola in acciaio e vetro alta 25 metri e larga 40, alle sue spalle un moderno edificio a quattro piani che è il cuore pulsante del polo culturale urbano. E’ sotto il segno dell’architettura odierna – e di altissimo livello – l’immagine simbolo di una cittadina del Bel Paese, meta di prim’ordine della Val d’Adige: Rovereto.
Dalla comoda e nuovissima area di sosta per camper di Via Palestrina è possibile e anzi consigliabile raggiungere il centro, in bicicletta o anche a piedi. Entrando per il Corso Bettini il primo che si incontra è proprio il MART, di fronte ai Giardini Perlasca. Inaugurato quasi tre anni fa, il museo è opera dell’architetto ticinese Mario Botta in collaborazione con l’ingegnere roveretano Giulio Andreolli: ospita una notevole collezione permanente, ricca di opere del Futurismo italiano firmate da autori del calibro di Balla, Severini, Carrà, ma più in generale è di straordinario interesse la serie di capolavori del secolo appena trascorso, spaziando da De Chirico a Kounellis, da Sironi e Morandi a Paladino, alla Pop Art americana. Davvero unica poi è la raccolta di coloratissime opere dell’eccentrico artista trentino Fortunato Depero, uno dei protagonisti del Novecento italiano – ospitate qui in attesa che sia ultimato il restauro di un altro museo a lui dedicato in città; mentre la mostra permanente di fumetti annovera tavole di Crepax, Manara, Jacovitti…
La porta del centro storico è la Piazza Rosmini, dove la sede dell’Azienda di Promozione Turistica è il migliore approdo per iniziare la visita. Mappa alla mano, è facile e assai piacevole passeggiare per il nucleo antico e coglierne gli scorci più caratteristici, come la Casa dei Turchi, le piazze Podestà e delle Oche, il Palazzo Stoffella, alcuni negozi d’epoca. Il Museo Civico raccoglie collezioni botaniche, naturalistiche e mineralogiche: notevole l’esposizione di reperti della Magna Grecia donata alla città natale dall’archeologo Paolo Orsi. Una sosta meritano anche la monumentale Campana della Pace, il sacrario militare di Castel Dante e l’eremo di San Colombano. In posizione dominante, il bel castello pentagonale ospita il Museo Storico della Guerra.

A caccia di dinosauri
Per visitare una delle più singolari attrazioni del luogo occorre invece spostarsi in camper fino alla località Lavini di Marco, raggiungibile per la strada che dal centro conduce alla Campana della Pace e al sacrario di Castel Dante oppure, seguendo le indicazioni, direttamente dalla statale per Verona. Duecento milioni di anni fa, nel Giurassico inferiore, sabbie e fanghi calcarei facevano di quest’area una vasta distesa a ridosso dell’oceano che si apriva verso l’attuale Lombardia; isole e spiagge la proteggevano dall’assalto delle onde e i dinosauri, allora indiscussi dominatori delle terre emerse, la perlustravano a caccia di cibo. Una mareggiata più violenta delle altre probabilmente ricoprì la distesa di fango indurita dal sole, su cui rimasero impresse le orme lasciate dai rettili che oggi, grazie all’erosione, dopo un sonno quasi infinito sono tornate alla luce.
Da quelle impronte – alcune centinaia, appartenenti a diverse specie – i paleontologi sono partiti nel tentativo di ricostruire quel mondo che non c’è più, quella laguna al posto della quale ora si ergono massicce montagne. Le orme più numerose appartengono ai teropodi, dinosauri bipedi e carnivori, mentre meno frequentemente si rinvengono quelle degli ornitopodi, grossi bipedi (pesanti una o due tonnellate, più del doppio dei teropodi) che erano invece erbivori. Decisamente rare, ai Lavini di Marco, sono infine le orme di sauropodi, grandi dinosauri quadrupedi lunghi fino a 9 metri e pesanti diverse tonnellate.
Lasciato il mezzo all’inizio del sentiero, ai lati della strada, si supera una sbarra e si cammina per un quarto d’ora fino alla base della placca inclinata di roccia dove sono alcuni gruppi di impronte tondeggianti (quelle rinvenute sino ad oggi sono circa 350) appartenenti perlopiù a ornitopodi. Alcune pedane in legno consentono l’osservazione dall’alto, mentre i cartelli segnalano il divieto di danneggiamento, di estrazione di fossili ed esecuzione di calchi. Volendo usufruire delle visite guidate ci si dovrà rivolgere al Museo Civico, che le organizza su prenotazione.

PleinAir 396/97 – luglio/agosto 2005

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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