Orizzonti d'argilla

Un mare di terra ocra solcato da calanchi e macchiato da nuove colture agricole si bagna nello Ionio della Basilicata. Qui, tra le valli dell'Agri e del Sinni abbiamo tracciato una rotta pleinair.

Indice dell'itinerario

Brulle distese d’argilla si susseguono a meravigliosi giardini di agrumi, a coltivi di pesco e alle serre, l’ultima conquista dell’agricoltura, qui sconfinate a tal punto da ingannare sia il viaggiatore che gli uccelli migratori, con l’illusione di vasti specchi d’acqua. Siamo nella campagna del Metaponto. In lontananza, le scure sagome delle torri, dei castelli, dei palazzi nobiliari posti a protezione e monito di feudi e sudditi’

Montalbano Ionico
Abbandonata la S.S. 106 Taranto-Reggio Calabria al bivio di Scanzano proseguiamo per Montalbano Ionico tra ulivi, frutteti e macchia mediterranea. Percorsi circa 12 km, prima di entrare in paese si svolta a destra all’altezza del bivio per Bernalda; dopo 2 km si imbocca una strada asfaltata che si inoltra tra campi coltivati, la si percorre per circa 2 km e mezzo e si svolta a sinistra. Dopo 300 metri è di riferimento una sorgente imbrigliata (dove ci si potrà rifornire d’acqua potabile); si piega a sinistra dopo 200 metri procedendo per altri 2 km fino a che l’asfalto cede il posto a un comodo sterrato, percorribile preferibilmente a piedi o in mountain bike. Per tutto il tragitto si è immersi nello straordinario paesaggio delle ‘cretagne’, creste d’argilla, profondi calanchi e una miriade di crepe e fratture, geometrie dovute all’azione erosiva delle acque piovane. La vasta area compresa tra i rilievi di Monte Soprano (224 m), Monte Sottano (140 m) e Cozzo Lazzitelli (289 m) è in parte interessata da un rimboschimento ad opera della forestale, prevalentemente a pino ed eucalipto, alternato a macchia di ginestra e lentisco. Lo sterrato si sviluppa con ampie viste in questo ambiente e termina dopo 5 chilometri sulla S.S. 103 della Val d’Agri.

Petrolla e Craco
Uscendo dallo sterrato si percorre la statale 103 verso Craco; dopo 1,6 km si offre l’occasione per visitare una delle curiosità meno note della zona. Si svolta a destra per una strada sterrata in vista di un’azienda agricola posta su un’altura; prima di giungervi, si prosegue sempre sulla destra per 500 metri fino ad un bivio. Imboccando la strada di sinistra per altri 500 metri si giungerà in prossimità di un laghetto. Da qui si prosegue a sinistra in salita per altri tre km fino ad una sconfinata distesa di argilla dominata da un enorme monolito di circa 200 metri di base per 50 d’altezza, detto “Petrolla”. Si tratta di un grosso affioramento calcareo dovuto a forti spinte tettoniche, confermate dalla verticalità degli strati e dalla notevole fratturazione della parete strapiombante. Sulla sommità, raggiungibile mediante un sentiero dal versante ovest, vi è un residuo di fortificazione del IX secolo. A ridosso della roccia, opere murarie e costruzioni confermano l’importanza militare del sito, da cui si gode un amplissimo panorama dalla valle del fiume Cavone sino allo Ionio.
Tornati sulla statale 103 proseguiamo per 12 km alla volta di Craco. Dietro l’ultima curva appare il vecchio paese, arroccato su un rilievo d’argilla e sormontato dalle alte mura del castello. Sotto, le case abbarbicate le une alle altre resistono come possono alle intemperie, duramente provate da continui crolli e smottamenti che fin dal 1970 ne hanno decretato l’abbandono; tant’è che un’ordinanza del nuovo comune (Craco Peschiera) ne vieta rigorosamente la frequentazione. Ma tale è il fascino e la nostalgia che puntualmente, nelle giornate festive, le strade tornano a popolarsi dei vecchi abitanti e di visitatori. Anche sostando al di fuori dell’abitato, tuttavia, si resterà appagati; all’ingresso del paese, da vedere il convento di San Vincenzo del 1632; all’uscita, in direzione Stigliano, la Cappella della Stella. Tornando a valle per la medesima strada attraversiamo il fiume Agri in località Ponte Masone, in direzione di Tursi.

Rabatana e il santuario di Anglona
L’antico abitato di Rabatana (dall’arabo rabat, borgo), dominato dai ruderi del castello, fu edificato nel IX secolo dai saraceni, che ne avevano fatto una roccaforte per il controllo della costa ionica. Attualmente il quartiere, agevolmente visitabile, è abbandonato a causa di frane e smottamenti, ma è in atto un progetto di recupero. Ancora abitata invece la parte sottostante, antica anch’essa, dove si ammira la chiesa di Santa Maria Maggiore in Rabatana, con un bellissimo presepe in pietra del XV secolo posto in una cripta, un trittico del XIV secolo (Madonna dell’icona) e numerosi affreschi del XVI secolo. Al fondo del burrone San Francesco che delimita il paese, si aprono numerose cantine scavate nel terreno; qui troviamo, su un terrazzo panoramico, il convento dei Frati Minori Osservanti edificato nel 1441, oggi in precarie condizioni. Al convento si giunge percorrendo una strada in salita che parte a lato delle case popolari di Tursi per circa 700 metri e imboccando uno sterrato sulla sinistra.
Poco distante da Tursi, segnalato e raggiungibile per la strada che porta a Policoro, è il santuario della Madonna di Anglona. La recente scoperta di una necropoli dell’VIII secolo a.C. nelle vicinanze sembra confermare l’ipotesi che l’antica Anglona sia sorta sulle rovine di Pandosia (da non confondere con la più celebre Pandosia calabra), un tempo capitale degli Enotri, le antiche genti del posto. Gli aridi terreni argillosi che la circondano furono teatro di scontri fra le legioni romane e le armate di Pirro, giunto in aiuto di Taranto; e nel fiume Agri trovò la morte Alessandro il Molosso, zio di Alessandro Magno. Anglona fu in seguito distrutta dalle orde barbariche nel V secolo. Nei secoli XII e XIII venne edificato il santuario della Vergine Maria, prima distrutto dai Giustizieri della Basilicata nel 1369, successivamente ricostruito nel periodo angioino tra il XIII e l’inizio del XIV secolo. Di notevole pregio artistico è la torre campanaria con finestre bifore, arco d’ingresso con teste zoomorfe e arco a doppia ghiera. Splendidi e numerosi gli affreschi interni del XV secolo con scene sacre ed effigi di santi; molto belli anche la navata centrale lignea e alcuni confessionali intarsiati e decorati, posti nelle due navate laterali.

Il museo della Sirtide
Scendendo da Santa Maria d’Anglona verso il mare, poco prima di entrare a Policoro una moderna costruzione immersa nel verde annuncia il Museo Nazionale della Sirtide. La struttura, inaugurata nel 1969, è esemplare per i metodi di conservazione ed esposizione dei numerosissimi reperti storici: mantenuti a temperatura costante da un impianto di climatizzazione e disposti in teche di cristallo, sono valorizzati da una sapiente illuminazione a fibre ottiche. Il museo è diviso in tre settori: Età del Ferro, con reperti dell’area sub-costiera abitata dagli Enotri (necropoli di Anglona e valle Sorigliano); età arcaica e classica (città di Siris); età lucana, con numerosissime testimonianze storiche delle città di Siris ed Heraclea, oltre ai ritrovamenti del fondovalle dei fiumi Sinni (Siris), Agri (Akiris) e Cavone (Akalandrus). Di grande spettacolarità le ricostruzioni dell’abbigliamento e degli ornamenti femminili, e ben studiata la disposizione all’interno del museo di due tombe con il loro contenuto. Trecento metri in linea d’aria separano il museo dagli scavi di Heraclea, fondata dai tarantini nel 433 a.C., dai quali ereditò lo stile dorico e le abitudini spartane. Della città poco è rimasto se non le suggestive fondamenta; a lato degli scavi, alcuni fabbricati ospitano i laboratori di restauro e catalogazione dei reperti. Vicino alla zona degli scavi è visibile in un ambiente di grande serenità il castello baronale, imponente struttura in stato d’abbandono con annessa una graziosa chiesetta (all’interno, una Madonna lignea con bambino datata XIII-XIV secolo).

PleinAir 314 – settembre 1998

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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