Oasi al limone

Tappa conclusiva del volo di PleinAir per alcune delle aree naturali protette della Lega italiana protezione uccelli sparse per il Bel Paese. Dulcis in fundo, non potevamo che atterrare sull'isola dei limoni e seguire, tenda al seguito, i tracciati ideali degli alati migratori.

Indice dell'itinerario

A concludere in Sicilia il nostro giro – giusto un assaggio, ma significativo – per le oasi della Lipu sparse per l’Italia, l’abbiamo fatto apposta. Perché è in Sicilia che gli atlanti compilati dagli zoologi ancora elencano specie altrove da noi ben più rare come il gatto selvatico, la coturnice, il falco pellegrino, oppure del tutto estinte come il capovaccaio o appunto la Bonelli. Se restano gli animali è segno che restano gli ambienti, gli ecosistemi. Ma pure perché qui alle associazioni ambientaliste come la Lipu, il WWF, la Legambiente, il Cai, i Rangers, in virtù dell’autonomia di cui gode la Regione Sicilia, è affidato per legge il compito di gestire diverse delle aree protette regionali.

Isola delle Femmine
Palermo è a un tiro di schioppo, appena 15 chilometri, e con il capoluogo il suo porto dove attraccano le comode navi provenienti da Napoli. Il nostro giro siciliano è cominciato da lì, e Isola ci è servita pure come punto-base per le escursioni nei dintorni, dalla Zisa e la cappella di re Ruggero alla riserva dello Zingaro. Oltretutto il campeggio La Playa, sul lungomare, offre ombra, quiete e pulizia come difficilmente abbiamo poi ritrovato in altre strutture isolane (tel. 091/8677001; altro campeggio in paese è La scogliera, tel. 091/8677315). A dare il nome al piccolo centro balneare è appunto un isolotto, appena 15 ettari di estensione e aldilà di un breve braccio di mare, dominato da una torre diruta. La sua curiosa denominazione dà corso, anche in tenda come noi siamo, a inevitabili teorie e ipotesi sulla sua origine. Secondo storici e altri studiosi locali, essa deriverebbe dall’uso secoli addietro di deportarvi le donne infedeli o lebbrose; secondo altre interpretazioni, Femmine deriva in realtà da Eufemio, governatore bizantino della Sicilia nel secolo IX.
Oggi le uniche femmine dell’isola, oltre alle turiste, sono quelle dei gabbiani reali che tra fine primavera e inizio estate depongono a decine e decine (circa 150 le coppie censite quest’anno) due o tre uova macchiettate, in piccole depressioni ricavate sul terreno. Isola è il loro regno incontrastato, disabitata com’è e quindi senza rischi e pericoli per la prole. In quelle settimane i gabbiani sono davvero ovunque, per terra, tra le rocce, alzandosi rumorosamente in volo all’avvicinarsi dei visitatori per poi tornare subito a custodire le uova o i piccoli. Oltre a loro, frequentano l’isolotto anche rapaci di passo, diversi passeriformi e conigli. E’ sorprendente rilevare che i ricercatori abbiano censito la presenza di ben 144 piante, per cui a primavera l’isola si copre di un tappeto multicolore. I fondali offrono gorgonie, piccole aragoste, murene e una miriade di pesci.
La torre, a pianta quadrata e ormai in rovina, venne eretta nel Seicento a baluardo del villaggio. Visibili pure i resti di cisterne d’età punico-romana, utilizzate per la preparazione e lo stoccaggio del prelibato garum. Da qualche anno l’isola è diventata una riserva naturale regionale e la sua gestione è stata affidata alla Lipu, che ne cura le visite guidate accompagnando i visitatori in barca (tel. 091/8616167).

Ficuzza
Poco a sud di Palermo, raggiungibile per le statali 121 e 118 (passando per Marineo in direzione Corleone), c’è uno dei templi della Sicilia naturalistica. E’ il bosco di Ficuzza, cinquemila ettari di lecci, cerri e roverelle che si estendono a ventaglio ai piedi dei verticali bastioni calcarei della Rocca Busambra (1613 m). La sua bellezza incantò re Ferdinando IV di Borbone, che durante l’occupazione napoleonica del Regno di Napoli dimorò a Palermo dal 1806 al 1815 e, da cacciatore qual era, non tardò a scoprire il luogo e la sua ricchezza faunistica. Nacque così una delle più straordinarie e misconosciute regge d’Italia, o meglio una casina di caccia, su disegno dell’architetto Venanzio Marvuglia, lo stesso che progettò la Palazzina Cinese di Palermo. Davanti alla piazzetta del minuscolo borgo, circondata da una piccola corte di case, si affaccia sullo sfondo della Busambra l’elegante prospetto, decorato in alto da un fregio con Diana e Pan, cinghiali e altri animali (e da storni neri e barbagianni, stavolta in carne e ossa). All’interno, degli arazzi, stucchi, affreschi, mobili, statue e quadri non resta praticamente più nulla. Utilizzata per anni dalla forestale come sede di uffici, archivi e alloggio del personale, la casina verrà destinata a centro-visite di una riserva naturale nonché a museo. Sulla piazza stessa, ma più in basso, affaccia pure l’altro polo d’attrazione del luogo. E’ il Centro regionale di recupero della fauna selvatica, inaugurato a fine ’96 e gestito dalla Lipu in collaborazione con l’Azienda foreste. Qui giungono da tutta l’isola animali in difficoltà, feriti dai bracconieri piuttosto che investiti da un’auto. Nel solo ’97, primo anno di attività, tra gheppi, poiane, falchi pellegrini, rondoni – ma non sono mancate neppure le rarità, tra cui un lanario, due gufi reali, un capovaccaio liberato nel luglio scorso – sono stati ricoverati quasi in trecento e 110, dopo cure appropriate, hanno riavuto la libertà (40 sono ancora al centro, mentre per 138 non c’è stato nulla da fare). Cosa vede chi visita il centro? Il primo contatto è con l’aula didattica dove il direttore accoglie e spiega il funzionamento e le finalità del Centro. Il cortile adiacente, circondato da pannelli a tema naturalistico, è la sede di frequenti lezioni all’aperto alle numerose scolaresche in visita, che finalmente trovano sul territorio un punto di riferimento. Il clou poi è lungo i corridoi didattici, sbirciando cioè dalle feritoie nelle voliere che ospitano gli animali, non tutti visibili. Lì è tutto un susseguirsi di versi acuti e striduli, sbatter d’ali, planate impazienti, occhiate assassine: uno spettacolo cui non capita tutti i giorni di assistere.
Quanto al bosco, una carrareccia un po’ troppo sconnessa lo solca fino ad aggirare a sinistra la Busambra. In località Alpe Cucco un rifugio offre passeggiate a cavallo e in mountain bike, cucina locale, affittacamere. Per le escursioni a piedi mancano sentieri segnati, e dunque conviene lasciarsi condurre dalle guide della Lipu – in autunno il bosco offre una tavolozza di colori – chiamando in anticipo per concordare tempi e modi di una giornata nella natura (tel. 091/8460107).

Biviere di Gela
Dalla parte opposta dell’isola, dove il fiume Dirillo sfocia nel Canale di Sicilia, si trova una delle zone umide più interessanti del nostro Meridione. Il lago, posto tra la città di Gela e il mare, è una vera e propria oasi in un territorio aggredito da una edificazione caotica, dalle strutture del polo petrolchimico Eni, da raccordi stradali che finiscono nei campi e serre per coltivazioni ortofrutticole. La sua estensione è variabile, comunque di circa 120 ettari che ne fanno il maggiore dei laghi costieri siciliani oltre che uno dei pochi d’origine naturale. Proprio la sua posizione ne fa una tappa assai frequente per gli uccelli migratori provenienti dall’Africa, che trovano occasioni di cibo, riposo e talvolta nidificazione tra canneti, boschi di tamerice, prati umidi. La lista delle presenze non staremo qui a riprodurla, servirebbe troppo spazio, ma impressiona non poco anche il birdwatcher esperto: tarabusi, falchi pescatori e mignattai ad aprile, spatole e pernici di mare in piena estate, stormi di alzavole, germani, moriglioni in autunno e inverno col massimo delle presenze in novembre. Ancora, intorno allo specchio d’acqua trovano spazio vitale mammiferi quali la volpe, il coniglio selvatico e la donnola, rettili come il biacco e la natrice dal collare, anfibi tra cui il raro discoglosso, moltissimi insetti come libellule e coleotteri.
Anche questa è una riserva nata recentemente: come Isola delle Femmine e assieme ad altre 18 è stata istituita dalla Regione Siciliana nel ’97, nonostante il suo valore naturalistico di livello internazionale fosse noto da almeno un ventennio. La Lipu oggi la gestisce con determinazione. Il segno del riscatto per Gela viene proprio dal rinnovato museo archeologico e dall’oasi del Biviere. E un turismo che si dica responsabile, di quest’angolo di Sicilia non può non tenere conto: ed è un piacere inquadrare con il binocolo riesce ad inquadrare i protagonisti della palude, eleganti più che mai (per visite guidate, tel. 0933/926051).

PleinAir 315 – ottobre 1998

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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