Novecento vivo

Nel cuore storico di Reggio Calabria, edifici regali e alberi monumentali incorniciano il rito quotidiano del passeggio su un lungomare che Gabriele D'Annunzio definì il chilometro più bello d'Italia.

Indice dell'itinerario

In un quadro del pittore reggino Stellario Baccellieri campeggiano i palloncini colorati che si vendono nei giorni di festa sul lungomare di Reggio Calabria. Sono pennellate impressioniste, ma l’insieme di scalinate, muretti, lampioni di foggia ottocentesca, ringhiere in ferro battuto che danno sul piazzale col monumento della dea Atena – innalzato nel 1900 in onore di Vittorio Emanuele III – suggerisce visioni metafisiche molto più vicine alle tele di De Chirico.
Sul lungomare passava la ferrovia, una specie di trincea che impediva l’accesso all’acqua: faccenda di non poco conto in una delle rare grandi città italiane dove si può fare il bagno a due passi dal centro storico. Oggi i binari corrono sottoterra, dopo i lavori effettuati negli anni Settanta (lasciando un deturpante cantiere a cielo aperto che solo sei anni fa è stato eliminato grazie agli accordi tra lo scomparso sindaco Falcomatà e le Ferrovie dello Stato).
A sera, il passeggio è sempre affollato; in certe ore del giorno si trasforma invece in un affascinante deserto urbano battuto dal sole, prediletto dalle coppie di sposi per gli scatti dell’album di nozze. Ma ben altra sa essere la magia di questo luogo quando il cielo si fonde con il mare e all’orizzonte, guardando verso lo Stretto, si manifesta la fata morgana: un raro effetto ottico di rifrazione della luce, dovuto forse alla foschia o ai bassi strati di nuvole che seguono a una giornata molto chiara, che fa apparire straordinariamente vicina la costa messinese. E’ allora che uomini e cose sembrano fluttuare a mezz’aria sotto il mare piattissimo, immobile come un lago, in una sorta di tremolante città virtuale.
Per realizzare il suo quadro Stellario deve aver sistemato cavalletto, tavolozza e pennelli nel lungo e stretto giardino, assediato dal traffico, che affianca per intero il Lungomare Falcomatà. Qui le lunghissime radici dei grandi Ficus magnoliodes piantati nei primi del ‘900 si intrecciano con un’incredibile varietà di piante esotiche: i Pittosforum del Giappone, l’Erytrina argentina dai fiori a cresta di gallo, i Citrus aurantium ovvero gli aranci amari, la gigantesca Washingtonia filifera (alta quasi 25 metri) di provenienza americana e poi le palme da cocco del Brasile e quelle delle Canarie, da cui una volta gli abitanti prelevavano le fibre per fare le corde. Tutte queste straordinarie specie botaniche si trovano accanto ai palazzi d’inizio secolo che delimitano Corso Vittorio Emanuele: Villa Genovese-Zerbi, dalle forme neogotiche veneziane, e l’adiacente Albergo Miramare (che fu residenza di Umberto di Savoia) progettato nel 1926 dall’architetto Fiaccadoro. Nella hall sono conservati due bellissimi reperti archeologici, un’enorme anfora romana utilizzata per la conservazione del grano e un mosaico rinvenuto durante la costruzione dell’edificio.
Dopo aver passeggiato all’ombra degli alberi monumentali, ammirando i resti delle terme romane e delle mura megalitiche dell’antica Reghion, si arriva al chiosco della storica Gelateria Cesare, da tre generazioni una vera e propria istituzione. E’ qui che si compie uno dei riti più amati dai reggini: gustare un gelato di bontà a tutta prova che viene preparato con frutta fresca, farina di semi di carrube e ingredienti selezionati come il cacao e le nocciole delle Langhe. Ci troviamo in Piazza Indipendenza, a due passi da Piazza De Nava dove è situato lo straordinario Museo Archeologico Nazionale, uno dei più importanti della penisola, ospitato nell’edificio in travertino progettato nel 1932 da Marcello Piacentini: oltre ai celeberrimi Bronzi di Riace, ritrovati nel 1972 da un subacqueo romano, sono esposti il gruppo equestre con Dioscuri, il misterioso volto chiamato Testa di Filosofo che forse raffigura Esiodo, risalente al V secolo a.C., e una serie di tavolette fittili votive della stessa epoca.Proprio di fronte al museo si diparte Corso Garibaldi, la via commerciale più nota di Reggio Calabria, lambita da una straordinaria sequenza di palazzi liberty d’inizio e metà secolo, molti dei quali disegnati da architetti romani: il neoclassico Teatro Cilea, Palazzo San Giorgio (ora sede comunale) e la chiesa omonima, che è poi il Tempio della Vittoria inaugurato dal principe Umberto nel 1935 in onore dei caduti della Grande Guerra. Palazzo Nesci è l’unico ad essersi salvato dal terremoto che nel 1908 rase al suolo Messina e Reggio mietendo, solo in quest’ultima, ben 15.000 vittime su una popolazione di 45.000 abitanti. In realtà i danni maggiori li causò il maremoto che seguì di lì a poco, una gigantesca onda anomala che si abbatté sulla città calabrese alla velocità di 600 chilometri orari spazzando via tutto ciò che incontrava sul suo cammino.
Proprio di fronte al Tempio della Vittoria, ad interrompere con una punta di mistero la sequenza di vetrine e ristoranti che si alternano lungo il corso, il negozio Pastore è una sorta di bottega della nonna nata nel 1878 come emporio che vendeva parasole e parapioggia. Tra i vecchi arredi in noce, sotto una ventola del 1920 farete la conoscenza del titolare Francesco Chiovaro che vi mostrerà ombrelli fatti a mano, ventagli dipinti da Stellario Baccellieri che costano 600 euro, stuzzicadenti in penna d’oca, acqua da toilette della storica ditta Bertelli di Milano. Nel retrobottega (uno dei pochissimi ancora intatti, a ricordare che fino agli anni ’50 i reggini usavano queste stanze come luogo di ritrovo e di festicciole serali) c’è un triciclo inglese del 1880 che ancora conserva l’imballo originale con il quale venne spedito 125 anni fa: ma non ci fu modo di venderlo perché aveva i pedali spezzati. Una vecchia foto in banco e nero mostra un bimbo che porta orgoglioso il finocchietto, uno di quei leggeri bastoncini da passeggio tanto in voga ai primi del Novecento: memoria di un’epoca che ancora oggi, tra gelati, palloncini e scenografie per le foto di nozze, sembra rivivere là dove s’incontrano il Tirreno e lo Jonio.

PleinAir 391 – febbraio 2006

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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