Notti di Passione

In Umbria vanno in scena alcune delle più suggestive rappresentazioni italiane della morte e resurrezione di Cristo: un invito alla Pasqua itinerante fra borghi e colline.

Indice dell'itinerario

E’ la sera del Venerdì Santo quando, lungo le vie del centro storico di Norcia, rimbombano gli zoccoli dei cavalli. I cavalieri arrivano alla spicciolata nel piazzale davanti alla chiesa della Madonna degli Angeli, dove gli altri figuranti si preparano per l’uscita. Sono quasi quattrocento i nursini nei costumi della tradizione ebraica e romana che interpretano i personaggi della processione del Cristo Morto, uno dei più coinvolgenti dell’Italia centrale. Sfilano le pie donne vestite a lutto, alcune delle quali portano l’immagine del volto di Gesù dipinta su lenzuoli bianchi, i penitenti che si trascinano con le catene ai piedi, i cavalli e i soldati che scortano il prigioniero diretto al Calvario, gli incappucciati dalla veste candida con i ceri accesi. Al rullo dei tamburi, i più giovani recano i simboli della Passione mentre la processione avanza a marcia lenta, cadenzata a intervalli regolari dal suono sinistro delle martorelle, agitate a tutta forza per accrescere il pathos.

La piazza principale del borgo con la basilica e la statua di San Benedetto
La piazza principale del borgo con la basilica e la statua di San Benedetto

Il folto corteo, seguito in religioso silenzio da migliaia di astanti, gira intorno al piazzale sottostante la chiesa e poi esce dal centro storico per rendere omaggio ai meravigliosi quadri viventi allestiti sotto le antiche mura, con gli attori che appaiono come pietrificati nelle undici scene della Passione al bagliore delle fiaccole. La mesta processione segue il perimetro esterno delle mura rendendo omaggio alle sacre rappresentazioni: il tradimento di Giuda che riceve i trenta denari, Gesù nell’orto degli Ulivi, la caduta con la Croce, la crocifissione e infine l’ultimo quadro, forse quello più struggente e vigoroso, la deposizione di Cristo. Le scene sono assolutamente drammatiche nella loro incredibile staticità, rischiarate appena dal rossore delle fiamme che brillano nella penombra con un effetto di chiaroscuro che ricorda i quadri del Caravaggio.

 

Pasqua a Baschi

Figuranti durante l'ultima cena
Figuranti durante l’ultima cena

La sera della domenica di Pasqua, la piccola comunità umbra di Baschi, a due passi dal lago di Corbara e dal Parco Fluviale del Tevere, si riunisce intorno al vecchio monastero di Sant’Angelo in Pantanelli per mettere in scena la Passione di Gesù. L’antico edificio, per lungo tempo in stato di abbandono (a poca distanza vi è stato purtroppo costruito un cementificio), è stato restaurato da qualche anno e offre una quinta suggestiva alla sacra rappresentazione. Il tutto si svolge sotto la benevola protezione di patroni eccellenti che nei secoli frequentarono il luogo: Sant’Ambrogio da Milano, San Bernardino da Siena e San Francesco. Il Poverello ebbe il merito di porre fine alle rivalità di due signorotti locali, tanto che uno di loro, Ranuccio di Baschi, per riconoscenza gli fece dono del castello che ancora oggi si può osservare nelle vicinanze dell’incrocio stradale per Todi. Era questo un fiero maniero guelfo (in contrapposizione a quello ghibellino di Corbara) che Francesco accettò in regalo, ma che poi convertì in centro religioso dato che la regola non contemplava il possesso di beni terreni; in ricordo dell’umiltà dei suoi costumi, all’esterno del convento ci sono la grotta con il giaciglio di pietra dove si dice dormisse il santo e il sasso da cui avrebbe predicato ai pesci. Nella sua lunga storia, però, il monastero di Pantanelli conobbe anche altri illustri personaggi come Jacopone da Todi, che pare abbia scritto proprio qui lo Stabat Mater.

Le scene sono profondamente drammatiche nella loro staticità, rischiarate appena dalle torce che rosseggiano nella penombra
Le scene sono profondamente drammatiche nella loro staticità, rischiarate appena dalle torce che rosseggiano nella penombra

La comunità si prepara all’evento con intensa partecipazione, realizzando a mano gli abiti di scena che ogni anno vengono aggiornati in base alle esigenze del copione, via via arricchito di episodi tratti dalle Scritture e con dialoghi di notevole rigore storico. I personaggi sono un centinaio, tutti abitanti di Baschi, richiamati per le prove appena una settimana prima della Pasqua. Per rendere ancora più realistica la rappresentazione vengono abitualmente impiegati anche i cavalli, che rimangono nelle stalle solo in caso di pioggia. Paziente opera di ingegno è anche la fabbricazione delle scenografie, come il tempio costruito con tubature idriche e compensato marino e dipinto con l’aerografo, o i massi di polistirolo che chiudono la grotta in cui verrà sepolto Gesù. Al calar della sera si accendono le torce e intorno al convento ha inizio la rappresentazione. Si comincia con l’entrata di Gesù a Gerusalemme, seguita dall’Ultima Cena nel porticato del convento e dalla cattura nell’orto del Getsemani, dove si consuma la sofferenza di un uomo rassegnato che non cerca di allontanare da sé il proprio destino.

Una scena sulla rappresentazione pasquale
Una scena sulla rappresentazione pasquale

Dopo l’arresto parte la processione, che scende attraverso il bosco alla spianata sotto i ruderi del castello. Quando il folto gruppo giunge nella radura, le varie scene vengono illuminate da potenti fari che si accendono di volta in volta sugli episodi: il processo nel tempio, l’ardua salita sotto il peso della Croce verso la vetta del Golgota durante la quale Gesù cade tre volte, la crocefissione. Poi il Figlio di Dio verrà deposto e dolorosamente compianto dalla madre Maria, in una posa che ricorda la Pietà michelangiolesca, prima di essere portato via dai discepoli, vestito di bianco e sistemato nel sepolcro. Ma ecco che, tra lo stupore dei soldati romani, la grotta si apre e una luce diafana si irradia dal corpo di Gesù risorto mentre si levano dagli altoparlanti le note del brano Who wants to live forever? dei Queen: musiche dei nostri giorni che regalano all’insieme suggestioni nuove rispetto agli inni solitamente abbinati ai riti della Pasqua.

 

Pasqua a Città della Pieve

Splendido dipinto nella chiesa di Città del Pieve
Splendido dipinto nella chiesa di Città del Pieve

Balcone naturale con vista sul Trasimeno dall’alto dei suoi 500 metri, il borgo di Città della Pieve – patria di quel sommo maestro del Rinascimento italiano che fu il Perugino – celebra la sua rievocazione pasquale nel pomeriggio della domenica e in quello del giorno successivo, Lunedì in Albis. I quadri viventi, interpretati anche qui dagli abitanti e basati su uno studio accurato dei testi sacri, vengono allestiti nei vasti sotterranei del Palazzo Orca: la folla si muove lungo un percorso ad anello sotto le antiche arcate osservando l’Ultima Cena, l’Ecce Homo, la Flagellazione, la Deposizione dalla Croce. L’intensità espressiva delle scene è tale da offrire anche un’ottima introduzione alle opere del Perugino, pervase di una malinconica bellezza, che si possono visitare nelle chiese del paese.

Opera del Perugino consevata nella chiesa di Città della Pieve
Opera del Perugino consevata nella chiesa di Città della Pieve

Città della Pieve, infatti, per i tesori d’arte che racchiude invita a un’appassionante caccia al tesoro sulle tracce dei capolavori del maestro; e chi ammira la Deposizione di Cristo nella chiesa di Santa Maria intuisce che si tratta del suo ultimo capolavoro. Sembra quasi di vedere la mano che stende le ultime pennellate: l’uomo al centro, che sorregge la scala fra i due gruppi di personaggi sotto la Croce, è forse l’artista stesso sospeso tra la vita e la morte. Una tragica fine causata dalla peste che lo colse pochi anni dopo, nel 1523, mentre si trovava a Fontignano a dipingere una Madonna nella chiesa dell’Annunziata. Possiamo immaginarcelo negli ultimi anni di vita mentre esce dalla casa paterna nella parte alta del paese, accanto alla cattedrale, per andare all’oratorio di San Bartolomeo ad osservare il capolavoro trecentesco che forse lui stesso avrebbe voluto dipingere, la Crocifissione di Jacopo di Mino del Pellicciaio. Dal corpo del Cristo morente, mentre una corona di angeli piangenti gli vola intorno su un cielo color porpora, sgorga uno zampillo di sangue: ed è forse un presagio della morte del Divin Pittore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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