Neve formato pleinair

Escursioni di stagione con le racchette da neve in Val Servin, una delle laterali della Val d'Ala.

Indice dell'itinerario

Ci sono angoli di mondo che a prima vista non sembrano avere nulla di particolare. Poi si va a visitarli ed ecco che se ne scoprono aspetti capaci di sorprendere piacevolmente, rendendo il luogo unico e, perché no, anche un po’ speciale. Così è la Val Servin, laterale della Val d’Ala, che a sua volta è la più centrale delle tre Valli di Lanzo. Come in un gioco di scatole cinesi, una località si infila nell’altra quasi a volersi nascondere al turista frettoloso, per lasciarsi invece scoprire poco a poco da chi è alla ricerca di angoli tranquilli, solitari e suggestivi, ancora immersi nella natura e vicini alle radici della propria storia.
Ultimo comune della Val d’Ala è Balme, dopo il quale la strada prosegue sino all’anfiteatro del Pian della Mussa. La zona è conosciuta per la produzione di un’acqua minerale particolarmente pura, tanto da essere stata scelta dall’Alenia Aeronautica per i suoi progetti legati all’esplorazione spaziale, e pare che abbia incontrato perfino i gusti degli astronauti americani.
Il paese, dopo il fiorire dell’antica industria metallurgica del XIII secolo che richiamò famiglie di minatori dalla Valsesia e perfino dal Bergamasco, passò attraverso la crisi del settore, divenne terra di contrabbando e infine si convertì all’alpinismo, con la formazione di guide esperte già nel XIX secolo: da qui la nascita del turismo di montagna, con la frequentazione di personaggi illustri come Eleonora Duse, Giosuè Carducci e Guglielmo Marconi.
Curiosa anche la vicenda che ha fatto conoscere su questi monti la moderna pratica dello sci, sconosciuta fino alla fine dell’800; i valligiani si muovevano perlopiù su slitte e racchette da neve di forma assai simile a quelle attuali. L’avvento degli sci si deve all’ingegnere svizzero Adolfo Kind, direttore di fabbrica a Torino, che nel 1896 si fece spedire alcune paia di ski norvegesi . Le prime prove vennero compiute sulla collina torinese, ma in seguito Kind si spostò proprio a Balme. Un resoconto preciso di quest’avventura fu stilato dal tenente Luciano Roiti, che accompagnò l’ingegnere e suo figlio nell’ascesa dal paese al Pian della Mussa. “…la neve era ricoperta di una crosta gelata, incapace assolutamente di reggere un uomo a piedi; eppure noi, quantunque poco pratici nel servirci degli ski, potemmo percorrere il tragitto in meno di un’ora, lasciando appena traccia del nostro passaggio…

A spasso fra le borgate
Da Balme, appena dopo il centro e al di là del torrente, si segue la strada inizialmente asfaltata che sale tranquilla fra le case. Tagliando attraverso un prato innevato (paletti rossi e bianchi) si raggiunge in breve a Case Arbosëtta, capolinea di una piccola sciovia. Alle nostre spalle si apre la vista su Balme e sulla roccia che sovrasta l’abitato.
Dal pianoro dominato dalla sciovia si prosegue in leggera discesa fino a raggiungere I Fré ( i fabbri ) a quota 1.495. Questa borgata fu fondata nel XV secolo da minatori venuti a sfruttare le miniere di ferro del Monte Servin, a 3.000 metri d’altitudine, che furono produttive fino al XVIII secolo, quando vennero ricoperte dal piccolo ghiacciaio della Vedretta di Servin. Questo fatto, unito alla scarsità di legname per alimentare le forge, fece lentamente morire l’attività mineraria costringendo i balmesi a una stentata vita d’agricoltura d’alta montagna. In tempi recenti, la borgata ha cessato di essere abitata in permanenza. Le case denotano la loro funzione originaria poiché sono poco interrate, con aperture più ampie rispetto a quelle di altre borgate di Balme, proprio per la loro destinazione non agricola.
Superata il villaggio, saliamo in diagonale su un vasto prato innevato fino a raggiungere un’altra borgata già in vista, Chioss. Dal pilone votivo si apre il panorama sulla borgata dei Fré da un lato e sul vallone del Servin dall’altro.
I cartelli con il simbolo delle ciaspole guidano l’escursionista nella risalita attraverso un bosco di faggi passando accanto al Casoùn, una baita oggi diroccata che fu costruita sfruttando interamente un enorme masso come tetto. Questa sorta di ripari si trova spesso sulle montagne piemontesi e da essi deriverebbe appunto il nome di Balme (in Piemonte, assieme alla variante Balma, si trovano numerosi esempi del genere il più famoso dei quali è Balma Boves, in provincia di Cuneo). Poco oltre si trova l’imbocco, ormai semisepolto, di una miniera di talco.
I cartelli indicano ora di tornare un po’ indietro per poi proseguire in falsopiano fino all’Alpe Tchavàna, nascosta nel folto della boscaglia, e scendere di nuovo lungo il torrente Servin in prossimità di un’immane roccia spaccata alla cui base si nasconde una baita detta Li Soùgn, ovvero gli acquitrini , posta a 1.523 metri. In questo punto, d’inverno, il torrente crea interessanti giochi di ghiaccio e su un masso annerito dal fuoco si possono scorgere alcune coppelle incise nella roccia che testimoniano un antico insediamento umano. Si prosegue lungo il torrente mentre appaiono all’orizzonte le cascate del Rio Pontat che nella stagione fredda si trasformano in palestra di arrampicata su ghiaccio. Il torrente stesso rivela angoli straordinari dove piccoli salti si trasformano in una sorta di cattedrali gelate in miniatura, con sculture effimere e fantasiose.
Si attraversa ora la testata del vallone superando il corso d’acqua su una passerella di legno e si raggiungono le baite di Pian Salè, a quota 1.580. Il percorso torna a scendere avvicinandosi di nuovo al torrente, ma sul lato orografico destro, fino a raggiungere un ponte in legno poco sotto la borgata I Fré. Da qui si può proseguire in mezzo al bosco, sempre sulla stessa sponda, oppure attraversare il ponte e scendere attraverso la comoda strada innevata che scende direttamente alla frazione Cornetti, dove si fa notare una fontana formata da un corno di stambecco, che richiama il nome della borgata stessa e della famiglia di minatori che la fondò nel XIII secolo. Da qui si torna infine a Balme.
Consigliamo di percorrere questo magnifico itinerario con le racchette da neve ai piedi in una luminosa giornata d’inverno: gusterete doppiamente il paesaggio e il modesto impegno fisico necessario ad affrontare l’escursione perché, come scriveva Dino Buzzati, “non è la fatica che rende felici in montagna, è la montagna che rende felici, anche quando si fatica”.

PleinAir 426 – gennaio 2008

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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