Un bel giro panoramico intorno al monte è possibile percorrendo la strada che da Larissa porta a Katerini, sia sul lato mare che nell’interno, fino a chiudere l’anello. Una specie di pellegrinaggio che dovrebbe mostrarci le facce migliori della montagna, ma che purtroppo si trasforma in uno spettacolo deludente. La strada corre a una distanza eccessiva dalle pendici e la cima, nella stagione calda, è quasi sempre nascosta dalla foschia. Perfino le piazzole di sosta scarseggiano, invase in primavera da centinaia di arnie. Tutto si può dire della Grecia, ma non che il miele non sia di produzione locale. Strada monotona, quindi, percorsa sotto un sole impietoso, ma vale la pena di accostarsi con un po’ di soggezione a questo monte mitico. In fondo è la patria degli Dei.
Che si faccia il giro o meno, la sosta finale sarà Litochoro, che è proprio alle pendici, sul lato mare, base di partenza dell’escursione che ci porterà nell’interno del massiccio. Nel paese ci sono alcune aree pianeggianti in cui si può pernottare senza problemi. La cosa migliore, consiglia la gente del posto, è di recarsi all’ufficio informazioni (Tourist Information, proprio scritto in inglese) situato nella vasta piazza centrale, proprio davanti al distributore. L’ufficio è aperto tutto il giorno e qui ti consegnano una rustica cartina artigianale, gratuita, dandoti informazioni con la massima gentilezza. Avuta la mappa, si capisce di aver perso tempo per niente. Sull’Olimpo c’è un solo sentiero, neanche un bambino riuscirebbe a perdersi.
Trekking sull’Olimpo
Si parte perciò con la massima decisione, guidando lungo la strada che da Litochoro porta dentro il massiccio e permette una vista gagliarda su un ampio tratto di costa pianeggiante. Strana la conformazione di questa montagna, che si stacca in maniera quasi netta da una specie di tavoliere. Forse anche questo ha alimentato il mito. In realtà è la classica isola che la sedimentazione dei fiumi ha gradualmente trasformato in terraferma.
All’inizio la strada è buona, almeno fino al primo rifugio, che non è ancora il nostro punto di arrivo. Qui diventa sterrata, piena di buche e soprattutto polverosa. Si devono percorrere ancora otto chilometri e mezzo in condizioni disastrate per arrivare all’inizio del sentiero. Incrociarsi con un altro mezzo vuol dire chiudere di corsa i finestrini, per evitare una polvere impalpabile e bianchissima. La strada finisce nell’ampio parcheggio del rifugio Prionia, rustico edificio in legno, dove ci si può permettere uno spuntino, oppure noleggiare i muli per farsi portare su. Meglio farsela a piedi (dopo un paio d’ore avremo però qualche dubbio).
Il piazzale di parcheggio del rifugio sarebbe anche l’ideale per pernottare al fresco; senonché, di notte, quassù si è veramente fuori dal mondo. Conviene farlo solo se i mezzi sono più di uno. Parcheggiato il mezzo ci si inerpica lungo un sentiero tenuto veramente bene, con pali trasversali che trasformano ogni salita in una comoda scaletta, ringhiere in legno e via dicendo: viene quasi da chiedersi perché non hanno curato meno il sentiero e di più la strada.
La comodità, comunque, è solo apparenza. Il sentiero parte dal rifugio Prionia, a 1100 metri sul livello del mare, e arriva al rifugio A (un nome davvero poco fantasioso) a 2100 metri. Ben mille metri di dislivello, una salita continua in cui la fatica non viene certo alleviata dalle buone condizioni del percorso. Ci vogliono almeno tre ore, più altre due in discesa, e non conviene affrontarlo se non si è in discrete condizioni fisiche. E’ il classico itinerario per un giorno intero, da compiere portandosi cibo e acqua appresso e partendo la mattina presto (un po’ di margine non guasta). Ad arricchire la camminata c’è il fatto che questo monte è un vero paradiso per i botanici, con una varietà eccezionale distribuita su diverse fasce climatiche.
Chi non si accontenta del rifugio A e vuole raggiungere la cima dell’Olimpo deve mettere in conto di dormire fuori almeno una notte, dovendo affrontare ancora più di 800 metri di dislivello, lungo un sentiero abbastanza impegnativo. L’ideale sarebbe prenotare due notti al rifugio: il primo giorno fare i primi mille metri in salita e dormire sul posto, il secondo giorno salire alla cima e ritorno; il terzo rientrare alla base in tutta calma. Volendo, il ritorno può essere coperto nell’arco di una giornata, ma così facendo manca il tempo per guardarsi intorno.
Un rischio sono le nubi che, provenendo dal mare, si appoggiano contro questo improvviso baluardo naturale e danno luogo a violenti quanto improvvisi temporali estivi.
Le pendici rocciose, viste dal rifugio A, hanno ancora quel sapore di irraggiungibile che traspare dai testi di mitologia classica. E distruggere un mito per calpestare soltanto pietre è un affare in perdita. Lasciamo la cima agli dei, quindi, e manteniamo vivo un sogno, che è tale finché non si trasforma in banale realtà.
PleinAir 322 – maggio 1999