Natura in Grande

Quando le cime sono ancora screziate di neve e le pendici iniziano a rinnovare il loro abito verde, camminare sui sentieri della Val Grande è un piacere assoluto. E un tributo del pleinair a un parco nazionale tra i più selvaggi d'Europa.

Indice dell'itinerario

Compresa tra la Val Vigezzo a nord, la Val d’Ossola a ovest, il lago Maggiore a sud e sud-est, rappresenta uno degli ultimi habitat selvaggi d’Italia, e non solo (vedi PleinAir n. 321 e 367). E da una decina di anni il microcosmo intatto di selve, solitudini e dirupi della Val Grande è protetto da un parco nazionale: un’istituzione che si auspicava da tempo, ma che non ha soddisfatto tutti. Alcuni infatti avrebbero preferito che fosse designata area wilderness, la prima del genere ufficialmente riconosciuta in Europa. Ma con quali conseguenze’
Ce lo spiega l’ambientalista Franco Zunino: «L’area wilderness è una classificazione adottata negli Stati Uniti per difendere territori vergini e selvaggi, anche se poi il significato ha finito per riguardare territori selvaggi ma non necessariamente vergini. L’importante è che si tratti di spazi ininterrotti di una certa estensione. Non da ultimo, la designazione ha il compito di conferire all’area le garanzie di tutela al più alto livello giuridico possibile, vincoli cioè molto più severi che in un parco nazionale. Le aree wilderness, del resto, non vanno confuse con le riserve integrali, in quanto non sono precluse ai visitatori: al contrario, una delle priorità della loro istituzione è proprio quella di garantire una fruizione equilibrata, a tu per tu con l’ambiente».
Parco nazionale o area wilderness poco importa, dalla statale del Sempione è problematico indovinare l’esistenza di accessi nel regno disabitato e silenzioso della Val Grande. E solo a prezzo di lunghe marce è possibile raggiungere alcune celate bocchette, gli antichi valichi che nel secolo scorso venivano utilizzati per far transitare il legname che arrivava con lunghe teleferiche dalle valli interne.
Non siamo in presenza di cime molto elevate (la più alta è quella del monte Togano, con i suoi 2.301 metri) e, a parte qualche piccolo specchio d’acqua, il parco non include neppure laghi ma soprattutto fitte boscaglie, torrenti, forre e impervi sentieri. Di questi, un tempo al servizio di sperduti alpeggi ora in massima parte abbandonati, quelli non ancora resi impraticabili dalla vegetazione si stanno riattando a uso escursionistico. Per tali difficoltà di fruizione la Val Grande si offre in modo schivo, e bisogna tornarvi più volte per poterne cogliere i principali aspetti.
Gli spazi visivi, poi, sono ridotti dall’accidentata orografia e l’aspra conformazione rende difficile anche l’osservazione diretta della fauna. Poche sono le specie avvistabili: in particolare le vipere (presenti quasi ovunque), una discreta popolazione di camosci (l’emblema del parco) e numerosi rapaci, tra i quali si distinguono poiane, falchi e galli forcelli; anche l’aquila sembra che abbia ripreso a sorvolare i picchi irraggiungibili del Pedum e della Cima Sasso. Ma sono soprattutto la ricchezza e la varietà della vegetazione a farsi notare: predominano conifere e latifoglie, castagni e faggi secolari (alcuni di grandezza eccezionale) che si alternano a olmi, ontani, betulle, aceri, roveri e tigli, per non dire delle rigogliose fioriture tra cui primule, crochi, genziane, l’eccezionale tulipano alpino e il raro rododendro bianco.
Lasciati al sopravvento della natura sono anche i segni del pesante sfruttamento delle foreste subito dalla Val Grande. Per la movimentazione del legname furono costruite agli inizi del Novecento le già ricordate teleferiche (alcune di dimensioni impressionanti per l’epoca) come quella che, valicando gli scoscesi Corni di Nibbio, serviva la cittadina di Mergozzo, sull’omonimo lago, dalla sperduta località di Orfalecchio. Da questo stesso punto alla gola dirupata dell’Arca, nel cuore della valle, fu addirittura realizzato un ponte con una piccola linea ferroviaria.
Tutto ciò affascina e attira un numero sempre maggiore di visitatori, e riviste, libri e filmati ne amplificano il richiamo. Ciò pone qualche problema all’ente parco, impegnato a evitare il sovraffollamento di sentieri e bivacchi. Durante l’estate, che pure è la stagione meno indicata per le escursioni, può succedere che si creino veri e propri assembramenti presso la casermetta metallica della Forestale, ora sempre aperta in località In La Piana (990 m). Ma per apprezzare la Val Grande i periodi ideali sono la primavera e l’autunno, sia per il clima, sia perché la vegetazione è spoglia ed è più facile orientarsi.

Camminando nel parco
Vi proponiamo quattro escursioni nel parco, di cui una impegnativa e con qualche difficoltà di orientamento: perciò è sempre valido il consiglio di avere con sé una buona mappa, di poter contare su un’adeguata preparazione fisica e non fare affidamento sulle condizioni meteorologiche anche se appaiono favorevoli.

Dalla Val Loana a In La Piana
Il primo itinerario, tra i più frequentati, si sviluppa a ridosso del confine settentrionale dell’area protetta. Il tracciato, segnalato e ben visibile, richiede un discreto grado di allenamento e impegna circa 4 ore per la sola andata, per cui è quasi d’obbligo il pernottamento nella casermetta di In La Piana.
Per raggiungere la Val Loana si segue la statale che da Domodossola sale in Val Vigezzo. Arrivati al paese di Malesco si prosegue per la Val Cannobina e, appena fuori dall’abitato, sulla destra, si imbocca la carrozzabile asfaltata che sale in Val Loana (7 chilometri da Malesco). Lasciati l’auto o il camper nel piazzale asfaltato al termine della carrozzabile, in località Fondighebbi (1.256 m), si prende lo sterrato sulla sinistra e si prosegue fino in fondo all’ampio pianoro a pascolo.
Traversato il torrente si sale sul sentiero, in parte lastricato, fino a raggiungere le baite dell’Alpe Cortenuovo (1.792 m). Proseguendo sulla sinistra sempre su sentiero, si arriva in breve all’Alpe di Scaredi (1.841 m) situata poco sotto l’omonima Bocchetta. Da qui (eccezionale panorama sul parco) si scende su un altro tracciato a mezza costa in Val Portaiola. Superato un torrente, sulla destra sono ben visibili i ruderi dell’Alpe Boschelli (1.420 m), distrutta nell’inverno del 1986 da una gigantesca valanga che ha trascinato con sé anche buona parte del bosco di faggi secolari sovrastanti.
Ora il sentiero si inoltra nel bosco scendendo sino a sfiorare nuovamente il torrente, e risalendo le faggete si perviene all’Alpe Portaiola (1.288 m). Sempre nel bosco, si perde quota con numerose serpentine fino al torrente proveniente dalla Val Rossa, lo si attraversa su una passerella sospesa e in poco tempo si giunge nei prati in località In La Piana (990 m) dove è situata la nuova caserma rifugio delle Guardie Forestali. Su un piccolo promontorio a sinistra si trova la vecchia casermetta, divenuta bivacco incustodito.

Da Colloro alla Cima Saler
Il secondo itinerario si sviluppa dalla Val d’Ossola, sul versante occidentale, fino a raggiungere una cima di medie dimensioni (2.020 m) ma con vasto panorama sia sulla Val Grande che sulla catena alpina. Si tratta di un percorso abbastanza agevole e poco frequentato che non richiede particolare allenamento, anche se il dislivello da compiere non è indifferente. Il tempo di percorrenza è di circa 5 ore tra andata e ritorno, sullo stesso tracciato.
Il sentiero inizia dal paesino di Colloro, frazione di Premosello Chiovenda, raggiungibile in 5 chilometri di strada asfaltata, un po’ stretta e con alcune curve a gomito.
Dalla chiesetta di Colloro si stacca una ripida stradetta, anch’essa asfaltata, da seguire fino a quando non si incontra il bivio per Capraga, borgo rurale semiabbandonato. Si continua sulla destra oltrepassando un ponte e subito dopo, facendo attenzione alla traccia sulla sinistra, si imbocca il sentierino che sale all’Alpe Ai Curt (963 m). Dalle baite omonime si nota molto bene la tappa successiva: l’Alpe La Colla, abbarbicata sulle rocce ai margini di una dolce sella erbosa. Continuando fino alle ultime casere di Ai Curt, si piega a destra e su impegnativo zigzag si perviene a La Colla (1.406 m).
Ora il nostro percorso si svolge mantenendosi a mezza costa in direzione nord-ovest, sul versante più assolato. Il sentiero ben presto si trasforma in mulattiera, costruita ad arte ma in alcuni tratti tanto ripida da far immaginare il rischio che correvano le mucche a percorrerla. Procedendo per serpentine si giunge all’apice di un canale zeppo di arbusti, da cui si gode una bella veduta sulla Colma di Premosello. Superate alcune svolte, la mulattiera continua in leggera salita sino alle malghe abbandonate dell’Alpe Curtet (1.692 m), poco distante dalle quali sgorga una piccola sorgente. L’insediamento senza vita rappresenta uno dei luoghi più nascosti e dimenticati della Val d’Ossola.
Per la salita alla Cima Saler non c’è sentiero e conviene tenersi sul pendio erboso sino alla depressione ben visibile, da dove si domina un vasto paesaggio in direzione della piana di Domodossola. Poi, restando sotto cresta, guadagnare quota salendo un canaletto erboso grazie al quale, raggiunta la cresta, si prosegue facilmente in direzione della vetta.

Dal Ponte del Casletto a L’Arca
Il terzo itinerario è ambientato – come il successivo – sul versante meridionale dell’area protetta, a breve distanza dal lago Maggiore, e penetra nel parco attraverso un sentiero che si affaccia sul Rio San Bernardino. Anche se si sviluppa a quote basse è abbastanza faticoso e, tra andata e ritorno (per la stessa via), richiede almeno 5 o 6 ore di cammino.
Il Ponte del Casletto (412 m) si raggiunge dal paese di Rovegro, sede di un centro visitatori del parco, seguendo una strada asfaltata molto stretta e con una galleria che consente il transito solo a veicoli non più alti di 270 cm. Nei pressi del ponte si può lasciare l’auto, anche se i posti sono limitati.
Il sentiero rimonta inizialmente il torrente San Bernardino entrando in due piccole gallerie. Proseguendo su lievi saliscendi e ponticelli in legno in circa un’ora si raggiunge il Ponte di Velina (470 m), ardita costruzione in pietra. Si procede però senza attraversarlo, seguendo il sentiero ora alto sul torrente e in grado di offrire qualche veduta strapiombante. Superato il laterale Rio d’Ancino si giunge a Orfalecchio (675 m), dove un grande muraglione di sassi è rimasto a testimoniare le fatiche dei boscaioli. Dopo la pista si sale prima di quota per poi scendere in località Val Piana; da qui si ricomincia a percorrere più ripidamente un promontorio tra una folta vegetazione. Giunti all’apice si ridiscende al torrente arrivando così nei pressi dell’Arca, imponente orrido roccioso con pareti alte quasi 80 metri.

Dall’Alpe Ompio all’Alpe Buè
Il quarto itinerario si snoda su tracciato evidente e senza difficoltà e consente di penetrare nella bassa Val Grande attraverso estesi boschi di faggio, betulle e castagno. Offre inoltre un’ampia veduta sul tortuoso corso del Rio San Bernardino.
Da Gravellona Toce si prosegue in direzione di Verbania e in località Fondotoce, giunti alla rotatoria, si svolta a sinistra in direzione di Santino, Bieno, Rovegro, Trobaso; arrivati a Santino e attraversato il centro abitato, si seguono le indicazioni per l’Alpe Ompio (990 m) a cui si sale lungo una strada sufficientemente ampia, ma in alcuni tratti con forti pendenze.
Lasciato il mezzo all’Alpe, si comincia a camminare su una stradicciola ciottolata verso il rifugio Fantoli (gestito durante l’estate e di proprietà del CAI di Pallanza). Sulla sinistra, attraverso il bosco, inizia il sentiero che si percorre in circa 4 ore effettive tra andata e ritorno.
Raggiunta una bocchetta, si continua in leggera discesa fino a incontrare un ampio canalone. Rimontando a zigzag il versante opposto, si perviene a una radura ricca di faggi da cui si gode un bel panorama sulla valle e la sottostante Alpe Buè. A questo punto, in direzione dei Corni di Nibbio, si scende a mezza costa su tracciato ben visibile sino alle prime casere di Buè (888 m), ottimo punto di osservazione per chiunque voglia inoltrarsi nel cuore della valle o tra le contorte pieghe del monte Cima Sasso. A Corte Buè esiste un bivacco sempre aperto con stufetta a legna, fornellino a gas, brande e utensili vari (è una delle baitine che si trovano nella parte alta dell’alpeggio).
Il ritorno a Ompio avviene imboccando il sentiero per l’Alpe Bettina che ha origine poco sotto all’alpeggio di Buè, al di là dell’omonimo torrentello. Per una buona mezz’ora di cammino è pianeggiante e addirittura in leggera discesa; poi, in prossimità di un altro piccolo torrente, prende a salire verso i pascoli incolti dell’Alpe Basseno (850 m). Fiancheggiando le boscose pendici del grande promontorio denominato Pizzon, un ultimo strappo accompagna sino alla sella, da cui si ridiscende alle baite dell’Alpe Ompio.

PleinAir 380 – marzo 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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