Natale come una volta

Un paese abbandonato da quasi mezzo secolo è divenuto il palcoscenico di una rievocazione natalizia di grande fascino: a San Severino di Centola, nel parco del Cilento, Gesù Bambino nasce fra i ruderi di un borgo che sulla valorizzazione del passato può costruire il futuro.

Indice dell'itinerario

C’è un borgo, nel Cilento, dove il tempo si è fermato. Parrebbe la solita frase fatta, ma chi arriva a San Severino di Centola si rendrà subito conto che non è così. Al mattino presto lungo le erte stradine si incontra solo qualche capra raminga fra le case abbandonate, che hanno lo stesso colore delle rocce sulle quali sono costruite e sembrano quasi dei castelli di sabbia creati da un bambino sul fianco della montagna. Dagli anni ’60 non abita ormai più nessuno fra quelle vecchie pietre, e solo una sedia impagliata o una pentola rotta sono le superstiti di un’epoca che fu e della quale si può ancora palpare il vissuto, ma in una dimensione da sogno, mentre le imposte delle finestre, aperte su pareti che non esistono, sbattono al vento di tramontana. Anche il treno pare essersi allontanato per non disturbare quelle antiche memorie, ma dalla galleria dove adesso si riposano le mucche pare che all’improvviso debba uscire una sbuffante locomotiva.
Una decina di minuti al volante separano il paese dal mare di Palinuro, e sembra quasi di veder duplicarsi nell’entroterra le scogliere della costa: dopo aver superato una gola, San Severino di Centola compare arroccato su uno sperone roccioso, a sua volta sovrastato da un costone. In posizione veramente suggestiva, ricorda un presepe napoletano del ‘700 e non per nulla, durante le festività natalizie, è teatro di una rievocazione vivente della Natività. Iniziamo dunque a salire fra le case ormai disabitate e immediatamente ci lasciamo prendere dalla suggestione di questo borgo fantasma: forte è la tentazione di varcare qualche soglia ormai priva di porta, ma nella maggior parte dei casi sono crollati i solai e ci accontentiamo di sbirciare dall’esterno.
Nella nebbia delle prime ore della giornata, il castello che sovrasta una collinetta sembra nascere dal nulla fra quei semplici ruderi, testimoni di un tempo lontano. Il manufatto, costruito intorno all’XI secolo, è ormai in completa rovina ma ebbe una notevole importanza strategica, essendo posto a controllo sia della valle del Mingardo che della costa, in contatto visivo con il castello della Molpa a Palinuro. Le due fortificazioni si inserivano in quel sistema difensivo, cruciale durante le guerre fra Angioini e Aragonesi per il dominio sul territorio, di cui possiamo ancora oggi ammirare le vestigia nelle numerose torri di guardia sparse lungo la costa tirrenica dalla Toscana alla Calabria, costruite perlopiù nel XVI secolo.
Più a valle, superata un’insellatura tramite un sentiero a gradoni, scorgiamo i resti della vecchia chiesa parrocchiale a navata unica, con il massiccio campanile che la affianca. Una piccola cappella senza pretese, dedicata a San Severino, ci accoglie invece sulla piazzetta: sembra di essere a una quota molto maggiore di quella a cui ci troviamo, e se si lascia correre l’immaginazione si potrebbe quasi pensare di trovarsi in un villaggio andino. L’atmosfera è incontaminata e selvaggia, e non si può fare a meno di meravigliarsi pensando che siamo vicinissimi a rotte turistiche fra le più battute della Campania.

Teatro del mondo
Era il 1993 quando un gruppo di giovani ebbe per la prima volta l’idea di allestire un presepe vivente a San Severino di Centola, riproducendo su larga scala le Natività settecentesche tanto care alla tradizione regionale. L’iniziativa ebbe un successo inatteso, incoraggiando la replica della manifestazione che ogni anno viene riproposta con modifiche nella disposizione delle scene e nella scelta dei personaggi.
Nelle piccole case si diffonde il tenue chiarore dei lumi a cera, mentre gli abitanti del paese nuovo indossano abiti d’epoca e si trasformano negli attori della suggestiva rievocazione: c’è chi fabbrica cesti con i rami di ginestra intrecciata, chi lavora il legno, chi fa il pane cuocendolo nel forno a legna, mentre altri vestono i panni dei centurioni, dei pastori, dei curiosi che attendono il gioioso evento. Lo spettacolo diventa particolarmente coinvolgente al calare del buio, quando si scorgono attraverso le finestre e sulle pietre sconnesse dei vicoli le lame di luce di mille fiammelle tremolanti. Ma tutta la collina appare illuminata da decine di fiaccole, rendendo ancora più forte la sensazione di essere immersi in un vero presepe, mentre numerosi altoparlanti diffondono un’adeguata colonna sonora. E così, salendo lungo le pendici della collinetta fra donne che tessono, angioletti sorridenti nelle loro candide tuniche, osti rubizzi e alacri ciabattini, si giunge alla capanna della Natività dove Maria e Giuseppe vegliano il Bambino: e neanche il perfido Erode, attorniato dalle schiave con veli multicolori e il capo cinto da un diadema, potrà sconfiggere il messaggio di speranza del piccolo Gesù nato fra i ruderi.

PleinAir 437 – dicembre 2008

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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