Natale al sole

Torniamo in Salento per visitare uno scenografico presepe vivente, ma anche per scoprire le testimonianze di una storia antichissima. E fra siti megalitici, oliveti e cripte bizantine, non manca neppure un singolare giardino botanico.

Indice dell'itinerario

Sull’ampia dolina coperta da fichi d’India e altre piante della vegetazione mediterranea brillano migliaia di piccole luci. La notte è ormai scesa, ed è una notte speciale: quella in cui viene al mondo il Bambino Gesù. Scendiamo a piccoli passi lungo le pendici della cavità carsica, in un paesaggio certamente simile a quello in cui, come vuole la tradizione, i pastori vennero a contemplare la Natività. Intorno a noi si aprono le botteghe degli artigiani che mostrano con orgoglio i prodotti del lavoro quotidiano, mentre le donne offrono vino e pìttule, morbida pasta lievitata fritta nell’olio d’oliva. Finalmente, una grande stella cometa annuncia la grotta in cui Maria e Giuseppe vegliano amorevolmente il neonato, circondati dal rispettoso omaggio degli astanti.
La nostra Betlemme si chiama Sanarica e si trova nelle campagne dell’entroterra salentino, a pochi chilometri da Maglie. Siamo arrivati fin qui attratti non solo dalla possibilità di visitare il presepe vivente, ma anche per scoprire il territorio in una chiave diversa da quella ben nota agli estimatori del Tacco d’Italia. Tutti conoscono almeno di fama le sue candide spiagge e le alte scogliere, la magia del barocco leccese, i sapori genuini della terra e del mare, il folklore musicale che negli ultimi anni è divenuto un fenomeno di rilevanza internazionale grazie a manifestazioni di forte richiamo; non molti invece sanno che questi luoghi conservano un patrimonio storico e culturale piuttosto articolato, risalente a tempi assai remoti e circondato da un alone di mistero imbevuto di antiche credenze popolari.
La fondazione di Sanarica, uno dei comuni più piccoli della provincia di Lecce (conta meno di 1.500 abitanti), avvenne tra il IX e il X secolo probabilmente ad opera di profughi del vicino centro di Muro Leccese, preso di mira dalle scorribande saracene. Allo stesso periodo, e forse prima ancora della nascita del paese, risalirebbe una cappella in cui si venerava la Madonna delle Grazie, patrona molto amata dalla popolazione: sono ben tre – una scultura in pietra sul portale d’ingresso, un affresco sull’altare maggiore e una statua in legno policromo in una delle cappelle laterali – le raffigurazioni della Vergine conservate nel santuario settecentesco, che sorge in una piazzetta nel luogo in cui probabilmente si trovava un analogo edificio del XIV secolo. All’Assunta è invece dedicata la chiesa matrice, che sovrasta un’articolata cripta bizantina a tre navate completamente scavata nella roccia. L’antistante Palazzo Ducale, costruito nel ‘400 e un tempo circondato da un fossato oggi divenuto un giardino, mostra ancora con chiarezza il suo ruolo di cardine difensivo del territorio, all’incrocio delle principali vie di comunicazione con le località adiacenti.

Storia, preistoria e leggenda
I moderni ampliamenti urbanistici hanno reso assai breve la distanza con la nostra prossima tappa, Muro Leccese: meno di 2 chilometri ci separano infatti dal centro di questo borgo rurale, il cui toponimo fa riferimento alla cinta muraria risalente alla civiltà messapica, che popolò l’estremità meridionale della Puglia a partire dall’VIII secolo a.C. Oltre ai lunghi tratti ancora visibili delle mura, i monumenti più importanti sono concentrati nella vasta Piazza del Popolo sulla quale affacciano, in posizione diametralmente opposta, la chiesa dell’Annunziata e la barocca chiesa dell’Immacolata. Esattamente sull’area dove un tempo sorgeva il castello medioevale si trova il Palazzo del Principe, edificato nel ‘500 dalla famiglia feudataria dei Protonotabilissimo: i due piani dell’edificio, dopo recenti lavori di restauro, sono stati attrezzati per accogliere mostre e convegni. Al piano superiore è di particolare interesse un grande scaffale in legno che, ruotando su sé stesso, occulta un’uscita segreta; negli ambienti occupati dalle stalle seicentesche si trova invece il Museo di Borgo Terra, che espone reperti archeologici dei Messapi e testimonianze delle battaglie contro i Turchi. A un livello interrato, fra orci in pietra utilizzati per la conservazione dell’olio e finestre a bocca di lupo, si apre un piccolo vano che era adibito a carcere e le cui pareti sono fittamente coperte da graffiti lasciati dai prigionieri. A breve distanza dal palazzo c’è il frantoio ipogeo, realizzato nel 1602: negli ambienti interni, ristrutturati con garbo, sono esposti torchi di vario tipo e una grossa macina per la molitura, mentre sulle pareti altri graffiti raccontano episodi probabilmente riferiti alla battaglia di Otranto o a quella di Lepanto. Da visitare anche il convento domenicano e la piccola chiesa bizantina di Santa Marina: presumibilmente edificata con parti delle mura messapiche, conserva un ciclo di affreschi tra i più antichi del Mediterraneo dedicato a San Nicola.
Nei dintorni incontriamo le prime tracce di quei monumenti preistorici che hanno acceso la fantasia popolare e che costituiscono una delle peculiarità del Salento: centinaia di dolmen e di menhir, dall’origine incerta ma molto probabilmente eretti a scopo di culto, sono sparsi nelle campagne e negli stessi centri abitati, a volte perfino inglobati nelle case. Altrettanto singolari le cosiddette specchie, cumuli di sassi alti fino a 6 metri, che forse univano al significato religioso la funzione di punti d’osservazione. Prima di andarne a scoprire la concentrazione più significativa, percorriamo intanto il breve tragitto fino a Giuggianello per osservarne i pagliari, costruzioni in pietra a piramide tronca che venivano utilizzate come deposito di granaglie e attrezzi agricoli. Ma il sito più scenografico è quello dei Massi della Vecchia: sulla strada che porta in località Quattromacine, nel fondo Tenenti, tra olivi secolari spiccano questi macigni modellati dall’erosione e poi forse ricollocati dall’uomo a scopo celebrativo. Leggenda vuole che la grande pietra circolare issata sulle altre rappresenti il furticiddhu te la vecchia, ovvero un fuso per la filatura, mentre la vicina forma a giaciglio sarebbe il letto della misteriosa signora. Si dice che sotto il pesantissimo lastrone sia nascosta una chioccia con sette pulcini d’oro, e che il modo per sollevare la pietra senza fatica venga rivelato in sogno da una fata benefica.
Prendiamo infine la direzione di Otranto per arrivare a Giurdignano, conosciuto come Giardino Megalitico d’Italia per via della presenza di più di trenta fra menhir e dolmen nel suo territorio. I riti propiziatori legati a questi monumenti risalgono ad epoche molto lontane, e nei racconti popolari le lunghe ombre delle pietre infisse nel terreno, proiettate dai fuochi che venivano accesi attorno ad esse, erano fattucchiere che si radunavano in diabolici convegni. Alcuni megaliti sono circondati dai poderi agricoli, altri fanno ormai parte del tessuto urbano, motivo per cui non è possibile conoscerne con esattezza il numero, ma è sufficiente passeggiare nel paese e nei dintorni per imbattersi in queste testimonianze della preistoria. Appena fuori dall’abitato il menhir di San Paolo, alto poco più di 2 metri, presenta alla base una nicchia quadrangolare scavata nella roccia, il cui interno è affrescato con temi riferiti al santo protettore dei tarantati. Il riutilizzo cristiano dei siti è comprovato anche dal fatto che molti dei megaliti presentano una croce incisa sulla sommità, come nel caso dei menhir denominati Vicinanze 1 e 2.
Tornati nel centro storico, un’ultima visita ci riconduce nel sottosuolo: la cripta di San Salvatore è un altro splendido esempio di chiesa rupestre bizantina, con pianta a tre navate e numerosi resti di affreschi portati alla luce anche da restauri effettuati in tempi moderni. Di particolare interesse le volte scavate nella pietra calcarea, con motivi che simulano una cupola e un soffitto in legno a cassettoni. All’ora del tramonto, grazie al particolare orientamento dell’edificio, l’altare è illuminato dagli ultimi raggi del sole: quello stesso sole che da sempre gli uomini adorano, e che da duemila anni torna a rinascere ogni Natale, come Figlio di Dio, nella grotta di Betlemme.

Testo e foto di Emilio Dati

PleinAir 449 – Dicembre 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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