Napoli castellana

Angioini, Aragonesi, Borboni: dal lungomare al colle del Vomero, storie e memorie (con qualche tappa golosa) nelle rocche e nei palazzi intorno al golfo.

Indice dell'itinerario

Le belle cose vanno fatte vedere: così recita un proverbio napoletano, riassumendo lo spirito di una città che è anche un modo di essere. E avvicinarsi alle molte, moltissime bellezze di Napoli con gli strumenti del pleinair è più facile di quanto si creda, a patto di non volersi cimentare a tutti i costi con un traffico altrettanto proverbiale. Circolazione e viabilità quantomeno ostiche, sensi unici dalle alternative note solo agli abitanti, sosta problematica sono in grado di scoraggiare anche il più paziente dei turisti, ma basta individuare una comoda base logistica e servirsi dei mezzi pubblici: oltre alle linee di autobus ci sono ben quattro funicolari, più tratti di ferrovie urbane e una metropolitana in progressiva espansione, a formare una rete che semplifica di molto l’approccio con il capoluogo campano. Ed ecco un itinerario urbano tutto da provare che sceglie un filo conduttore dai forti connotati culturali, quello dei castelli che segnarono il suo plurisecolare passato di capitale.
Per la sosta pleinair abbiamo sperimentato, nella periferia orientale, un sicuro parcheggio recintato, custodito e dotato di pozzetto; suo pregio essenziale è l’ubicazione a qualche centinaio di metri dalla stazione sotterranea Poggioreale della Ferrovia Vesuviana, con la possibilità di giungere in pochi minuti alle soglie del centro storico presso il terminale di Porta Nolana. Da qui il tram 1 conduce a Piazza Municipio, con un tracciato quasi lineare che si sviluppa lungo il recinto portuale sfiorando sulla sinistra pochi resti dell’antica porta e del trecentesco Castello del Carmine, piccola introduzione al nostro itinerario nella Napoli castellana: a metà del ‘600 fu una base della rivolta antispagnola capeggiata da Masaniello e alla fine del ‘700, trasformato in carcere, vide ospiti illustri come Eleonora Pimentel Fonseca e Luisa Sanfelice (imprigionate dai Borboni per il sostegno alla Repubblica Napoletana e in seguito condannate al patibolo).
Sulla stessa tratta ferroviaria un altro ottimo punto di partenza è la fermata precedente, Piazza Garibaldi, sede della stazione di Napoli Centrale da dove partono anche numerosi autobus urbani. In questo caso però ci muoveremo a piedi, lungo un percorso che familiarizza con il clima e l’atmosfera della città. In poche centinaia di metri, Via Poerio conduce a Piazza De Nicola su cui si affacciano le nitide forme di Santa Caterina a Formiello, valido episodio del Rinascimento napoletano che le belle sculture del transetto rendono una sorta di Pantheon del casato degli Spinelli. La chiesa si lega a Porta Capuana, fiancheggiata – come Porta Nolana – da due merlate torri cilindriche chiamate Onore e Virtù, che alla fine del ‘400 limitavano la città murata aragonese: dal più importante degli accessi cittadini passarono sovrani e ambasciatori, come mostra la raffinatezza dell’arco in marmo bianco finemente scolpito da Giuliano da Maiano a contrasto con i toni severi di mura e torri, costruite in scura roccia piperno di origine vulcanica.
Attraverso Porta Capuana passò anche Carlo V, ospitato in Castel Capuano che appare proprio al di là del varco. Fondato dalla dinastia normanna a metà del 1100 e più volte rimaneggiato, fu destinato dapprima a reggia, poi a ricevimenti e matrimoni gentilizi, e prese sempre più forme di palazzo da quando, nel ‘500, il viceré Pedro de Toledo lo trasformò in tribunale (ruolo che tuttora mantiene): il massiccio parallelepipedo è inserito in un animatissimo quartiere dove il popolino si mescola ai tanti uomini di legge che lo frequentano giornalmente. Meritano di essere visitati, al primo piano, il vastissimo salone affrescato e la Cappella della Sommaria, dalla ricchissima decorazione cinque-seicentesca.Proseguendo in direzione del lungomare, a metà di Via Pietro Colletta si affaccia su una piccola piazza il vecchio teatro Trianon, da cui ha preso il nome anche una pizzeria situata di fronte: questo rinomato locale (aperto anche all’ora di pranzo) offre una pizza di diametro eccezionale, in primo luogo un’ottima margherita di gusto tradizionale.
Sbuchiamo ora su Corso Umberto, una delle principali arterie della città, inaugurata a fine ‘800 e soprannominata il Rettifilo. Volendo usare i mezzi pubblici per il chilometro e mezzo fino a Piazza Municipio, basterà salire sugli autobus R2 o 201 che sfiorano la monumentale scalea dell’Università istituita nel 1224 da Federico II. All’arrivo, oltre i giardini si avrà di fronte la sede comunale di Palazzo San Giacomo e sulla sinistra Castel Nuovo, ben più noto come Maschio Angioino, che con le sue cinque torri è il più scenografico dei castelli partenopei nonché il più ricco di storia. L’edificio e la città stessa vissero un periodo d’oro nella seconda metà del ‘400, quando agli Angioini successero gli Aragonesi con Alfonso I il Magnanimo: fu un risveglio culturale di elevato livello il cui simbolo è il capolavoro dell’Arco di Trionfo a più livelli, che marca l’ingresso alla corte trapezoidale. Il castello oggi si presenta con le modifiche volute da re Alfonso anche per scopi difensivi, con le torri rese inespugnabili dai forti basamenti coperti da spioventi squame di pietra; gradevoli forme esotiche caratterizzano invece la corte nella quale artisti catalani come il Sagrera espressero quel gusto poi diffusosi a Napoli e in altri centri meridionali. Sempre il Sagrera progettò la bella Sala dei Baroni, che vide il drammatico epilogo della famosa congiura dei baroni: nel 1487 re Ferrante, con una serie di inviti al simulato matrimonio della nipote, stroncò le trame dei feudatari filoangioini. Sono inoltre da visitare i due piani del Museo Civico e il gotico slancio della semplice ed elegante Cappella Palatina, quanto resta della prima edificazione degli Angiò, che conserva due Madonne del Laurana e una del Gagini.
Pochi passi ci separano dal Teatro San Carlo, di piacevoli forme neoclassiche, la cui costruzione fu nel 1737 tra i primi approcci della dinastia borbonica che intendeva dotare adeguatamente la città tornata ad essere, dopo oltre due secoli, vera capitale di un regno. Di fronte, la vasta Galleria Umberto I è un’apprezzabile realizzazione di fine ‘800.
Ed eccoci a Palazzo Reale: agli inizi del ‘600 il conte di Lemos, viceré spagnolo di fresca nomina, decise che le sue funzioni richiedevano qualcosa di più grande e artistico dell’edificio fatto costruire cinquant’anni prima da Pedro de Toledo. Alla nuova costruzione prestò la sua opera il grande Domenico Fontana, il maggiore architetto del regno: ne nacque un complesso degno di un sovrano ben più che di un viceré, che nel tempo subì svariati ampliamenti e modificazioni diventando via via la sede dei Borboni, di Giuseppe Bonaparte, di Gioacchino Murat e di nuovo dei Borboni. Fu sotto tale dinastia che Luigi Vanvitelli risolse i problemi statici di quella facciata lunga quasi 170 metri con una soluzione estetica praticamente inavvertibile: si trattò del tamponamento intermittente delle arcate del porticato mediante altrettante nicchie, occupate dopo l’Unità dalle statue dei rappresentanti di tutte le dinastie che avevano dominato sulla città (a qualche napoletano avanti con gli anni potrete chiedere la vecchia e irriverente interpretazione popolare della gestualità delle otto sculture). Nel palazzo si visitano gratuitamente i diversi cortili e i giardini; si passa invece alla biglietteria per risalire il superbo scalone d’onore e accedere ai sontuosi appartamenti reali che, insieme ad affreschi e arazzi, ospitano una ricca pinacoteca tematica. Di libero accesso anche la grande e frequentata Biblioteca Nazionale, una delle prime in Italia per numero di libri ma pure per bellezza e rarità di reperti: la collezione di papiri è unica, costituendo la sola raccolta del mondo antico giunta fino a noi. Benché i rotoli fossero rimasti carbonizzati dall’eruzione vesuviana dell’anno 79 – quella che seppellì Pompei ed Ercolano – molti degli scritti hanno potuto essere letti grazie all’opera certosina che gli studiosi tuttora svolgono nell’Officina dei Papiri Ercolanesi, appartenente alla stessa Biblioteca Nazionale.Uscendo dalla reggia, in Piazza Trieste e Trento avrete di fronte i tavolini del Gambrinus, caffè storico per eccellenza della città, le cui vetrine fanno come da spartiacque tra Piazza Plebiscito sulla sinistra e Via Chiaia sulla destra. Pitture, sculture, decorazioni degli artisti più noti che frequentavano il locale fondato nel 1880 calano il visitatore nell’atmosfera che a cavallo dei due secoli caratterizzava la brillante vita culturale napoletana: qui si fermavano Matilde Serao e Gabriele d’Annunzio, Eduardo De Filippo e Giorgio De Chirico. Il salone, quasi una mostra d’arte permanente, ospita spesso cene-spettacolo in carattere con lo spirito del locale.
Per puntare ora verso Castel dell’Ovo, che dista una decina di minuti, conviene attraversare la vasta Piazza Plebiscito restituita al suo sapore ottocentesco con l’affrancamento dalle auto che la rendevano un triste parcheggio. Discendendo Via Cesario Console, la prima a destra è Via Santa Lucia che corre lungo le pendici del Monte Echia (oggi Pizzofalcone) e sbocca al mare quasi di fronte al castello. Proprio su quest’altura tufacea i Greci di Cuma crearono il primo insediamento protetto di Partenope e chiamarono Megaride l’isolotto roccioso sul quale venne eretta una dépendance ad uso di una villa costiera di Lucullo: qui nel 476 venne confinato l’ultimo imperatore di Roma, il giovanissimo Romolo Augustolo che vi trascorse il resto dei suoi giorni. Nell’alto Medioevo, quando Neapolis era ancora ducato di obbedienza bizantina, alcuni monaci basiliani innalzarono sull’isoletta un cenobio dedicato al Salvatore. Smantellate le costruzioni verso il 900 per impedire che vi si installassero i pirati saraceni, in epoca normanna vi fu costruita una fortificazione, trasformata in vero castello turrito nella prima metà del XIV secolo sotto Roberto d’Angiò. Sulla bellezza del sito dice molto il fatto che Alfonso il Magnanimo volesse essere trasportato in punto di morte proprio a Castel dell’Ovo, ordinando di esservi sepolto in attesa del trasferimento delle spoglie in Catalogna. In effetti, basta attraversare il ponte che da oltre un secolo lega l’isolotto alla terraferma, tra le barche di circoli velici di grande tradizione, e risalire la solitaria rampa di accesso al fortilizio per avvertire tutta la suggestione delle vecchie mura circondate da un mare azzurrissimo: un altro mondo rispetto ai rumori e all’animazione della metropoli. Salendo alle terrazze soleggiate, le antiche bocche da fuoco rivolte all’abitato sembrano rammentare i giorni in cui da quassù i fautori della Repubblica Napoletana spedirono bordate per dissuadere la popolazione dal contrastare l’arrivo dei napoleonici.
Seguendo il lungomare di Via Partenope si giunge in Piazza Vittoria (il nome ricorda la battaglia navale di Lepanto del 1571) dove fa capolinea il tram 1, che riporta al terminal della Vesuviana di Porta Nolana per rientrare alla base di sosta; ma la scoperta della Napoli castellana non finisce qui, e per prima cosa ci conduce nei giardini di Via Francesco Caracciolo, anch’essi affacciati sul golfo. Dalla vicina Piazza dei Martiri, punto di riferimento di questa parte della città, si chiude l’asola arrivando nuovamente in Via Chiaia, frequentata strada commerciale oggi adibita a zona pedonale; in dialetto chiaia significa spiaggia, e infatti il percorso collegava direttamente la zona della reggia con l’arenile, un tempo ben più arretrato rispetto all’attuale linea di costa. Anche la vicina Via Toledo è una strada commerciale, ma solo in parte trasformata ad uso dei pedoni: merita un’altra sosta golosa la bottega di Pintauro, inventore nel 1875 della famosa sfogliatella, da consumare appena uscita dal forno nel negozietto (tuttora della famiglia) arredato con stigli e semplici piani in marmo che sono rimasti quelli d’una volta.Percorsa per intero Via Toledo ci portiamo alla stazione di Piazzetta Augusteo della Funicolare Centrale per salire al quartiere collinare del Vomero. Dalla stazione superiore di Via Cimarosa occorre meno d’un quarto d’ora per accedere a Castel Sant’Elmo, imponente struttura che forma un tutt’uno con il banco tufaceo su cui poggia. La rampa esterna che sale alla spianata sommitale (raggiungibile anche in ascensore) è un percorso eccellente per apprezzare i particolari costruttivi delle sue forme a stella allungata, i tunnel di sparo delle bocche da fuoco, i taglienti speroni angolari. Giunti in cima, il cammino di ronda si apre su uno straordinario panorama di tutta Napoli con il Vesuvio e il golfo, e ancora una volta si è conquistati dal totale senso di tranquillità e di distanza dalla città brulicante. Con i primi Angioini, ancora nel ‘200, qui era il Belforte, residenza fortificata che più tardi re Roberto incaricò il senese Tino di Camaino di trasformare in castrum; ma l’avvento delle armi da fuoco impose differenti strategie e a metà del ‘500, sotto Carlo V e i viceré di Spagna, Castel Sant’Elmo venne ricostruito nelle forme elaborate che oggi vediamo. Gravi danni e 150 vittime causò nel 1587 un fulmine caduto sulla polveriera, che per lo spostamento d’aria fece notevoli disastri anche in città. Il possente fortilizio ebbe il suo impiego più frequente nelle vicende interne di Napoli come quando, al tempo della rivolta di Masaniello, il fuoco dei cannoni venne rivolto contro la città stessa. Negli ultimi decenni del ‘900 Sant’Elmo ha subito importanti restauri, durati sette anni, e ha potuto per la prima volta essere aperto alle visite di napoletani e turisti richiamati anche da nutriti calendari espositivi.
A pochi passi dal castello, la Certosa di San Martino è una delle grandi mete che documentano il periodo barocco della città. Originario del ‘300 angioino, lo storico monastero subì grandi rifacimenti tra il XVI e il XVII secolo per l’opera di numerosi artisti, tra i quali fu determinante l’impronta di Cosimo Fanzago (che diresse i lavori per oltre trent’anni) e Domenico Vaccaro. Nella chiesa, la straordinaria ricchezza e fastosità non appaiono straripanti ma sempre condotte dal Fanzago sul piano del gusto e dell’armonia; la forma bifronte dell’altare si deve al fatto che, essendo i certosini tenuti alla clausura, le loro funzioni venivano officiate sul lato nascosto, riservando invece quello esterno alle messe per i fedeli. Magnificenza di pitture, stucchi e legni intarsiati si notano anche negli ambienti di clausura annessi alla chiesa. Passando per l’atrio delle carrozze borboniche si arriva al gran panorama dei giardini, adibiti dai monaci ad erbari, orto e vigna. Tra i diversi chiostri si fa molto ammirare quello grande, adorno degli arbusti sempreverdi delle camelie che fioriscono anche d’inverno; qui le porte sono insolitamente sovrastate da rilievi naturalistici. Il complesso conventuale ospita anche il Museo Nazionale della Certosa di San Martino con numerose collezioni di grande interesse, dai vedutisti alla raccolta di presepi di scuola napoletana, alle grandi rappresentazioni urbane tra cui s’impone la famosa tavola Strozzi, di miniaturistica precisione, che mostra la città come appariva il 12 luglio 1465 al ritorno della flotta di re Ferrante dal vittorioso scontro navale di Ischia su Giovanni d’Angiò (in primo piano, il porto e un Castel Nuovo lambito dal mare forniscono preziose informazioni sulla Napoli del tempo).
L’ultimo castello che andiamo a conoscere richiede di scendere alla città bassa con una diversa funicolare, quella di Montesanto, da prendere in Via Morghen nei paraggi di Castel Sant’Elmo. A pochi metri dalla stazione inferiore si trova la stazione della Ferrovia Cumana, che ci conduce fuori città fino a Lucrino dove un bus locale ci lascia a pochi metri dal Castello di Baia. Il rifacimento di una precedente struttura aragonese si deve ai viceré spagnoli che intendevano contrastare il pericolo di sbarchi dei barbareschi nel golfo, ma i fatti d’arme di cui il castello fu protagonista riguardarono, molto più tardi, uno scontro tra i Borbonici e gli Austriaci (che riuscirono a impadronirsene) e l’attacco di una flotta britannica che nel 1799 cercò vanamente di toglierlo ai franco-napoletani che lo presidiavano. La solida costruzione, che domina pittorescamente lo specchio di mare, ospita il Museo Archeologico dei Campi Flegrei dove si vanno raccogliendo i reperti del territorio, anche sommersi: a causa del bradisismo che contraddistingue la costa, infatti, diverse ville ed edifici sono oggi visibili sotto vari metri d’acqua. Nel periodo romano, anche per le sorgenti minerali che vi sgorgavano, la zona fu prediletta dai patrizi che vi costruirono ville e terme, come si potrà vedere visitando l’esteso Parco Archeologico delle Terme di Baia a cui si accede da una scalinata a monte dell’ex stazione ferroviaria.
Per tornare in città conviene prendere la Cumana alla stazioncina di Fusaro: arrivati a Montesanto, una decina di minuti a piedi ci portano alla stazione della metropolitana in Piazza Dante da cui, scendendo a Piazza Garibaldi, sarà nuovamente la Vesuviana a ricondurci al punto di partenza.

PleinAir 400 – novembre 2005

Tutte le foto dell’autore di questo articolo sono pubblicate per autorizzazione gentilmente concessa dalle diverse Soprintendenze competenti per arte, cultura e patrimonio museale napoletano. In particolare, le foto che riprendono Castel Sant’Elmo e la Certosa di San Martino sono qui riprodotte per concessione della Fototeca – Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Napoletano. La fotografia del papiro di Ercolano Pherc. 1055 (custodito presso la Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III” di Napoli) viene pubblicata per concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali; l’immagine realizzata con tecnica multispettrale è di Steven W. Booras © Biblioteca Nazionale, Napoli N Brigham Young University, Provo (USA); ne è vietata la duplicazione con qualsiasi mezzo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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