Nanuk, il vagabondo

Così gli Inuit del Canada chiamano l'orso bianco, il solitario e più grande carnivoro vivente che tutti gli anni si trova a passare per Churchill, un villaggio tra i ghiacci di Hudson Bay. E proprio lì andiamo a salutarlo.

Indice dell'itinerario

Il rombo dei motori copre la voce dell’hostess che impartisce ai passeggeri le istruzioni di rito. Il turboelica della Calm Air diretto a Churchill, dopo le consuete operazioni di trattamento antighiaccio alle ali, sta per decollare dall’aeroporto di Winnipeg nel bel mezzo di una bufera di neve: siamo solo all’inizio di novembre, ma qui l’autunno lascia presto il posto a un rigido inverno con temperature che scendono anche sotto i -20° (mentre d’estate possono raggiungere e superare i 30°).
Winnipeg, capoluogo della provincia del Manitoba, è una tappa obbligata per raggiungere la Baia di Hudson e merita almeno un paio di giorni di sosta. Alla confluenza dei fiumi Red e Assiniboine si può visitare The Forks, un tempo luogo d’incontro per le tribù native (il cui sostentamento era legato essenzialmente alle mandrie di bisonti) e dove sorse il nucleo originario della città; oggi è un parco storico e ospita un grande centro commerciale con negozi d’ogni genere e un vivace mercato. Da non perdere la Winnipeg Art Gallery (300 Memorial Boulevard) che ospita la più grande collezione di arte Inuit del mondo, e l’interessante Museum of Man and Nature (190 Rupert Avenue), una grande mostra sul Manitoba attraverso la preistoria, la fauna locale, le popolazioni indigene e le esplorazioni della Hudson Bay. Per un’emozione particolare ci si può recare all’I-Max Theatre (393 Portage Avenue, al Portage Place Shopping Center) dove su uno schermo gigante vengono proiettati filmati spettacolari girati con speciali cineprese; mentre per rilassarsi l’ideale è una passeggiata all’Assiniboine Park, il più antico e grande parco cittadino (152 ettari di verde lungo il fiume omonimo, a 20 minuti di autobus da Downtown) che include anche uno zoo. Qui, tra l’altro, si trova la statua del soldato Harry Colebourne e del cucciolo d’orso che nel 1916, durante la guerra, egli comprò come mascotte per il suo reggimento chiamandolo Winnie in riferimento a Winnipeg, sua città natale: quell’orsetto sarebbe poi diventato famoso in tutto il mondo per aver ispirato il classico di Alan Alexander Milne Winnie The Pooh.
E l’obiettivo del nostro viaggio è proprio quello d’incontrare lui, il più grande carnivoro terrestre, l’animale che meglio di ogni altro incarna il mito del grande Nord americano: l’orso bianco, Ursus Maritimus per gli zoologi, Nanuk per gli Inuit.
Churchill, la nostra meta, è non a caso conosciuta come la capitale mondiale degli orsi polari ed è senza dubbio il miglior posto al mondo, oltre che il più meridionale, per osservare da vicino e in tutta sicurezza queste splendide creature. Situato sulla Baia di Hudson intorno al 58° parallelo (più o meno la stessa latitudine di Stoccolma) e circa 800 chilometri a sud del Circolo Polare Artico, questo villaggio di un migliaio di anime è stretto nella morsa del gelo da ottobre a giugno e arrivarci è già una piccola avventura: si raggiunge da Winnipeg solo in aereo (meno di tre ore di volo) o in treno (1.700 chilometri per due notti e un giorno di viaggio).
La baia – che deve il nome all’esploratore inglese Henry Hudson – è un vero e proprio mare interno le cui acque, influenzate dalle correnti polari, sono ghiacciate per la maggior parte dell’anno; d’inverno è uno dei luoghi più inospitali della terra, con temperature che possono scendere fino a 40 gradi sotto lo zero. Un tempo queste zone furono luogo di commercio delle pellicce fra bianchi e indiani, gestito da Churchill e dalla mitica Hudson Bay Company fondata nel 1688 dagli inglesi sulla foce del fiume da dove partivano i carichi di pelli destinate alle capitali europee. Per proteggere questi traffici dalle incursioni dei francesi fu edificato Fort Prince of Wales, sulla riva occidentale del fiume: iniziata nel 1731, la sua costruzione richiese quarant’anni a causa del clima ostile che riduceva a pochi mesi all’anno il tempo utile per lavorare. Oggi è un sito storico visitabile durante l’estate, stagione in cui gli amanti della natura possono osservare nella zona caribù, balene beluga, qualche orso bianco e vari tipi di uccelli, fra cui il raro gabbiano di Ross.
Ma è in autunno, fra ottobre e novembre, che frotte di turisti e fotografi giungono qui per assistere a uno spettacolo unico al mondo: centinaia di orsi polari si radunano nei dintorni di Churchill (e ogni tanto qualcuno entra anche in città) in attesa della formazione del ghiaccio sulla baia per potersi spingere sul pack a caccia di foche. Solo qui è possibile osservare questi animali, nomadi e generalmente solitari, riuniti in gruppi e tanto vicini a un insediamento umano. Churchill si trova infatti sulla rotta della migrazione autunnale, la stessa da migliaia di anni, che porta i plantigradi a nord dopo i mesi estivi trascorsi nella tundra. Qui, dopo l’inverno passato sulla banchisa a cacciare foche, il disgelo di luglio costringe gli orsi a vagare per tre o quattro mesi cibandosi di lemming, uova di uccelli, erbe e bacche, ma soprattutto sfruttando le riserve di grasso accumulate in precedenza. Alcuni scavano delle buche e cadono in una sorta di letargo estivo, ma all’arrivo dell’autunno tutti (eccetto le femmine gravide che scavano tane sotto la neve per prepararsi al parto di gennaio) ricominciano a spostarsi verso nord per trascorrere un nuovo inverno sul pack. Questo è il periodo migliore per osservarli, e lo si può fare in tutta sicurezza dall’interno dei Tundra Buggy, speciali veicoli che grazie alle enormi ruote motrici sono in grado di affrontare qualsiasi terreno. Possono ospitare 40-50 persone e sono dotati di una piccola toilette, di finestrini abbassabili per fotografare e di uno spazio aperto sul retro. Le escursioni, comprensive di lunch (zuppa calda, sandwich e caffè), durano in media da 7 a 8 ore durante le quali non si può scendere a terra, e per motivi di sicurezza a bordo bisogna attenersi a due semplici regole: non sporgersi dai finestrini e non offrire cibo agli orsi. La loro aria pigra e giocherellona non deve infatti ingannare; si tratta di predatori di dimensioni e forza straordinarie (un maschio adulto può pesare oltre 500 chili e raggiungere i 3 metri di altezza in posizione eretta) e un eccesso di confidenza nei loro confronti potrebbe avere conseguenze spiacevoli.
Lo sanno bene gli abitanti di Churchill, che ci convivono da sempre. Spesso, in autunno, orsi affamati dal digiuno estivo si avvicinano alle discariche della cittadina e alcuni finiscono per compiere incursioni fra le case. In questo caso entra in azione una speciale squadra operativa a disposizione 24 ore su 24 che li cattura con delle trappole oppure li narcotizza e li mette… in prigione. Può sembrare uno scherzo, ma a Churchill esiste davvero una specie di carcere dove gli esemplari che creano problemi vengono rinchiusi finché non si forma il ghiaccio sulla baia e quindi possono essere trasportati con l’elicottero molto più a nord. In passato, prima che si adottasse questo sistema, gli animali venivano abbattuti e spesso il bilancio era pesante (anche 40 esemplari in un anno). Adesso l’uccisione di un orso è cosa rara e accade solo in caso di assoluta necessità. Gli abitanti di Churchill hanno imparato ad accettare i pro e i contro di questa convivenza forzata e a prendere le dovute precauzioni: sbarre a porte e finestre, niente rifiuti vicino alle case, cartelli di pericolo sparsi ai margini dell’abitato e speciali programmi nelle scuole che illustrano ai ragazzi i comportamenti da tenere nel caso di un incontro ravvicinato con l’orso (la cosa migliore, a breve distanza, è raggomitolarsi a terra coprendosi la testa con le braccia e fingersi morti).
Ma non mancano comunque dei vantaggi legati all’afflusso turistico dovuto proprio alla presenza degli orsi, che attirano molti curiosi da tutto il mondo. Naturalmente Churchill è anche il luogo ideale per lo studio di questi plantigradi; da oltre trent’anni i ricercatori ne verificano l’età e lo stato di salute generale, effettuano dei prelievi di sangue e applicano loro delle targhette di riconoscimento sulle orecchie. Oggi che la caccia è strettamente controllata, altri sono i pericoli che minacciano la sopravvivenza del signore dell’Artico: il principale è l’inquinamento da sostanze chimiche come i PCB (policlorobifenili), il DDT e i metalli pesanti quali piombo e mercurio, che i paesi industrializzati immettono nell’aria e nell’acqua e che poi vento e correnti trasportano fino ai mari del nord. Qui le sostanze tossiche vengono assorbite dagli organismi viventi e di conseguenza trasmesse agli orsi.
Solo gli Inuit, da sempre abitatori delle terre artiche (assolutamente da vedere l’Eskimo Museum a Churchill), hanno il permesso di cacciare questi animali, anche se in numero limitato. Si cibano della loro carne (eccetto il fegato, non commestibile) e ne usano la pelle per confezionare pantaloni per gli uomini (nanut) e stivaletti per le donne (kamik). Per loro l’orso bianco è “il grande vagabondo solitario” (questo è appunto il significato del nome Nanuk), un essere potente e saggio, quasi umano. Antiche leggende eschimesi narrano infatti di uomini-orso che vivevano negli igloo, camminavano eretti e sapevano parlare.
Oggi, nonostante i positivi risultati conseguenti all’accordo del 1973 sulla protezione della specie stipulato da Canada, Stati Uniti, Unione Sovietica, Danimarca e Norvegia, la sopravvivenza dell’orso polare è in grave pericolo e il suo habitat sempre più vulnerabile a causa dell’inquinamento e dello sfruttamento minerario. Ma, nonostante tutto, il fascino del grande Nord e delle sue splendide creature è ancora ben vivo: e noi vogliamo credere che potrà esserlo per sempre.

PleinAir 377 – dicembre 2003

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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