Mostri, poeti e aborigeni

A pochi minuti di marcia dal casello autostradale di Orte, una collezione di curiosità storiche, naturalistiche e letterarie per una piccola ma piacevolissima vacanza. In camper, ovviamente, con qualche ottima idea da sperimentare a piedi o in bici.

Indice dell'itinerario

Vogliamo parlarvi di una terra misteriosa in cui si possono trovare un bosco popolato da mostri di pietra, bastioni tufacei traforati da grotte scavate dall’uomo migliaia di anni fa, imperscrutabili resti di antiche civiltà persi in folte foreste, un moai come quello dell’isola di Pasqua e la torre in cui si ritirò a vivere un grande scrittore e regista. Ma come molti viaggi nel mito, l’inizio è assai profano: un casello dell’autostrada del Sole, quello di Orte. Da qui, oltre al nuovo raccordo stradale che conduce a Viterbo, parte anche la vecchia statale 204 Ortana, che procede quasi parallela alla superstrada e sarà il nostro ben più piacevole filo di Arianna.
Proprio al suo inizio, l’antico borgo di Orte nasconde tesori inesplorati. Sorge al vertice di un tacco tufaceo e sembra innalzarsi direttamente dalla roccia: le vecchie case, edificate spesso su resti etruschi, delineano un affascinante reticolo di viuzze che convergono su Piazza della Libertà, dove affaccia la bella cattedrale di Santa Maria Assunta. Proseguendo su Via Matteotti, arriveremo di fronte alla semplice facciata della chiesa di Sant’Agostino, al cui interno si trova un piccolo museo che raccoglie tutti gli oggetti (alcuni di gran pregio) indossati dai membri delle confraternite durante la cerimonia pasquale del Cristo Morto, una delle più antiche e suggestive d’Italia.
Tornati sulla 204 ci attende, a poco più di 10 chilometri, Bassano in Teverina. Il centro storico, abbandonato dagli abitanti dopo l’ultima guerra in favore degli edifici moderni che lo circondano, è stato interamente recuperato; qui si trova anche un nucleo di case popolari in pietra con soffitti in legno, che rappresentano davvero una rarità in Italia per questo genere di strutture.
Ben diversa è invece la suggestione di Chia, che troveremo appena più avanti. Un tempo questo paesino dovette rivestire una certa importanza strategica, come rivelano i vicoli stretti e la posizione arroccata, ideali per una strenua difesa: oggi i muri sbriciolati e le occhiaie vuote delle finestre mostrano che l’interesse per il luogo è decisamente venuto meno. Varcando però la porta del borgo e risalendo lo scuro meandro che porta alla rocca scopriremo un mondo affascinante, fatto di poesie scritte sui muri, testimonianze del passato etrusco, panoramici affacci verso Mugnano e la sottostante valle del Tevere.
Quest’angolo del Viterbese, inoltre, è strettamente legato alla memoria di Pierpaolo Pasolini: poeta, scrittore, commentatore attento e colto, tra i più grandi registi del nostro cinema, scoprì casualmente questi luoghi mentre era alla ricerca di alcune location per il suo film più discusso, Il Vangelo secondo Matteo. A pochi chilometri dal borgo, la gola del Fosso Castello forma cascate e giochi d’acqua dominati dai resti del castello di Colle Casale con un’altissima torre, detta appunto di Chia. Pasolini valutò che fosse lo scenario ideale per girare la scena del Battesimo di Gesù e pensò di acquistare i ruderi per potervi creare un buen retiro creativo. L’impresa, tuttavia, non si rivelò affatto facile, come egli stesso scrisse in versi del 1966: “Ebbene ti confiderò, prima di lasciarti/che io vorrei essere scrittore di musica,/vivere con gli strumenti/dentro la torre di Viterbo che non riesco a comprare/nel paesaggio più bello del mondo…”. Solo nel 1970 riuscì finalmente ad acquisire la proprietà e vi trascorse gli ultimi tre anni della sua vita, dedicandosi tra l’altro alla stesura di Petrolio, il celebre romanzo rimasto incompiuto e pubblicato postumo quasi vent’anni dopo la sua scomparsa. le ieratiche atmosfere di Chia, ecco quelle barocche di Bomarzo, cui si giunge con una breve deviazione dalla statale (ma vi si accede direttamente anche dal casello di Attigliano dell’Autosole). La parte vecchia della splendida cittadina è tutta raccolta intorno alla mole maestosa del Palazzo Orsini che domina la sottostante vallata dove, tra il 1552 e il 1580, Vicino Orsini fece realizzare il Sacro Bosco o Parco dei Mostri. E’ uno dei luoghi più singolari d’Italia, con numerosi riferimenti esoterici e alchemici: si tratta di un vasto insieme di sculture, perlopiù intagliate nei massi a raffigurare volti e creature grottesche, oggetti emblematici o architetture simboliche difficili da interpretare oggi, ma che un tempo ebbero certo un chiaro significato iniziatico per chi le osservava.
Ormai quasi alle porte di Viterbo, altre due tappe si raggiungono dallo stesso incrocio. A destra della 204, Vitorchiano è uno dei paesi della zona che ha conservato intatto il tessuto urbano medioevale. Oggi, però, quello che più colpisce proprio all’ingresso del borgo, in Piazza Umberto I, è la sagoma di un moai, una di quelle enigmatiche statue che popolano l’isola di Pasqua: non si tratta di una copia, bensì dell’unico esemplare autentico al di fuori dell’isola cilena, scolpito da undici artisti polinesiani (tali sarebbero infatti le origini della popolazione pasquana) invitati in paese per un gemellaggio che ha avuto gli onori della diretta televisiva.
Prendendo invece dalla statale il bivio a sinistra, il nostro itinerario inizia a salire: ci dirigiamo verso il Monte Cimino (1.053 m), il più alto vulcano spento del Lazio. Alle sue pendici, affacciandosi verso Bagnaia, l’astronomo e appassionato divulgatore Paolo Candy ha fondato un osservatorio astronomico dotato di un telescopio del diametro di mezzo metro e del peso di 1.500 chili, in grado di mostrare all’attonito visitatore qualunque meraviglia del cielo. La vetta tondeggiante del monte è ricoperta da una spettacolare faggeta plurisecolare, dove si trova un’altra curiosità: il Sasso Menicante o naticarello, un enorme macigno lavico del peso di circa 250 tonnellate, rimasto in bilico su una roccia e che può esser fatto oscillare grazie a una trave usata come leva. L’area è facilmente raggiungibile passando per Soriano al Cimino (ma la strada che percorre il paese non è larghissima e i camper più grandi potrebbero avere qualche difficoltà anche nell’attraversare la porta alla fine dell’abitato). Una piacevole alternativa consiste nel deviare per Viterbo, raggiungendo il bivio per l’ampio piazzale sommitale del monte – ideale per la sosta – mediante la strada diretta a Canepina.
Soriano è uno dei centri più grandi della zona: la massa compatta delle case ricopre interamente un colle ai piedi del vulcano. A sovrastare il tutto, la mole di un altro Castello Orsini costituito da una torre fatta edificare da papa Nicolò III, da alcune strutture minori e circondato da un antemurale merlato. Il dedalo di vicoli e stradine che percorrono il tessuto urbano è un’ottima occasione per un ultimo salto nel passato prima di dirigerci nuovamente verso l’autostrada, magari passando per Vasanello: il piccolo borgo con il castello del XVI secolo e le belle chiese romaniche di Santa Maria Assunta e del Salvatore addolcirà l’impatto del rientro. Quattro passeggiate tra storia e natura
Torre di Chia Sulla statale 204, a poca distanza dal casello di Bomarzo del raccordo Orte-Viterbo, si noterà uno slargo da cui si stacca una sterrata chiusa da una sbarra. Qui si parcheggia (c’è posto per un camper) e si prosegue a piedi per una decina di minuti in mezzo a un bosco fino a raggiungere i ruderi del castello e l’altissima torre, osservabile solo dall’esterno poiché di proprietà privata e non visitabile. Svoltando invece a destra sul sentierino che si biforca dalla sterrata poco prima di arrivare alla torre, si raggiunge un’area picnic. Alle spalle di questa, uno sperone di roccia permette di dare un’occhiata al torrente che nel Vangelo di Pasolini fu il fiume Giordano. Per raggiungere il fosso (circa 40 minuti tra andata e ritorno), dove sorgono anche i ruderi di un imponente mulino, basta proseguire lungo il sentierino sino a un ampio spiazzo dominato dalla strada asfaltata e poco dopo voltare a sinistra per scendere, grazie ad antichi gradini scavati nella roccia, fino al corso d’acqua. Il sito è davvero bellissimo e suggestivo, ma purtroppo abbandonato a una colpevole incuria.
Monte Casoli Da Bomarzo, superato il paese, si seguono le indicazioni per il Parco dei Mostri e si continua finché la strada diviene una buona sterrata (chi viaggia con il v.r. farà bene a parcheggiare non lontano dal cancello d’ingresso, dove c’è uno slargo, o nell’area di sosta annessa al parco per poi proseguire a piedi o in bici). A circa un chilometro dal parco s’incontra un bivio a T, dove si svolta a sinistra. Dopo circa 400 metri, in corrispondenza di una netta curva a destra, si stacca a sinistra una stradina che, tralasciando i vari bivi lungo di essa, ci condurrà al bosco del Serraglio, a cui vale la pena dare un’occhiata prima di andare oltre. A una biforcazione, all’altezza di un piccolo corso d’acqua, si va a destra; il tracciato si restringe, inizia a salire verso sinistra e in circa 15 minuti di percorso tortuoso entra nel bellissimo bosco, trovandosi nei pressi di un grosso masso (alla nostra sinistra) su cui sono scolpite due edicole e un’iscrizione che ci ricorda che qui venne sepolto un bambino. Tenendo il masso sulla sinistra, se si va a destra nel bosco per esili tracce di sentiero, in pochi minuti si arriva a un’ara cubica romana di grandi dimensioni. Altre tracce di antiche frequentazioni sono presenti sul sentiero se si prosegue ancora per un po’, prima di tornare sui nostri passi (circa mezz’ora tra andata e ritorno).
Ripresa la strada, si prosegue tra campi coltivati con bella vista sull’altra parte della valle verso Monte Casoli, le cui pareti mostrano ben evidenti le antiche grotte scavate dall’uomo. Il tracciato infine scende, curva a sinistra, lascia a destra un ponticello di legno e poi sale nettamente sino alla graziosa chiesetta di Santa Maria di Casoli. Fin qui, dal Parco dei Mostri sono poco più di 5 chilometri esclusa la deviazione per il bosco del Serraglio. Tenendosi ora sulla sinistra, dalla chiesa si sale sul crinale (non seguire la sterrata che percorre il pianoro verso destra) dove si vedono le prime grotte e una sorta di vallo con i ruderi di un castello: il sentiero vi scende, e poco sotto si trovano la serie più grande di grotte e una sorta di arco che immette in un colombario di epoca romana trasformato in ovile. A questo punto si intercetta facilmente una traccia di sentiero che risale dalla parte opposta del vallo e si tiene sul crinale scoprendo altre cavità, poi entra in una sorta di stupenda tagliata dalle pareti coperte di muschio e con un’edicola sullo sfondo: questo è il punto finale della gita. Andando avanti, si procede in un’amena passeggiata nel bosco sino alla fine del pianoro, rientrando infine per la stessa strada (circa 2 ore tra andata e ritorno). Selva di Malano
Questa interessante escursione ha inizio al chilometro 12+800 della statale 204. Accanto a un casaletto si stacca a destra una sterrata transitabile con relativa facilità anche da un camper: la si segue per 2 chilometri, tralasciando vari bivi, sino a uno slargo sulla destra dove ha inizio una carrareccia che entra nel bosco. Parcheggiato il veicolo, si ignora lo sterrato e si costeggia il bosco sulla sinistra, attraversando un vasto coltivo (c’è una traccia di sentiero) e prendendo un’altra strada parallela alla prima. Si prosegue a sinistra, finché la stradina termina di fronte a un curioso casale. Qui, vicino a un palo telefonico, inizia un piccolo tracciato che in breve diviene un vero sentiero, lungo il quale si rivelano in più punti le tracce di un’antica strada che conduce ai ruderi di San Nicolao. Su un grosso cubo di roccia sorgono i poderosi resti dell’abbazia fortificata, di epoca medioevale; ai piedi della rupe ci sono tratti delle mura di una chiesa e alcune suggestive tombe romane scavate nella roccia.
Si prosegue ancora sullo stradello, sempre molto piacevole, con bei panorami. Ci si tiene sulla destra sino a due casali e, un po’ più avanti, si trova un grosso masso con quattro gradini scolpiti. Poco oltre, all’altezza di una grande roccia incavata, si lascia lo stradello per imboccare sulla destra un sentiero erboso che arriva al cosiddetto Sasso del Predicatore e all’ara cubica romana, testimonianze di un luogo sacro risalente a 2.000 anni fa. Si procede oltre, lungo la traccia che scende sulla sinistra del Sasso e che arriva subito a una sterrata dove si va a sinistra, in salita, sino a sbucare su un’altra sterrata. Svoltando ancora una volta a sinistra, in breve si torna al punto di partenza (circa 2 ore tra andata e ritorno).
Corviano Anche a questa stupenda area archeologica si arriva facilmente dalla 204. Circa un chilometro dopo il bivio per la Selva di Malano, passata la località di Santarello, un segnale indica di svoltare a destra in direzione di Corviano. La strada diviene sterrata ma buona, anche se non molto larga; percorsi circa 2 chilometri, occorre parcheggiare perché bisogna attraversare il guado di un piccolo corso d’acqua (e in effetti, data la brevità di questo tratto, l’ideale sarebbe lasciare il v.r. sulla strada principale e arrivare qui in bici o a piedi). Superato il torrente, seguendo le indicazioni ci si trova su un sentiero attrezzato che compie un anello attorno al pianoro dell’antica città. Conviene prendere il tracciato che s’inoltra a destra, nella macchia: a mo’ di indicazione ci sono radi bolli rossi e paletti, ma il percorso è intuitivo. A un certo punto vedremo in basso una cascata, che raggiungeremo proseguendo di un centinaio di metri sino a perderla di vista e cercando sulla destra un’evidente traccia di sentiero che scende tra grossi massi e raggiunge il torrente; lo si costeggia per poi passare sulla riva opposta grazie a un semplice ponticello di legno, e in breve si è al salto d’acqua e ai ruderi di un antico mulino, in un ambiente straordinario.
Tornati sul percorso principale, si raggiungono i pochi ma interessanti resti di una chiesa medioevale, con una serie di sepolture scavate nella viva roccia. Poco più avanti si può visitare un incredibile insieme di case-grotta affacciate sulla gola: ne vale la pena, per lasciarsi suggestionare dal pensiero che dall’Età del Bronzo sino al XIX secolo queste abitazioni hanno dato ospitalità a contadini, allevatori e passanti. Per giungere di nuovo al punto di partenza conviene proseguire sul sentiero che dapprima ci condurrà ai resti di un castello medioevale edificato nei pressi di possenti mura etrusche, per poi procedere lungamente e piacevolmente nel bosco (il giro completo richiede circa 2 ore).

PleinAir 389 – dicembre 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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