Molisani da mezzo millennio

Tra il limpido mare di Termoli e i fertili colli della provincia di Campobasso si trova un gruppo di suggestivi paesi abitati, fin dal XVI secolo, da popolazioni di origine albanese e croata, che ancora custodiscono la lingua e le tradizioni dell'antica patria balcanica. Siamo andati a visitare queste comunità scoprendone il tenace attaccamento alle proprie radici, ma anche il senso di ospitalità e la voglia di aprirsi a un turismo rispettoso dei luoghi.

Indice dell'itinerario

Nella seconda metà del XV secolo, qualche decennio prima che Cristoforo Colombo raggiungesse il continente americano, gli albanesi arrivarono in Molise al seguito di Giorgio Castriota Skanderbeg. Ferdinando II d’Aragona aveva concesso all’alleato, giunto dall’altra sponda dell’Adriatico, alcuni territori come compenso per l’aiuto ricevuto contro l’esercito angioino: e quale offerta migliore, visto che intanto l’avanzata turca minacciava l’Albania e in Italia meridionale c’era la possibilità di essere impiegati come contadini, pastori, soldati o al servizio dei nobili?
Così ebbe inizio una storia che oggi veste i colori della tradizione, coltivata con passione dai discendenti di quei primi coloni, che via via si sparsero in diverse regioni. A dispetto delle loro differenti origini e della notevole frammentazione territoriale, queste località formano oggi uno spazio culturale unitario – la cosiddetta Arberia – che ha svolto un ruolo di primo piano nella storia dell’intero popolo albanese. La lingua, in particolare, è conservata da numerose piccole comunità distribuite in diverse province, soprattutto in Calabria e in Sicilia: sono circa 100.000 gli arbëreshë in Italia, 8.000 dei quali appunto in Molise. Dei quattro paesi, Campomarino è a breve distanza dalla costa vicino Termoli, sulle basse alture alle sue spalle si trovano Portocannone e Ururi mentre sul versante opposto della valle del Biferno, dove iniziano ad alzarsi le colline, sorge Montecilfone.
A pochi chilometri da quest’ultimo, procedendo verso la valle del Trigno che segna il confine con l’Abruzzo, incontriamo anche l’unica area italiana di lingua croata, che si formò all’inizio del ‘500 per difficoltà economiche nei luoghi di origine ma soprattutto per esigenze di ripopolamento. Le tre località interessate, Acquaviva Collecroce, Montemitro e San Felice del Molise, sono il residuo di una zona linguistica slava che in passato era di certo molto più estesa.

Dall’Adriatico alla valle del Trigno
Un facile itinerario circolare, accessibile sia dalla costa che dall’interno, collega queste due realtà e permette di scoprire una zona fra le meno conosciute del Molise, con tranquilli paesini immersi in un dolce paesaggio agreste che scende verso la costa sabbiosa, bagnata da acque più volte premiate con la Bandiera Blu. Scegliamo di iniziare la nostra visita dal versante settentrionale e dopo una sosta a Termoli, gradevole cittadina marinara con i suoi trabucchi e il castello federiciano, imbocchiamo la statale 483 in direzione di Guglionesi. Meno di 30 chilometri ci separano dal bivio per Montecilfone, in albanese Munxhfuni, che è considerato una sorta di piccola capitale di questa comunità. Quasi alle porte dell’abitato si attraversa il Bosco di Corundoli, antico possedimento dei Cavalieri di Malta nei pressi del quale si trova un’area attrezzata per i camper: qui un tempo sorgeva una fortificazione risalente forse al XIII secolo, che però è andata distrutta, ma è possibile inoltrarsi nel folto a piedi o in mountain bike grazie ad alcuni percorsi escursionistici. Poco più avanti incontriamo le prime insegne bilingui e passeggiando lungo linde stradine e vicoli subito sentiamo parlare arbëreshë. «In un passato non troppo lontano le lingue minori venivano considerate uno svantaggio, non si voleva che venissero parlate a scuola. Ora invece ce ne stiamo riappropriando» assicura Fernanda Pugliese, responsabile degli sportelli linguistici della Regione, che risiede appunto a Montecilfone. Essenziali momenti di aggregazione sono le numerose feste popolari, in cui il folklore del nostro Sud si mescola con le usanze di origine evidentemente albanese. Ci dicono che durante queste manifestazioni anche in pieno giorno vengono sparati fuochi d’artificio… non fosse altro per farsi sentire dal vicino paese di Acquaviva Collecroce, epicentro della piccola comunità croata. Decidiamo così di far rotta verso quest’altra isola di cultura balcanica, visitando più tardi le altre località albanesi.
La strada per raggiungere Kruc? si snoda in un ambiente sempre più verde e boscoso, e non è un caso che da queste parti l’acqua sgorghi abbondante, come ricorda il nome italiano del paese. Le fontane storiche purtroppo sono in restauro e non riusciamo a visitarle, ma ci addentriamo nelle ben conservate viuzze dove le insegne in croato e gli incontri con la gente ci ricordano che siamo in un’altra area linguistica. Una presenza slava ad Acquaviva Collecroce, in effetti, sarebbe documentata già negli ultimi anni del ‘200, ma il vero e proprio popolamento si ebbe due secoli più tardi. Attualmente sono circa 3.000 le persone che parlano la lingua originaria, una variante arcaica del croato stokavo del Molise, ma i contatti con l’altra sponda dell’Adriatico rafforzano quest’esile presenza. «I rapporti con la Croazia sono molto sviluppati, specialmente con alcune municipalità rivierasche dell’antico paese di origine. La lingua qui la parlano anche i bambini e spesso i croati vengono a farci visita, lo stesso ambasciatore è di casa» ci spiega il vicesindaco Michele Neri, mentre ci accompagna a visitare un vicino bosco dove si trova un’area picnic con una fontana ed è in progetto la realizzazione di un’area per i camper. Prima di riprendere la strada vale una visita la parrocchiale barocca, dedicata alla patrona Santa Maria Esther, in cui è custodita una lastra calcarea che reca inciso un quadrato magico con l’intraducibile formula Sator Arepo Tenet Opera Rotas, leggibile in tutte le direzioni. Un’altra piccola curiosità velata di mistero è il simbolo dei Cavalieri di Malta apposto sul manto della Vergine, indicando forse che i monaci guerrieri passarono di qui in uno dei loro viaggi verso la Terrasanta o di ritorno dalla difesa del Santo Sepolcro.
L’itinerario prosegue in collina per una quindicina di chilometri (gli ultimi su una secondaria che richiede qualche cautela ai mezzi molto ingombranti) verso San Felice del Molise, in croato Filic?, una splendida terrazza da cui si gode di un vasto panorama verso i monti dell’Abruzzo da un lato e l’Adriatico dall’altro, con le isole Tremiti e il Gargano ben visibili nelle giornate più limpide. Per un attimo ci sembra di essere in Dalmazia: stradine pavimentate con pietre rustiche, case addossate l’una sull’altra con i balconi pieni di fiori. Nel centro del paese, con il bel campanile, domina la chiesa parrocchiale di Santa Maria di Costantinopoli, risalente al 1200 ma ampliata nel XVI secolo con l’arrivo degli slavi. I croati molisani hanno vissuto piuttosto isolati e proprio grazie a questo sono riusciti a custodire fino ad oggi la propria lingua, anche se il forte calo demografico dei paesi ne ha fortemente intaccato la cultura. Se a San Felice del Molise gli abitanti sono 650, ancora meno sono a Montemitro o Mundimitar, annidato a 500 metri di quota sulla valle del Trigno (per arrivare si torni sulla strada principale in direzione di Acquaviva e poi si prenda per Montefalcone nel Sannio, evitando la tortuosa stradina che passa per il Monte Roccile). Il paese, che ha avviato vari interventi di riqualificazione per riportare a nuova vita il patrimonio urbano originario, ha come protettrice Santa Lucia, oggetto di un culto assai sentito. Un busto della giovane martire, ricoperto da ex voto in pietre preziose e oro, si trova nella chiesa all’interno della cappella circolare.
E’ ora il momento di tornare verso la valle del Biferno, scendendo per una trentina di chilometri in direzione di Civitacampomarano e Lucito su strette stradine che ricalcano in parte un antico tratturo: fra curve e saliscendi la guida non è delle più agevoli, ma il panorama merita la breve fatica. Arriviamo così alla statale 647 Bifernina, che prenderemo in direzione di Termoli svoltando a destra dopo pochi chilometri per Casacalenda. Questo primo bivio, in coincidenza con quello per Lupara, immette su una nuova strada (tuttora non riportata dalle carte) che in alcuni punti ha una pendenza del 10% ma è assai larga e comoda; una seconda via d’accesso dalla vecchia e tortuosa provinciale si trova più avanti, sullo spettacolare viadotto che attraversa il lago artificiale del Liscione. Nel grazioso paese, presso la stazione ferroviaria, si trova la seconda area attrezzata del nostro percorso, in posizione ideale per pernottare in tranquillità prima di continuare verso le tre località arbëreshë del versante meridionale. In alternativa si può proseguire per 13 chilometri fino a Larino, dove c’è una terza area attrezzata e vale senz’altro una sosta il duomo nel centro storico.
Ururi o Ruri è ormai poco lontana dalla Daunia pugliese, in un paesaggio di vaste campagne e oliveti da cartolina. L’olio molisano, del resto, è considerato fin dall’antichità uno dei migliori: oggi la denominazione di origine protetta riconosce le qualità di un prodotto di cui già Catone il Censore, Terenzio e Strabone tessevano le lodi, mentre Plinio il Vecchio lo riteneva primus inter pares .
Ancora una quindicina di chilometri, attraversando San Martino in Pensilis, per giungere a Portocannone, in albanese Portkanuni. Non furono però gli immigrati slavi a fondarla, bensì a ripopolare l’abitato dell’XI secolo che nel 1456 era stato distrutto da un violento terremoto. Il monumento più imponente è il Palazzo Baronale costruito fra il 1735 e il 1742 su Piazza Skanderbeg, al di là della quale si trova il piccolo ma suggestivo centro storico. Vi si accede per una porta sovrastata dalla torre dell’orologio e ci si trova di fronte alla chiesa di San Pietro e Paolo, nel cui interno il battistero ottagonale è ricavato da un tronco di quercia intagliato da artigiani albanesi che lo avrebbero portato con loro dal paese natale nel 1500 guidati, secondo la leggenda, dalla Vergine di Costantinopoli. Colorati murales a tema folklorico abbelliscono da qualche anno le case del borgo, e lo stesso accade nell’ormai vicina Campomarino o Këmarini che raggiungiamo dopo aver percorso stradette solitarie tra campi di grano e patate. Questa terra si trova posta in pianura e in luogo vistoso e aperto che soddisfa l’occhio scriveva nel 1744 lo studioso Giovanni Tria, ed è ancora così. A ridosso della bella spiaggia è sorta Campomarino Lido, una delle principali mete balneari della pur breve costa molisana, con oltre 100.000 presenze nel periodo estivo. Il paese dista invece un paio di chilometri dal litorale e conserva la chiesa di Santa Maria a Mare, con le sue cuspidi romanico-gotiche e la cripta con antichi capitelli e affreschi. Lungo le strade e sulle case, i dipinti en plein air della pittrice Liliana Corfiati raccontano la storia e la vita degli arbëreshë ispirandosi al mito e alla storia: particolarmente significativo quello che fa risalire le origini di Campomarino all’eroe omerico Diomede il quale, di ritorno dalla guerra di Troia, avrebbe sposato la figlia del re Dauno e fondato il villaggio. Un ottimo auspicio per questa terra che, come l’altra sponda dell’Adriatico, ancora conserva il profumo antico e sincero del mare e degli olivi.

PleinAir 434 – settembre 2008

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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