Miracolo sull'Isar

A caccia di storia e di monumenti nel centro di Monaco.

Indice dell'itinerario

Italia e Germania hanno vissuto per secoli la stessa storia di divisione in numerosi stati autonomi, dove i sovrani impegnavano le casse pubbliche in una gara di prestigio su chi avesse la capitale più ricca e funzionale. Il caso della Baviera fu di quelli fortunati perché la regione tedesca ebbe una dinastia di ottimi duchi, i Wittelsbach, che la governarono per ben 738 anni e furono promossi re nel 1806 con Maximilian Josef; in questo lungo lasso di tempo, disponendo dei mezzi adeguati, l’obiettivo di creare la più bella città della Germania venne perseguito con costanza e diede risultati invidiabili, anche grazie ad accorte scelte politiche.
Generose di acqua, foreste e di campagna fertile, quando s’impose la rivoluzione industriale la Baviera conobbe un forte sviluppo in aggiunta alla tradizione agricola. I regnanti presero parte alle guerre della nazione germanica a cui non potevano sottrarsi, ma preferirono spendere le ricchezze accumulate in opere d’arte e di architettura piuttosto che in armi. La casata chiamò i migliori specialisti, sottolineando i motivi di rappresentanza: alla fine la residenza reale contava 6 ettari di superficie e centinaia di ambienti al servizio delle sempre più ampie esigenze della corte, del personale e degli spazi museali. Dopo la sconfitta nella Prima Guerra Mondiale l’impero tedesco divenne repubblica e il territorio bavarese ne entrò a far parte con l’attributo di stato libero: Monaco, ormai arrivata a una memorabile opulenza, ne rimase la capitale.

Nascita di una dinastia
I Wittelsbach erano saliti al potere con Ludwig I quando l’arte occidentale vedeva il passaggio dal romanico al gotico. A quell’epoca le costruzioni civili di maggior rilevanza furono la vecchia corte Alter Hof provvista di un originale portale d’ingresso del XIII secolo, le mura (il cui giro è ben visibile nella pianta delle grandi strade su cui sono rimaste le porte) e l’Altes Rathaus, il primo municipio ricostruito nel 1470 e ancora in tempi recenti. Le chiese romaniche, dal canto loro, vennero rimaneggiate e ampliate: Sankt Peter, fondata nel XII secolo e dotata nel ‘300 di una torre alta 96 metri, la duecentesca Augustinerkirche e l’imponente Frauenkirche, riedificata in stile gotico nel 1468, tutta in mattoni e con le due torri ottagonali che toccano i 99 metri.
Alla fine del ‘400 il palazzetto della corte, a cui era stata aggiunta una graziosa torricella a sporto, divenne insufficiente e si costruì la nuova fortezza: ma durò poco, perché nel 1506 i Wittelsbach riunirono sotto il loro dominio l’intera Baviera e, grazie alle nuove risorse, cominciarono a pensare in grande. La loro affermazione comportò un senso di potenza e di sicurezza che ben si sposava con lo spirito bavarese conservatore, fedele alla chiesa e alla dinastia in un rapporto di fiducia e affetto verso i loro duchi (gratificati di appellativi come il Saggio, il Costante, il Magnanimo, il Pio). Non serviva dunque un’architettura di impronta bellica ma una reggia, che si sarebbe ingrandita via via negli spazi liberi a nord andando a costituire un insieme di palazzi dove il potere aveva i suoi uffici. Nacque così la Residenz, che nella sua stessa articolazione si rivela come una sorta di centro direzionale ante litteram, tanto che nemmeno un giardino la separa dagli altri edifici nobili costruiti più tardi sulla stessa strada del centro. Per raffigurare l’unione e la fedeltà di dinastia e popolo nella religione, la facciata principale voluta nel 1599 da Alberto V in un monumentale e pesante stile rinascimentale fu decorata da un nicchione contenente una grande statua della Vergine, patrona della Baviera. Fatti pochi passi, all’ingresso del Brunnenhof, c’è la statua bronzea del leone, l’altro simbolo bavarese che viene toccato dai passanti come portafortuna. E’ meritorio che la costruzione della Residenz iniziasse con la biblioteca, ponendo cioè lo studio e la scienza alla base del progresso della nazione; subito dopo venne realizzato il primo museo a nord delle Alpi, perché Alberto V era stato preso da quella frenesia del collezionismo che avrebbe fatto di Monaco una vera città d’arte.
Il tardo gotico era stato usato nel 1520 per l’arsenale (oggi sede del museo storico della città), mentre il miglior esempio del Rinascimento è il cortile del Münzhof, la tesoreria che si annuncia con la grande scritta dorata “Moneta Regia”. Nello stesso stile Sankt Michael, dall’originale facciata con enormi finestroni e una parata di santi nelle nicchie: è la grande chiesa dei Gesuiti con attiguo collegio, che affermava l’importanza del nuovo ordine. Durante il suo lungo regno Massimiliano I portò avanti i lavori della Residenz e nel 1615 realizzò anche un piacevole spazio verde di uguale grandezza, l’Hofgarten, ovvero il giardino di corte.

Una reggia per Enrichetta
Il barocco arrivò proprio quando la Chiesa della Controriforma doveva mostrare, anche nell’esteriorità, un cambiamento interiore. Lo stile è ricco, esuberante, sfarzoso, tutto rotondità come le pance dei bavaresi nei loro vivaci costumi e uniformi impennacchiate: un popolo gioviale di buongustai che rimangono tali anche quando il barocco evolve, con leggerezza del tratto, nella completa occupazione dello spazio ottenuta con la teatrale ed esibizionistica decorazione rococò. La moda estetica diventa un ordine, barockisieren.
Al contrario di Massimiliano I, il duca Ferdinando Maria era di carattere più introverso; in compenso si era preso una moglie che si rivelò piuttosto energica, Enrichetta di Savoia (nipote di Maria de’ Medici), la quale fece venire dal Piemonte gli architetti Barelli e Zuccalli. Poiché in Francia Luigi XIV aveva fatto costruire Versailles con il suo immenso parco ben al di fuori di Parigi ormai affollata dal popolino, Enrichetta per non essere da meno convinse il marito ad allargare i cordoni della borsa. Ebbe così la sua reggia, il Nymphenburg, pure questa situata a 5 chilometri dal centro, e per il gusto del primato ottenne la facciata più larga del mondo economizzando sull’altezza complessiva dell’edificio. L’abbondanza di acque dell’Isar permise di ricavarne il Nymphenburger Kanal e creare di fronte al palazzo un lago che ne esaltasse la grandezza, più altri canali, fontane e laghetti nel boscoso e geometrico parco di 200 ettari sul retro, con giardini alla francese.Nel suo piccolo, intanto, anche la nobiltà costruiva numerosi palazzi di cui una bella serie è in Kardinal Faulhaberstrasse. Quanto ai sudditi, non criticavano quelle enormi imprese immobiliari perché ne derivava lavoro per tanti: ma forse per scrupoli di coscienza, avendo speso troppo in quell’elitario luogo di delizie che era il Nymphenburg, Enrichetta si diede molto da fare perché anche l’ordine dei Teatini avesse la sua grande chiesa, intitolata a San Gaetano ma nota come Theatinerkirche, opera di italiani più tardi modificata dal Cuvilliés.
Un altro nostro connazionale attivo a Monaco è Giovanni Antonio Viscardi che fu autore nel 1710 della Burgersaal, oratorio mariano su due piani, introdotto da una facciata ben squadrata da lesene con qualche fantasia nel disegno delle finestre. Nel 1711 costruì inoltre la Dreifaltigkeitskirche, la chiesa della Trinità con uno svolazzante prospetto convesso tutto curve e raccordi.
Siamo ormai nel XVIII secolo, l’età del rococò, di cui grande interprete fu François Cuvilliés: giunto da Parigi col figlio, presso la corte bavarese trovò il suo Eldorado facendo grande uso di dorature, specchi, stucchi, grottesche nelle sue mirabili e fantasmagoriche decorazioni di interni, teatri (quello della Residenz è noto con il suo nome), saloni delle feste, gallerie. Anche le antiche chiese dai severi interni gotici furono barocchizzate nel segno del cattolicesimo trionfante.
Gli altri grandi protagonisti dell’evoluzione estetica della città furono gli Asam: il padre Hans Georg, architetto, e i figli Cosmas Damian, pittore, ed Egid Quirin, scultore e stuccatore. Questi realizzò col fratello la chiesa di San Giovanni Nepomuceno, conosciuta come Asamkirche: la facciata è lineare e fastosa al tempo stesso, con portone e grandiose finestrature separate da un gioco plastico di timpani in marmi molto colorati, mentre l’interno è dominato dalla luce che scende dal coro.
Nella seconda metà del ‘700 andavano diffondendosi le idee dell’Illuminismo, e i Wittelsbach furono all’avanguardia dando inizio, nel parco del Nymphenburg, all’attività della celebre e omonima fabbrica di porcellane. Intanto, oltre Atlantico, nascevano la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e una repubblica democratica, gli Stati Uniti d’America, mentre in Francia la Rivoluzione esplodeva rabbiosa e, inneggiando alla repubblica, ghigliottinava perfino il re e la regina. I Wittelsbach si sentivano amati dal popolo, ma misero le mani avanti e si mostrarono munifici: la loro vasta tenuta di 6 chilometri lungo l’Isar, a valle della città, divenne l’Englischer Garten, il primo giardino pubblico della Germania, abbellito da corsi d’acqua, cascatelle, laghetti e fantasiose costruzioni, che è ancora oggi la gloria e il gioiello verde di Monaco.

Verso la modernità
Dai nuovi equilibri politici che seguirono alla vicenda napoleonica la dinastia uscì senza danno, anzi vide accresciuto il proprio prestigio: i duchi divennero re e si scatenarono nell’ulteriore abbellimento monumentale di Monaco, ispirandosi ad Atene, Roma, Firenze. La città prese dunque ad espandersi grandiosa verso nord: partendo da Odeon Platz si tracciarono larghe strade rettilinee dalle ben studiate prospettive, scandite da ampie piazze con piedistalli per statue dei Wittelsbach ritratti a cavallo, in piedi, seduti.
Leo von Klenze fu il maggior architetto e urbanista che interpretò i sogni di grandezza dei felici regnanti. La Briennerstrasse, la prima delle grandi arterie aperta nel 1808, si innesta nella Königs-Platz con una perfetta imitazione dei Propilei ateniesi, mentre i grandi edifici ai lati sfoggiano le facciate dei templi greci. La Ludwigstrasse termina invece con il Siegestor, l’arco della vittoria, imitazione del romano Arco di Costantino.
Anche la Residenz è oggetto di vari interventi, come la fastosa decorazione dipinta sull’intonaco con la tecnica del trompe-l’œil nel cortile del Kaiserhof. La facciata sud ripete Palazzo Pitti, e non è certo l’unica opera di ispirazione fiorentina: il dirimpettaio palazzo delle Poste si abbellisce di un portico a imitazione della Piazza degli Innocenti, e tra la Residenz e la Theatinerkirche c’è giusto lo spazio per dedicare ai condottieri una perfetta copia della Loggia dei Lanzi. Altrettanto sorprendente la Lenbachhaus, che ricalca fedelmente lo stile delle ville toscane. Non c’è da meravigliarsi, è l’epoca dell’Historismus, della libertà d’imitazione, come confermano le grandi colonne corinzie e l’enorme doppio frontone del National Theater, ovvero la Bayerische Staatsoper del 1811, dove avrebbe poi dominato Richard Wagner. Il quartiere si completa con prestigiosa edilizia privata, palazzi per uffici e due grandi chiese, Sankt Bonifaz e Sankt Ludwig, dal cui campanile si ha il miglior panorama sull’antico centro storico.
Ma il grande sviluppo pubblico è tutto culturale: teatri, sedi espositive, università, biblioteche e soprattutto musei, dove dare spazio alle collezioni che i Wittelsbach continuarono ad ingrandire. Il XIX secolo è anche il periodo in cui si riscopre l’identità dei popoli, come dimostra l’enorme Bayerische National Museum, sulla Prinzregentstrasse, che nel 1890 apre l’espansione verso est superando l’Isar. Nel 1867 si realizza il nuovo municipio in stile neogotico nella cui torre viene inserito il Glockenspiel, il celebre carillon le cui grandi figure in rame smaltato ballano e duellano ogni giorno da metà marzo a ottobre.
Nel 1871, quando Berlino venne nominata capitale del riunificato Reich, il venticinquenne re Ludwig I di Baviera iniziò a contare sempre meno, finendo col perdere lucidità, sostanze e perfino il trono (fu deposto per incapacità) dietro alle manie di grandezza scenica di Wagner, il compositore da lui prediletto. L’irresistibile espansione della città con le industrie e la rete di trasporti fu portata avanti dai funzionari e dalla borghesia, ma intanto la politica nazionale segnava la disgrazia di Monaco insieme alla Germania intera: ed ecco succedersi la Prima Guerra Mondiale, la difficile esperienza della Repubblica di Weimar, la profonda crisi economica e il demoniaco regime di Adolf Hitler, al cui nazionalismo malvagio e razzista i bavaresi non erano preparati. La Seconda Guerra Mondiale scatenata e persa dal nazismo distrusse anche Monaco, ma nemmeno trent’anni dopo la città era di nuovo così forte, ricca e perfettamente funzionante da poter ospitare le Olimpiadi nel 1972.
Se oggi si sale sull’Alte Peter, il campanile della parrocchiale di San Pietro, si vede una metropoli che continua a crescere, a ristrutturare, a ricostruire, a modernizzarsi. C’è molta edilizia postbellica e anche molti spazi verdi, non solo lungo l’Isar, con parchi e giardini frequentati dagli scoiattoli e dai picchi a poche decine di metri dalle grandi arterie urbane. In questa ricca e attiva Germania del sud, dove il rigore della precisione tedesca si stempera nella bonaria cordialità della gente, ieri come oggi Monaco è il miracolo bavarese.

PleinAir 422 – settembre 2007

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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