Miracoli di paglia

Un immenso obelisco votivo di steli di grano intrecciati, un rito contadino di antica origine e di grandissima suggestione, un'intera comunità unita nel preparare e nel vivere la festa: così a Mirabella Eclano si celebra la fine della stagione del raccolto.

Indice dell'itinerario

Quella dell’impagliatura è un’arte antica e laboriosa che si tramanda di padre in figlio, generazione dopo generazione. Lo sa bene Giotto Faugno di Mirabella Eclano, grazioso paesetto in provincia di Avellino, che intreccia paglia da più di quarant’anni e ha trasmesso questa passione anche ai figli Luigi e Franco, al nipote Giotto junior e a un gruppo di giovani mirabellani che ogni anno riparano le parti danneggiate dell’altissimo obelisco, il carro allegorico che da oltre un secolo sfila in occasione della Tirata.
Le decorazioni della monumentale costruzione, fatta interamente a mano senza l’ausilio di alcuna tecnologia, sono formate solo da steli di grano e sorrette da una robusta intelaiatura di legno e ferro: un’opera di maestosità davvero unica, una sorta di cattedrale barocca alta 25 metri con angeli, cherubini, capitelli e fiori, a sette piani o registri che si restringono sempre più in altezza fino alla guglia sommitale, che sorregge l’immagine dell’Addolorata.
Tra i segreti di un buon intreccio, fondamentale è la materia prima: non a caso il grano impiegato è quello tenero perché il fusto, essendo vuoto, si lavora con più facilità; la mietitura, inoltre, avviene a mano onde evitare che le macchine agricole lo distruggano. Gli steli, e più precisamente la parte dalla spiga al primo nodo, vanno ammorbiditi in acqua per una ventina di minuti e poi selezionati in base al diametro: esistono infatti sette tipi diversi di intreccio, ciascuno dei quali esige fusti di grandezza differente. La struttura portante è invece costituita da 27 travi che formano i registri dell’obelisco, la cui base è alta 6 metri con 20 metri quadrati di superficie e 76 elementi, mentre il piano più alto – dove è collocata l’immagine della Vergine – è alto un metro e mezzo e conta cinque pannelli.
Ovviamente il carro non viene costruito ex novo ogni anno: ci vorrebbero un centinaio di uomini armati di pazienza infinita, ma soprattutto in grado di lavorare per giorni, a ciclo continuo e a velocità sostenuta, ben 60 chilometri di steli. Lo si ritocca perciò solo nelle parti danneggiate dal tempo e dalle forti sollecitazioni alle quali è sottoposto. Durante l’anno, smontato pezzo per pezzo onde preservarne la fragile struttura, è esposto al pubblico presso la sede dell’Associazione Amici del Carro, in Via delle Rinascite, al sicuro dai nemici peggiori della paglia, ovvero il sole e la pioggia. Solamente verso la fine di agosto, due o tre settimane prima della Tirata, viene montato da una squadra di ragazzi nel luogo stesso di partenza, in contrada Sant’Angelo: a lavoro finito sembra quasi di trovarsi di fronte a un marchingegno bellico che, allo stesso tempo, è un pacifico simbolo dello spirito di indipendenza e di collaborazione dei mirabellani.
Quando arriva il gran giorno, il terzo sabato di settembre, il carro trainato da possenti coppie di buoi ci appare dalla cima del paese in tutta la sua imponenza al punto che, come qualcuno ha scritto, “si finisce col credere nei miracoli”. Ma ci si chiede anche quale altro miracolo possa impedire all’obelisco di crollare, visto che è sorretto da un gioco di 38 funi di canapa lunghe 50 metri, sapientemente tirate da gruppi di mirabellani. La torre dondola, ondeggia pericolosamente su case e persone lungo la ripida discesa, mentre i giganteschi buoi bianchi sbavano per la fatica e il gran caldo. Si tratta di animali – appartenenti a contadini locali o concessi in prestito da altre regioni, ad esempio la Calabria o l’Emilia Romagna – allenati dal lavoro nei campi portando gioghi e trainando l’aratro: se non fossero così abituati sarebbe impossibile utilizzarli (è pur vero che da anni gli animalisti combattono affinché venga abolita questa inutile e crudele sofferenza, ma la lenta andatura e le continue soste rendono la fatica più tollerabile). Mentre il carro scende lungo la contrada, bande di giovani si dimenano tra le funi gridando e agitandosi come indemoniati: è una delle tante usanze di questa manifestazione forse ispirata ai riti antichi della mietitura e alle celebrazioni in onore della dea Cerere, alla cui generosità si ascriveva l’abbondanza del raccolto. Più recente, dal 1600 circa, è invece l’offerta di grano portato alle chiese del paese a bordo di carri agricoli. Ciò che appare comunque evidente nella Tirata di Mirabella Eclano è la coesione di un’intera comunità, che si accalca e si accalora intorno ai simboli del lavoro quotidiano e delle forze superiori che lo proteggono e lo rendono fruttuoso.
La parte più impegnativa è proprio la ripida discesa da una brulla collina nel cuore del paese, ai cui bordi si ergono le abitazioni. Qui persino i buoi si mostrano titubanti nel vedere all’improvviso la forte pendenza del terreno, mentre si percepisce la tensione di chi manovra le funi: ma il carro, in una calma quasi surreale, procede barcollando tra ali di folla e sotto lo sguardo dei tanti che si godono lo spettacolo dalle finestre, dai terrazzi e anche dai tetti delle case. Alla fine il monumentale obelisco, circondato dalla gente in festa, percorre il centro del paese – qui l’abilità sta nell’evitare pali, sporgenze e balconate – sino a raggiungere Largo Borgo dove si fermerà per quattro giorni, sorvegliato giorno e notte perché anche una minima scintilla, come un mozzicone di sigaretta, potrebbe scatenare il più gigantesco e incontrollabile dei falò.
Il giorno dopo, domenica, si tiene una seconda processione: nel tardo pomeriggio il corteo parte della chiesa della Santissima Addolorata e avanza lento, con molte soste, trasportando l’immagine della Madonna. Il fragore e i colori dei fuochi d’artificio chiudono la celebrazione: di lì a qualche giorno il carro verrà smontato e riportato per un anno intero in Via delle Rinascite, in attesa di essere ricomposto per dar vita a una nuova, spettacolare Tirata.

PleinAir 386 – settembre 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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