Mesopotamia d'Italia

Ultimo lembo orientale della Pianura Padana, stretta fra l'Adige e il Po, la provincia di Rovigo ha i numeri per imporsi tra le prime destinazioni del turismo nel Veneto. L'abbiamo visitata in camper dall'entroterra al Delta, per un primo assaggio di natura, paesaggi e atmosfere dello "strapaese" caro a Guareschi e al neorealismo.

Indice dell'itinerario

Due grandi fiumi per confine – il Po e l’Adige, con il loro carico di storia – le hanno valso il risonante appellativo di Mesopotamia d’Italia. Ma prima che a una gloriosa e antichissima civiltà, la provincia di Rovigo si associa a tristi vicende contemporanee. Per la gran parte infatti coincide con quel Polesine che cronaca, letteratura e filmografia hanno impresso nella memoria collettiva, non solo italiana, tra i sinonimi di alluvione e sottosviluppo. Se questa immagine ha finora tenuto in disparte i visitatori, oggi fornisce un movente in più nella riscoperta di un’area che conserva preziosi e spesso inediti motivi di interesse. La tecnologia tiene finalmente a bada la furia delle acque e la tenace economia del nord-est pervade le comunità locali che possono mostrare con orgoglio tutti i segni rappresentativi, delle fortune come delle sventure. Lo confermano le iniziative promozionali e l’intensa attività di comunicazione intraprese dagli enti pubblici a sostegno del turismo. Altro buon motivo, questo, per programmare una ricognizione specifica a misura di camper: come abbiamo fatto noi trascorrendo otto giorni nell’entroterra e nel parco regionale del Delta.

L’argine della memoria
Il primo, immancabile approccio è con il Po. Lo accostiamo per un buon tratto a partire dalla grande golena di Bergantino, dopo aver visitato il paese e fatto il pieno di emozioni nel Museo Nazionale della Giostra e dello Spettacolo Popolare. Unica del suo genere in Italia, questa esposizione di documenti, cimeli e curiosità celebra l’esistenza dei tanti spettacolisti, girovaghi, costruttori di luna park e di casemobili che da tre generazioni si concentrano in questo e nei comuni vicini. La strada arginale, angusta ma percorribile nei giorni feriali anche in camper, s’imbocca alle porte dell’abitato e prende a seguire il solenne andirivieni del fiume, che scorre quasi all’altezza dei tetti. Così il parabrezza mette in onda un documentario sul Polesine dei nostri giorni, dove i pioppeti, i campi arati, le piccole pievi isolate rimandano alle pagine di Bacchelli, di Guareschi, di Cibotto, al bianconero del neorealismo, della Settimana Incom, di Don Camillo e Peppone… Finché non ci risvegliano il colore dei borghi rimessi a nuovo, le aiuole, i campanili che svettano sulla pianura come fari.
In pochi chilometri appaiono Castelnuovo Bariano, preceduta dai ruderi di una fornace abbandonata, e Castelmassa, con Piazza Libertà e la settecentesca chiesa madre rivolte verso il fiume, quasi ad abbracciarlo (tant’è, lo ricorda una lapide, proprio questa piazza illustrò la copertina di uno dei primi libri di Giovannino Guareschi). Un’area attrezzata allestita sull’argine invita alla sosta: spento il motore si levano i canti degli uccelli che popolano la riva, mentre lasciano un’eco leggera i ciclisti che sfilano sul nastro d’asfalto, altrimenti utilizzato come pista ciclabile Sinistra Po. Una piacevole passeggiata in paese svela altre preziosità, dai palazzi Conti e Riminaldi al Municipio, al Teatro Cotogni preceduto da un loggiato neoclassico.
Ripresa la strada si è subito a Calto; ma se si vuol visitare il centro e la vicina Villa Roveri (già Fioravanti) occorre lasciare l’argine. Al ritorno s’impone subito un’altra sosta a Co’ dei Mulini, un borghetto di antichi edifici rurali abbandonati. Quindi un campanile pendente alto 72 metri segnala Ficarolo, che reclama attenzione anche per la chiesa di Sant’Antonio a pianta ovale e per il Municipio, ex Villa Schiati Giglioli. Presso l’argine, lo zuccherificio Eridania abbandonato e malconcio è un testo di archeologia industriale. Infine, superate Gaiba e la golena di Bonello, si sfiora la settecentesca Villa Bonfiglioli e si giunge a Stienta, davanti a un approdo galleggiante dove gruppi di anziani si ritrovano a giocare a carte e a bere un goto. Sotto l’argine, ancora una piazza e una chiesa rivolte verso il fiume. E’ il nostro giro di boa: Gaiba ci attende con una tranquilla area attrezzata, a 500 metri dal centro e ad altrettanti dal fiume.

Incontro all’Adige
Lasciato il Po ci dirigiamo a nord verso l’Adige di Badia Polesine, alla confluenza con il canale navigabile Adigetto. Per strade interne si taglia il geometrico paesaggio della pianura, scandito da rogge d’irrigazione, sterrate poderali, ordinati filari di pioppi perennemente soffusi di nebbia. Da alcuni di questi, superata Salara e appena lasciata Sariano, emerge la torretta del cosiddetto Castello, in realtà la Corte Pepoli Spalletti, una residenza di campagna edificata nel ‘500 e ora adibita a club venatorio. Ancora pochi chilometri e si fa tappa a Trecenta per apprezzarne il possente seicentesco Palazzon (altra residenza dei Pepoli Spalletti), il Municipio, il teatro ottocentesco, la parrocchiale di San Giorgio.
Finalmente si entra a Badia Polesine costeggiando a ritroso l’Adigetto, un tempo trafficatissimo, oggi quasi in secca tra due sponde murate unite da ponti rifatti in metallo nel secolo scorso. Dal grande parcheggio alberato di Piazza Marconi si raggiunge a piedi il monumento più insigne della città: la Vangadizza, grande monastero dell’anno Mille e nucleo urbano originario, oggi ridotto a scenografici resti ambientati in un parco pubblico. A testimoniare altri passati splendori, vari palazzi con portici (degli Estensi, Gulinelli, Picinati, Piana e così via) s’impongono lungostrada e nella Piazza Vittorio Emanuele II, dove hanno sede il Comune, la Pro Loco e il Museo Civico. E’ lo stesso Adigetto che ci guida fuoriporta in direzione di Lendinara e che ci accoglie all’arrivo, dopo appena 10 chilometri, mostrando sotto l’argine di destra alcuni spazi di parcheggio dei quali conviene approfittare. Del resto il lungocanale da solo merita più di uno sguardo, e nel centro storico ce n’è di che passeggiare per altre due ore: non per nulla nel ‘700 i meriti artistici e culturali guadagnarono alla città il titolo di Atene del Polesine, fors’anche in rivalsa con la non lontana Sabbioneta fatta costruire ex novo dai Gonzaga, mentre qui dominarono gli Estensi e poi la Serenissima, come ricordano in Piazza Risorgimento i resti del castello quattrocentesco voluto da Alberto d’Este e il Leone di San Marco issato su una colonna come un vessillo. Di certo l’aspetto aulico di Lendinara fu impresso da Venezia con i sontuosi palazzi (come Ca’ Dolfin), le tipiche palazzine e il teatro sul canale, le tante chiese fatte o rifatte in forme classicheggianti di qua e di là dell’Adigetto: l’imponente duomo di Santa Sofia, ad esempio, affiancato da un campanile alto più di 100 metri, o il ricco santuario della Madonna del Pilastrello, originario del ‘500.
Finita la visita, occorre sistemarsi per la notte. Ma non esistono in zona aree attrezzate né campeggi, e la ricerca di un parcheggio accettabile non premia. Suggerisce però la mossa giusta: spostarsi subito di 12 chilometri alla prossima tappa, Fratta Polesine, città natale di numerosi patrioti risorgimentali e di Giacomo Matteotti. Qui l’abbondanza di spazi, un ambiente sereno e una meritata cena in ristorante favoriscono il pernottamento libero proprio di fronte al pezzo forte del luogo, la villa palladiana Badoer tirata a lustro per il 2008, cinquecentesimo anniversario della nascita dell’autore. La villa è contornata da altri storici edifici, da scoprire passo passo impegnando l’intera mattinata: tra questi la contigua dimora dei Grimani accomunata dallo stile e dagli affreschi interni entrambi firmati da Giallo Fiorentino, quella del patriota conte Oroboni, il palazzo Villa dove si riunivano i carbonari, il palazzo Monti, il palazzo Dolfin di origine cinquecentesca, che ora accoglie una mostra sulla carboneria polesana, e anche un antico mulino.
Con la superstrada Transpolesana e la statale 16 in un quarto d’ora si raggiunge Rovigo. Al capoluogo non basta certo dedicare un pomeriggio, ma la visita richiede una certa organizzazione essendo la città ancora priva di un’area attrezzata. Intanto puntiamo sul Museo dei Grandi Fiumi, collocato nel complesso conventuale di San Bartolomeo; se non proprio sotto l’edificio, nei dintorni un posteggio (a orario) si trova, ed è anche a portata di piedi dal centro cittadino. Quanto al museo, assolutamente da non perdere e molto amato dai ragazzi, richiede più di un’ora e, grazie all’eccellente apparato documentario e al dinamico allestimento, collega le fasi evolutive della civiltà europea alle risorse dei corsi d’acqua più grandi. Il Po e l’Adige entrano anche nell’evoluzione del territorio, in particolare nella formazione del Delta come lo conosciamo oggi, giacché il mare, ancora sotto la dominazione di Roma, quasi lambiva la città di Adria da cui prese il nome. L’annotazione porta a un altro complementare e imperdibile museo, appunto quello Archeologico Nazionale di Adria: la visita è rimandata al giorno dopo ma lo spostamento (circa 25 chilometri) è immediato, per usufruire dell’area attrezzata cittadina.

Dal capoluogo al Delta
Le sorprendenti collezioni del museo modificano in un attimo i punti di vista sul paesaggio e sulla storia del Polesine, raccontando dei commerci e degli scambi culturali che avvenivano lungo le antiche sponde della Pianura Padana ora riconducibili all’ideale allineamento delle aree di scavo nell’entroterra, più o meno all’altezza della statale Romea (illuminante in proposito il Centro Turistico Culturale San Basilio, che incontreremo più avanti, nel quale sono esposti i reperti rinvenuti nel comune di Ariano Polesine). Il resto della mattinata spetta alla visita di Adria, piccola Venezia sviluppatasi intorno a un braccio del Canal Bianco: il mercato settimanale la rende più animata del solito occupando Piazza del Duomo, l’intera isola pedonale del centro storico e il lungocanale. Il pomeriggio va invece a un replay nel centro storico di Rovigo, in parte pedonale ma tutto pedalabile a giudicare dalla grande quantità di biciclette e dalla inconsueta, salutare assenza di motorini. Percorrendo Corso del Popolo, trafficato asse portante, il cuore nevralgico della città è annunciato da due torri pendenti, resti di un castello medioevale immersi nel verde di un parco pubblico. A pochi passi tra i vicoli irrompe la ruvida mole del duomo, si oltrepassano porte un tempo fortificate, si scopre una casa-torre del ‘400… Al di là del corso si espongono nobili edifici, come il quattrocentesco palazzo Roverella, la Loggia dei Notai ora Municipio, l’Accademia dei Concordi sede della Pinacoteca Comunale, il dirimpettaio palazzo Roncale. Affacciano perlopiù su Piazza Vittorio Emanuele, che è il salotto buono dei rodigini ma non l’unico: i giovani sembrano preferire l’attigua Piazza Garibaldi, con l’immancabile monumento all’eroe posto davanti a un teatro di fine ‘800. Poco oltre, superata la chiesa di San Francesco, romanico-gotica ma rinnovata due secoli fa, si sbuca in Piazza XX Settembre che in prospettiva è chiusa dal tempio ottagonale della Madonna del Soccorso, più nota come La Rotonda: il prezioso altare ligneo del 1607 e i dipinti dei coevi maestri veneti, che ne rivestono le pareti interne, sono d’avanzo a congedarci soddisfatti.
Si torna ad Adria per la sistemazione notturna, ma questa volta nel poco distante agriturismo e centro ippico Scirocco, sulla strada per Rosolina. Un’ottima cucina tipica e un ambiente d’antan ci cullano fino al mattino quando è in programma il ritorno sul Po, più precisamente sul ramo di Goro. Data la vicinanza all’agriturismo, però, conviene dedicare un prologo a Loreo, altro piacevole centro storico d’impronta veneziana, e nella direzione opposta, sulla provinciale quasi alla periferia di Adria, al Septem Maria Museum (Museo dei Sette Mari) che si rivela utile per la conoscenza delle grandi opere di ingegneria fluviale compiute nel Delta in varie epoche. Proprio di fronte al complesso espositivo, ricavato dalla ex stazione di pompaggio Amolara che ospita anche un ostello, si scavalcano il Canal Bianco e il Po diretti ad Ariano Polesine e da qui a San Basilio, quattro case con un bar-ristorante in aperta campagna (mentre troviamo in stato di abbandono l’area attrezzata). La località vanta una chiesetta romanica, il citato centro culturale e, visibili a un paio di chilometri, le cosiddette dune fossili, relitti delle remote spiagge adriatiche.
Al momento di allontanarci imbocchiamo una seconda volta la strada arginale, che è la via più suggestiva (oltre che la più diretta) per Ca’ Vendramin. Qui un grande complesso di idrovore, nate a vapore intorno al 1900 e poi elettrificate, è stato trasformato nel Museo Regionale della Bonifica, il più rappresentativo e frequentato del Delta, con funzioni anche di centro visite e informazioni del parco. Introdotta da un documentario sulla storica deviazione del fiume a Taglio di Po, compiuta dalla Serenissima all’inizio del ‘600, la visita si conclude nel pomeriggio inoltrato: giusto in tempo per spostarsi nella vicinissima Porto Tolle e, attraverso un nuovo ponte sul Po di Venezia ancora ignorato da molte carte stradali, sistemarsi nell’agricampeggio Ca’ del Delta. Situato a mezza via tra Ca’ Venier e Ca’ Zuliani, si rivela una base strategica – l’unica della zona aperta tutto l’anno – per compiere nel parco le escursioni più ambite dai cicloturisti (vedi approfondimenti a pagina 87). L’incredibile Via delle Valli, che attraversa e scandisce il paesaggio della parte settentrionale del Delta, ci guida dal bivio per l’isola di Albarella fino all’Adige. Pochi chilometri e siamo infine alla nostra ultima tappa, Rosolina Mare, una vera e propria città balneare sviluppatasi dietro lo schermo compiacente di una grande pineta: ma fuori stagione, con gli stabilimenti ormai chiusi e le strade pervase dalla tranquilla atmosfera di un piccolo centro, si ritrova tutto quel senso della natura che meglio non potrebbe concludere il nostro soggiorno.

PleinAir 436 – novembre 2008

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

________________________________________________________

Tutti gli itinerari, i weekend, i diari di viaggio li puoi leggere sulla rivista digitale da smartphone, tablet o PC. Per gli iscritti al PLEINAIRCLUB l’accesso alla rivista digitale è inclusa.

Con l’abbonamento a PleinAir (11 numeri cartacei) ricevi la rivista e gli inserti speciali comodamente a casa e risparmi!

photo gallery

dove sostare

tag itinerario

cerca altri itinerari

Scegli cosa cercare
Viaggi
Sosta
Eventi

condividi l'articolo

Facebook
WhatsApp

nuove idee di viaggio