Meravigliosa valle

La francese Val de Roya, all'estremità orientale del parco del Mercantour, è la via più diretta fra Cuneo e Ventimiglia, ma anche un'eccezionale palestra di escursionismo sulle Alpi Marittime. Ripercorriamo allora le tracce di viandanti, fedeli e pastori che frequentavano questi luoghi sin dalla preistoria e che hanno inciso, nelle pietre scoscese della montagna, centinaia di graffiti dedicati alla vita quotidiana e al rapporto con il sovrannaturale.

Indice dell'itinerario

A sud del Colle di Tenda i confini si sono spostati più volte negli ultimi secoli, e che da queste parti le frontiere fossero importanti lo testimoniano le imponenti sagome delle costruzioni militari sparse sul crinale: il Fort de la Marguerie, il Pernante, il Central e tutte le altre fortezze sabaude sono una meta d’eccezione per una passeggiata a piedi o in bicicletta fra queste montagne, che guardano il Cuneese da un lato e il dipartimento provenzale delle Alpes Maritimes dall’altro.
La Val de Roya, che corre quasi parallela alla linea di divisione tra Francia e Italia, si trova oggi nel territorio dell’Esagono, ma fino al 1947 i primi paesi ai piedi del versante meridionale del valico erano italiani. Tortuosa e pittoresca, scende per 40 chilometri dal valico del Tenda ad Airole, in Liguria, dove percorre un ultimo breve tratto fino al mare nel paesaggio che si allarga verso la costa di Ponente. Le bizzarrie geopolitiche fanno sì che il trenino della linea Cuneo-Ventimiglia, gestito dalle ferrovie di casa nostra, percorra buona parte del suo tragitto su suolo francese. Le incassate pareti rocciose rendono questa strada ferrata un vero spettacolo: per superare le diverse quote vennero infatti costruite ottantuno gallerie tra cui quella dello stesso Colle di Tenda, lunga quasi 9 chilometri, e ne vennero realizzate anche quattro del tipo elicoidale, cioè tunnel che compiono sottoterra un giro di 360 gradi per uscire all’aperto non lontano dal punto d’ingresso nella montagna, ma avendo guadagnato dislivello prezioso. E poiché la Val de Roya si presta in modo eccezionale all’escursionismo, il trenino è un perfetto mezzo di trasporto per spostarsi da un paese all’altro e poi girovagare a piacere fra le innumerevoli proposte escursionistiche della zona.

Immagini dalla preistoria
Da Cuneo la statale 20 per Limone Piemonte si inanella in una serie di tornanti prima di imboccare il traforo di Tenda, che si immette nella D6204 per il paese omonimo. Una sosta permette di farsi un’idea di ciò che la valle riserva all’escursionista: un’emozionante rassegna di graffiti rupestri, i più antichi dei quali risalgono alla preistoria, che sono stati riprodotti con cura ed esposti nelle sale del Musée des Merveilles, dove la morfologia e la storia di tutta l’area sono raccontate nei minimi particolari. Dalle forme del paesaggio alle diverse fasi dell’insediamento umano, dalla genesi di queste antiche opere d’arte e di fede alla vita dei pastori, la visita si svolge tra animazioni, proiezioni e altre soluzioni tecnologiche ben studiate che si alternano alle grandi lastre scure su cui, illuminate dai faretti, le iscrizioni brillano nella penombra. Ma il fascino di queste testimonianze risiede in buona parte negli ambienti selvaggi che le ospitano, e vederle dal vivo con i propri occhi è il miglior premio per chi affronta gli erti sentieri delle Alpi Marittime. E’ dunque il momento di inoltrarsi nel deserto d’alta quota della Vallée des Merveilles, raggiungendo Saint-Dalmas-de-Tende e prendendo la D91 per il Lac des Mesches, dove il mezzo trova accoglienza nel parcheggio in prossimità del bacino artificiale. Poi via, zaino in spalla e si parte.

Eterni dèi
Seguo con attenzione i passi di Alain Lanteri Minet, supervisore del Parc National du Mercantour. Stiamo salendo sulle chappes, le gobbe arrotondate dallo scorrimento di un antico ghiacciaio (il nome deriva nientemeno che dal ligure chiappe) per raggiungere uno dei graffiti più celebri della valle. Le nuvole corrono sempre più scure e veloci sulle rocce aguzze e ai piedi delle pareti dei 2.872 metri del Mont Bégo, e una serie di tuoni rimbomba nella vallata proprio mentre stiamo per fermarci davanti alla figura incisa nella roccia. L’immagine misteriosa del sorcier, lo stregone, spicca sulla pietra giallastra; ma ecco che grosse gocce di pioggia iniziano a bagnare la parete, l’immagine sbiadisce fin quasi a scomparire e noi non possiamo fare altro che affrettarci. La discesa che ci aspetta verso il rifugio è abbastanza lunga e l’acqua, che ormai scroscia senza pietà, rende sempre più scivoloso il sentiero.
Alle pendici del Bégo giunsero per millenni viaggiatori e fedeli, guerrieri e pastori, richiamati fin qui dalla magica fama della Vallée des Merveilles. Le tracce del loro passaggio sono ancora ben visibili: migliaia di incisioni che raffigurano tori, pugnali, villaggi, misteriose divinità. Secondo gli storici, i motivi della scelta di questo territorio come luogo di culto a partire dall’Età del Bronzo sono legati alla violenza delle manifestazioni naturali che si scatenano da queste parti, e a vedere quel che sta succedendo oggi non è facile smentire la convinzione dei nostri progenitori: siamo sullo spartiacque tra il Mar Mediterraneo e le pianure italiane, e a causa dello scontro di masse d’aria di diversa temperatura e umidità provenienti dalla Liguria e dal Piemonte queste cime sono squassate da impressionanti temporali. La potenza della natura aveva convinto i nostri antenati – e forse un po’ anche noi – che proprio qui ci si poteva avvicinare agli dèi.

Escursionisti di ieri e di oggi
Il Refuge des Merveilles, a pochi metri dal lago color grigio ferro che riempie il fondovalle, ci avvolge in un piacevole tepore e offre, come tutte le strutture di questo tipo, enormi tazze di tè caldo, minestra e panini al salame che dovrebbero scacciare da calzettoni e pantaloni bagnati il freddo e l’umidità. Sotto il portico esterno, dove sono stesi ad asciugare indumenti di tutti i tipi, Alain è seduto al tavolino con Pascal, che di mestiere fa il pastore: qui è l’ultimo rimasto, unico erede di una lunga serie di allevatori valligiani che ogni estate salivano con i loro animali fino alle rocce dei misteriosi graffiti. Attorno ad Alain e Pascal si sono accomodati alcuni giovani stagisti, che si occupano della sorveglianza delle incisioni.
Poco alla volta le nuvole si aprono e quando esce il sole si verifica l’immediato e frenetico spostamento di tutti i panni da asciugare, confondendo calze, magliette e pantaloni in un’atmosfera che diventa sempre più allegra con l’aumentare della luce e della temperatura. Alain, intanto, ne approfitta per dare un po’ di spiegazioni. «D’estate, tre volte al giorno, una guida parte da qui per percorrere il sentiero che porta ai graffiti più interessanti, visto che non si può vagabondare da soli in quella che di fatto è una gigantesca area archeologica all’aperto. Tutta la zona è tutelata dal parco nazionale, che cura con molta attenzione la salvaguardia delle iscrizioni. Negli ultimi decenni assai più che nei quaranta secoli precedenti, molti graffiti sono stati rovinati dalla disattenzione o dalla stupidità dei visitatori».
Attorno alla sagoma del rifugio, coperto di pannelli solari, il paesaggio è maestoso e quasi lunare: a parte pochi ciuffi d’erba e qualche macchia di verde che cresce attorno agli specchi d’acqua di questo tratto della valle, i colori del panorama sono tutti minerali. Per raggiungere i luoghi più interessanti bisogna mettere in conto un po’ di fatica: d’altra parte ci si muove in montagna, e quelle rocce che ispiravano le preghiere dei viandanti di un tempo salgono a balzi per molte centinaia di metri. Ma lo sforzo è ripagato ampiamente, sia dall’emozione che suscitano i piccoli segni scolpiti dall’uomo su questi colossi della natura, sia dallo scenario della vallata che diviene più ampio e spettacolare a ogni metro che si guadagna. Sull’altra sponda del Lac Long Supérieur una casetta ospita i ragazzi che lavorano per il parco. Alain mi racconta che si tratta del Refuge des Savants, cioè il rifugio dei sapienti, perché così lo chiamarono i pastori sorpresi dall’arrivo di professori, storici e disegnatori in questa valle inospitale. Dopo le scoperte e i decenni di studi portati avanti a partire dal 1881 dal pastore protestante inglese Clarence Bicknell, morto su queste montagne nel 1918, nel 1923 Piero Barocelli, accademico dell’Università di Torino, fece costruire un bivacco che assunse la forma di rifugio nel 1930, e da allora viene regolarmente usato come base per le campagne di ricerca che ancora oggi si susseguono nella zona.

Lungo la Via Sacra
Secondo gli studiosi, il toponimo di Vallée des Merveilles non si riferisce alle bellezze naturali della zona, bensì a un luogo di prodigi, di sortilegi, di miracoli. Gran parte delle migliaia di graffiti che troviamo su questi monti risale a un’epoca compresa tra il 1800 e il 1500 a.C., ma anche più tardi uomini e donne hanno continuato a salire fin quassù per venerare entità sovrannaturali, lasciando le proprie tracce sulle pietre così come nel patrimonio della cultura orale: miti e leggende che parlano di streghe, di pastori rapiti da demoni, dei sacrifici di animali.
Su suggerimento di Alain, il giorno dopo seguo un itinerario escursionistico abbastanza impegnativo che supera il colle della Baisse de Valmasque per poi scendere nella valle parallela a quella che abbiamo percorso. E’ una radiosa mattinata di sole e qua e là fanno capolino stambecchi e camosci, talvolta accompagnati da cuccioli che camminano malsicuri sulle lunghe zampe. La successiva, lunga discesa nel Vallon de Fontanalbe, anch’esso caratterizzato dalla stessa geologia e da una grande quantità di iscrizioni, segue i resti di una vecchia strada militare del Regno di Sardegna. Raggiunti i piccoli specchi d’acqua dei Lacs Jumeaux ci si addentra nella spaccatura naturale ricca di iscrizioni soprannominata Voie Sacrée, Via Sacra, dove si possono osservare decine e decine di graffiti. Più avanti la doccia scrosciante doccia del Refuge de Fontanalbe, insieme all’inevitabile zuppa serale, ristora i camminatori affaticati dai saliscendi su vette e pietraie. Domani non mi resterà che la piacevole discesa nel bosco fino a Castérino, da dove la D91 ritorna al parcheggio del Lac des Mesches che avevo lasciato due giorni fa. Adesso, prima di ritirarmi per un buon sonno nella camerata, lascio riposare i piedi stanchi di fronte a queste cime che il tramonto quasi estivo tinge di rosa.

testo e foto di Fabrizio Ardito

PleinAir 444 / 445 – Luglio / Agosto 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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