Marca Fermana, borghi fatti ad arte

I piccoli centri che racchiudono preziosi tesori, la dolcezza delle colline immortalate da Giacomo Leopardi, l’accoglienza diffusa verso il turismo itinerante: sono tanti i motivi per un fine settimana en plein air nella Marca Fermana

Indice dell'itinerario

È da Grottazzolina, antico centro di origine picena fra le valli del Tenna e dell’Ete Vivo, che ha inizio il nostro viaggio nella Marca Fermana. Ci si arriva facilmente dall’uscita autostradale lungo la Provinciale 239 Faleriense che collega la Porto Sant’Elpidio ai Monti Sibillini. Un territorio ricco di natura e storia ma anche assai operoso: qui è attivo uno fra i più rinomati distretti al mondo per la produzione di calzature e pellami.

Anche Grottazzolina ha sviluppato un comparto manifatturiero ma non per questo ha trascurato le sue origini storiche, a ragione ritenute un volano per l’economia turistica del territorio. Con un occhio di riguardo al turismo itinerante, al quale l’amministrazione comunale ha riservato il centralissimo piazzale di Via Monaldi.

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Il centro storico di Grottazzolina

Il grazioso borgo si è sviluppato dal X secolo attorno al castello edificato dai monaci dell’Abbazia di Farfa, che nel Medioevo vantavano vastissimi possedimenti in tutta l’Itala Centrale. Il maniero fu quindi dato in feudo nel 1217 dal pontefice Innocenzo  III al conte Azzolino d’Este. Oggi le torri non svettano più  (l’ultima è crollata nel 1964), ma passeggiando fra i vicoletti  del quartiere Castello è facile intuire l’antica disposizione del  fortilizio che ogni anno, ai primi di agosto, fa un balzo indietro  di otto secoli con la rievocazione storica ambientata all’epoca di Azzolino: un evento culturale e turistico che culmina  con la battaglia per la conquista del castello e il battesimo della città.

Oltre al centro medioevale vale la pena visitare la chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista, della seconda metà del Seicento, dove è custodita una pala d’altare del  pittore tardo-barocco Ubaldo Ricci, e la settecentesca chiesa del Santissimo Sacramento e Rosario, con i preziosi affreschi  absidali del pittore Luigi Fontana.

Belmonte Piceno

Ripresa la provinciale 5, dopo circa sette chilometri si arriva a Belmonte Piceno, località che accoglie i turisti  pleinair con un’area camper all’ingresso del paese. In  questo territorio gli archeologici hanno portato alla luce  una necropoli picena con trecento tombe risalenti all’VIII  secolo a.C.: buona parte dei reperti è esposta nelle sale  del museo archeologico di Ancona.

Oltre che dall’antico  popolo italico la storia di Belmonte è stata segnata profondamente  nel Medioevo dal dominio dell’Abbazia di Farfa.  Ne è prova la chiesetta in stile preromanico di Santa Maria in Muris, a circa un chilometro dal centro: fu costruita nel  X secolo dai monaci benedettini farfensi su preesistenti  rovine romane, ed è una delle principali attrazioni di questa località.

L’interno si apre con un criptoportico e prosegue  con un’unica navata fino all’abside e all’altare, sormontato da una pala attribuita ad Antonio Liozzi. Non è cambiato  molto fra le vie di questo grazioso borgo da quando l’economia  ruotava attorno all’agricoltura: proveniva da un’umile  famiglia di contadini anche Silvestro Baglioni, fisiologo di  fama internazionale di fine Ottocento che seppe dare un  notevole impulso ai suoi luoghi di origine.

Montegiorgio

Riprendiamo la provinciale 45 verso valle per riallacciarci  alla Faleriense in direzione Montegiorgio, fra i più  importanti comuni del Fermano. A valle, in frazione Piane  vicino agli impianti sportivi, è stata allestita un’area attrezzata  con carico e scarico, e la zona si presta anche alla sosta  libera. Per arrivare ai 400 metri d’altitudine del paese si  percorre agevolmente per circa 4 chilometri la provinciale  37, che porta direttamente a una delle porte cittadine.

Il  centro storico è racchiuso fra le mura medioevali costruite intorno all’anno Mille dai monaci farfensi, del cui dominio  resta la meravigliosa cappella annessa alla chiesa di San  Francesco nella parte alta del borgo, che offre un balcone verso i Sibillini, il Gran Sasso e l’Adriatico. «Le pareti della  cappella presentano un raro e pregevole esempio marchigiano  di ciclo della Croce» spiega Francesca Travaglini,  guida dell’Archeoclub di Montegiorgio.

Le pitture del primo Quattrocento qui custodite sono attribuite ad Antonio Alberti  da Ferrara, attivo a Perugia e nelle Marche, in particolare a  Urbino e Talamello. Adiacente alla chiesa di San Francesco  si trova l’ex palazzo comunale, oggi sede espositiva; fra le opere d’arte spicca l’imponente statua del Seminatore del montegiorgese Gaetano Orsolini, copia in gesso dell’originale  presentato alla Biennale di Venezia del 1930.

Un paio di viuzze più in basso si raggiunge la chiesetta di  San Giacomo, edificata intorno al XIV secolo con impianto  romanico. L’interno custodisce alcuni affreschi, tra i quali quello  absidale della Crocifissione attribuito alla scuola di Giacomo Bonfini, pittore umbro-marchigiano di fine Quattrocento. Risale invece al 1374 la pala in oro della Madonna dell’Umiltà, opera di Francescuccio Ghissi di Fabriano custodita nella chiesa di Sant’Andrea alla porta sud del paese.

Ritornando verso il centro si supera Piazza Alaleona, con l’omonimo teatro comunale e  il monumento ai Caduti di Orsolini, e si arriva al complesso  monumentale che si affaccia su Piazza Matteotti. Ad attirare  l’attenzione è un arco del Trecento, ciò che rimane del portale della chiesa di San Salvatore (poi dedicata a Sant’Agostino)  che era collegata al convento degli agostiniani. Nei primi  dell’Ottocento l’arco fu inglobato nella parete della chiesina  di Santa Maria degli Angeli, sul cui altare spicca l’affresco di  una Madonna con Bambino risalente al XV secolo.

Massa Fermana

Riprendiamo la provinciale 37 per altri sette chilometri  fino a Massa Fermana, che racchiude un vero tesoro: nella piazzetta della chiesa dei Santi Lorenzo e  Silvestro si può ammirare il polittico  di Carlo Crivelli, dipinto nel 1468 in  oro e tempera e sua prima opera  documentata nelle Marche. Ammiriamo  poi il castello trecentesco  dei Brunforte e l’annessa  Porta Sant’Antonio, monumento  nazionale e scenografico ingresso  al centro storico dove trova collocazione  anche il Museo del Cappello di Paglia.

Rapagnano

Dal paese puntiamo verso il fondovalle per collegarci  alla provinciale 48, che si srotola fra le colline della Marca  Fermana. Superati i borghi di Mogliano, Monte San Pietrangeli  e Francavilla d’Ete puntiamo verso Rapagnano,  ultima tappa del nostro itinerario. Il borgo si è sviluppato  attorno al castello guelfo che nel Medioevo fu protagonista  di frequenti scontri con la vicina e ghibellina Montegiorgio.

Il centro storico, dalla forma perfettamente ellittica, è racchiuso  fra le antiche mura interrotte dai torrioni Vallasciani, RutiliPicchi; vi si accede dalla Porta da Sole a sud (a due passi  dal piazzale di Via Solagna, attrezzato con prese d’acqua e  riservato anche alla sosta camper) e dalla Porta Marina a  nordest.

Il cuore del centro storico è un reticolo di vicoli  che converge nella piazza principale dedicata Siccone Secco,  salito al soglio di Pietro nel 1003 con il nome di papa  Giovanni XVII. Il suo pontificato è ricordato in una lapide  nella chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista, nel punto più alto del borgo, dal cui campanile il panorama  spazia dal Gran Sasso ai Monti della Laga e fino al Monte  Conero.

L’interno ospita l’altare con il reliquiario dove è  venerata la mano destra di San Giovanni Battista, patrono di Rapagnano celebrato il 24 giugno con una suggestiva  festa paesana. Dal 1999, grazie all’impulso del parroco don Luigi Malloni, è stato allestito un museo parrocchiale che  espone dipinti, oggetti d’arte e sculture provenienti dalle  chiese del paese e delle località limitrofe. Fra le opere  più importanti spiccano tre pale d’altare del XVI secolo di Carlo Ridolfi e una Madonna con Bambino del XVII  secolo di Carlo Maratta.

Appena usciti dalla chiesa ci si ritrova a Porta Marina,  accesso urbano che sbuca in Via Leopardi: da qui la vista  spazia sulla vallata da Francavilla d’Ete fino a Monte Urano e  all’Adriatico. Un sentiero scosceso conduce in pochi minuti  alla Fonte della Ripa, costruzione medioevale purtroppo  in stato di abbandono. I reperti archeologici ritrovati in  questa zona, in particolare suppellettili e lucerne a olio  del II secolo, sono importanti testimonianze della fervente  attività che ha caratterizzato il territorio nei secoli. Uno dei  tanti ermi colli che puntellano l’infinito mai monotono della  campagna marchigiana.

Capolavori d’erba

Nel  quadrilatero Montappone, Monte  Vidon Corrado, Falerone e Massa  Fermana si è sviluppato in maniera  fiorente il distretto del cappello  di paglia, prestigiosi copricapi intrecciati  dalle sapienti mani degli  artigiani fermani. I prezzi talvolta  sono da capogiro, superando perfino  i mille euro. Racconta Bruno  Rastelli, orgoglioso delle sue origini  di Massa Fermana, che ha dedicato  la vita alle tradizioni locali e ai vecchi  mestieri: «Il cappello di paglia è  il simbolo di questo territorio. È l’emblema del lavoro artigiano  di eccellente qualità coniugato all’imprenditorialità innata delle  Marche». A tal punto da allestire un museo davvero originale che oggi rappresenta una delle principali attrazioni turistiche  per il paese.

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