Manica con vista

Vacanze a zonzo nel Devon e in Cornovaglia: dove l'erba è verde come quella del vicino, i pub sembrano (e a volte sono) piccoli musei del folklore e i velieri ondeggiano nei porticcioli di pacifici villaggi affacciati sull'Atlantico. Una proposta a misura di abitar viaggiando per scoprire, in un'atmosfera da romanzo, gli insoliti colori della primavera inglese.

Indice dell'itinerario

In certe zone dell’Inghilterra, come avevamo già scoperto nei viaggi precedenti, tutto sembra essere stato lasciato com’era una volta, a cominciare dalle strade. Oggi c’è l’asfalto, ovviamente, ma nessuno si è mai preoccupato di allargare la carreggiata e così, in alcuni tratti, alte siepi che la potatura ha trasformato in veri e propri muri di verde formano una barriera senza soluzione di continuità. Nonostante la preoccupazione di incrociare un altro veicolo, ci si attende da un momento all’altro di veder comparire una carrozza a cavalli o un carro di fieno trainato dai buoi, e a rendere l’impressione ancora più vivida contribuisce tutto il contesto: ponti in pietra dalle spallette a denti di drago per dare rifugio agli eventuali pedoni allorché transita un mezzo, case dai tetti di paglia, antiche taverne con gli arredi originali, fabbriche e miniere dismesse e trasformate in museo, ma anche isolate ciminiere, capannoni e a volte macchinari industriali, la stazioncina da cui parte (sia pure solo per i turisti) un treno a vapore, il porto con i velieri all’ormeggio e infine il mare, un mare senza tempo con le onde che incessantemente si infrangono sulle scogliere guardate a vista dai gabbiani.
Siamo andati a cercare questi ambienti portandoci al seguito due romanzi nel ruolo di compagni di viaggio e, in un certo senso, di guide: Jamaica Inn di Daphne du Maurier e Gita al faro di Virginia Woolf. Se quest’ultimo è ambientato nel nord dell’Inghilterra ma composto nelle atmosfere della Cornovaglia, gli scenari della du Maurier sono sotto i nostri occhi, anche se le brughiere che tanto angosciavano la protagonista della storia bisognerebbe vederle d’inverno, perché la primavera le trasforma in luminose distese fiorite.

Camper e trenini
Sbarcati a Dover, poco più di 400 chilometri quasi tutti su comoda autostrada ci fanno riprendere confidenza con la guida a sinistra fino ad Exeter, ideale punto di partenza dell’itinerario. Visitato il centro storico la cui vista della bella cattedrale è rallegrata, in una solare giornata di tarda primavera, dalla presenza di allegri gitanti nel piazzale erboso antistante, andiamo a cercare di nuovo l’autostrada (la A38 in direzione di Plymouth) che abbandoneremo dopo una quarantina di chilometri al bivio per Buckfastleigh. Qui ci attende un tuffo nel passato con la South Devon Railway, una ferrovia d’epoca che collega la cittadina ai vicini centri di Staverton e Totnes. La stazione, facilmente raggiungibile seguendo la segnaletica, ci si presenta con quattro auto storiche parcheggiate davanti alla facciata, che rendono il quadro ancora più realistico; e già dall’atrio, dopo la biglietteria, si intravvede il sotterraneo che ospita il museo ferroviario, con un sorprendente numero di cimeli accompagnati da tabelle esplicative, mentre tutt’attorno all’edificio numerosi convogli e locomotori sono in attesa di essere a propria volta restaurati e catalogati. Da un cavalcavia pedonale si possono godere le manovre della sbuffante locomotiva che si porta alla testa del treno: e poi via tra pascoli e foreste, vecchie case in lontananza, la stazioncina intermedia di Staverton con primitivi segnali a bandiera… Si giunge al capolinea di Totnes mezz’ora dopo la partenza, e in altrettanto tempo si rientra alla base dove il camper attende nell’ampio parcheggio della stazione.
Dopo la visita della grande abbazia di Buckfast, isolata nella campagna, con un negozio in cui si possono acquistare capi in lana pregiata che qui si producevano regolarmente fino a mezzo secolo fa, andiamo a cercare la stradina in direzione Two Bridges che ci porterà verso nord fra le colline al Dartmoor National Park. I luoghi sono estremamente gradevoli, ma subito ci rendiamo conto che con un v.r. fuori misura avremmo avuto qualche difficoltà: il nostro agile semintegrale se la cava grazie ai suoi 2 metri di larghezza, pur con qualche momento di panico davanti a una rampa del 25%.
Con una breve deviazione raggiungiamo, nel cuore del parco, Widecombe-in-the-Moor, segnalatoci come uno dei più bei villaggi d’Inghilterra: non siamo però i primi ad averlo saputo, difatti le case in pietra sono state trasformate quasi tutte in bed&breakfast. Tornati sui nostri passi superiamo Bel Tor Corner, punto di partenza per escursioni nell’area protetta, mentre un nuovo bivio ci permette di raggiungere Postbridge, località che ospita un centro visitatori con relativo parcheggio: a fianco del ponte su cui transitiamo ce n’è un altro, rudimentale e senza spallette, sopravvissuto fin dal XIII secolo.
Riprendiamo la marcia in direzione di Two Bridges, ai piedi della collina del Great Mis Stor, con un altro ponte medioevale e anche qui la possibilità di addentrarsi a piedi nel parco. Meno di 10 chilometri ci separano da Tavistock, cittadina che nel 1105 ottenne lo status di market town: Enrico I concesse infatti ai monaci locali di organizzare un mercato settimanale ogni venerdì, e dopo novecento anni quest’appuntamento è ancora pienamente rispettato. Ammiriamo un bel palazzo nobiliare con giardino e un museo fluviale; avendo tempo si raggiunge a piedi in un quarto d’ora un mulino ad acqua (chiuso però di venerdì quando tutti, per l’appunto, sono in paese per il mercato) che aziona anche un torchio per la produzione del sidro. Tavistock vanta inoltre un paio di celebri concittadini: nel XVI secolo vi nacquero infatti Francis Drake, il celebre navigatore elisabettiano, e il poeta William Browne.
A Gunnislake è di nuovo un ponte in pietra, che scavalca il Tamar, a segnare il confine tra il Devon e la Cornovaglia. La non lontana Cotehele House è un vero gioiello, una residenza in stile Tudor circondata da un immenso parco che si può raggiungere da Calstock per una stradina decisamente stretta oppure, come abbiamo fatto noi, tornando a Tavistock e prendendo un treno locale dopo aver parcheggiato comodamente il camper nel posteggio della stazione ferroviaria. Scesi alla fermata di Cotehele si raggiunge a piedi il vicino corso d’acqua e si risale nel bosco fino al maestoso complesso, circondato da una distesa di fiori. Dopo la visita all’edificio, in un labirinto di stanze e scale (notevoli gli arredi nonché l’antica cucina, ma è vietatissimo scattare foto) si va a cercare il mulino ad acqua con grande ruota esterna, quindi si torna al fiume dove avremo la possibilità di rifocillarci prima che un piccolo traghetto ci riporti al villaggio e al treno.

Lungo il Canale
Superata la moderna area urbana di Plymouth (nel cui grande porto arrivano i traghetti provenienti da Roscoff, nella Bretagna francese) ritroviamo la A38 che seguiamo fino alla prima uscita per Looe, dove ci riaffacciamo sulla Manica. Il paesino è graziosissimo, disteso com’è su un fiordo con le sue vecchie case pittoresche. Poco lontano, sempre sulla costa, Polperro è un altro bel villaggio con polene sulle facciate, un mulino all’ingresso dell’abitato, il porticciolo nonché un insolito museo dei contrabbandieri e dei pescatori. A Fowey, che raggiungiamo per vie interne, abitò Daphne du Maurier in una casa riconoscibile sull’altra sponda del fiordo, proprio all’attracco del piccolo ferry. Con una certa difficoltà si riesce a rintracciare la residenza di Menabilly, dove la scrittrice ambientò il romanzo Rebecca, la prima moglie e dove, più tardi, si ritirò a vivere; seguendo invece le indicazioni per Menabilly Beach ci si ritrova in una solitaria spiaggia descritta nel libro, che si raggiunge con una suggestiva passeggiata fra i campi dopo aver lasciato il mezzo nello spiazzo in prossimità di una Menabilly Farm.
La prossima tappa, da Fowey direttamente per la A3082, è l’Eden Project, il celebre global garden in cui sono stati minuziosamente ricostruiti, al riparo di immense cupole, l’ambiente mediterraneo e quello della foresta pluviale, così lontani dalle situazioni nordiche. Dal parcheggio scendiamo a piedi verso i giardini e le serre mentre sulla nostra testa, lungo cavi tesi in aria, sfilano i temerari che hanno preferito questa singolare scorciatoia. La visita all’interno delle cupole lungo una passerella a tornanti è piuttosto lunga, ma ci attardiamo ad ammirare la precisione con cui sono state rese le caratteristiche dell’habitat a noi più noto.
Dopo una puntata allo scalo marittimo di Charlestown, caratterizzato dai velieri (è una popolare sede di regate) e da un curioso museo dei naufragi, ci spostiamo decisamente ad ovest andando a cercare, oltrepassata Truro, il bivio per Saint Just in Roseland: assolutamente da non perdere è il cimitero con lapidi antiche e moderne piantate su una discesa come tessere di un domino tra un mare di fiori, sino a raggiungere una chiesetta medioevale. Poco lontano è Saint Mawes, il cui piccolo castello si trova in scenografica posizione quasi allo sbocco di uno dei fiordi che incidono questa costa.
Per proseguire verso l’antistante Falmouth, sull’estuario del Fal, il traghetto King ci risparmia un lungo giro stradale; allo sbarco troviamo subito l’indicazione per i Tresselick Gardens, un immenso tappeto fiorito sotto grandi querce (poco più in là si potrebbe visitare un altro famoso parco, il Trebah). Un viale conduce alla spiaggia e al Pendennis Castle, le cui sale ospitano un museo marittimo e dove si tengono numerosi eventi in costume, in particolare il famoso torneo cavalleresco del Joust a fine agosto.

Dove finisce l’Inghilterra
Siamo ormai prossimi all’estremità occidentale della Cornovaglia, che divide le acque dell’Atlantico tra l’Irlanda e la Francia. La A394 ci porta a Helston e da qui a Gweek, alla testa di un fiordo pieno di barche in secca per la bassa marea; in fondo a un parco si visita il Seal Sanctuary, una sorta di grande acquario in cui vengono curate le foche. Ma una tappa a Helston non si può mancare, come passaggio obbligato verso la prossima meta ma anche per rendere omaggio al Blue Anchor, una delle più antiche taverne d’Inghilterra, che in sei secoli di onorata attività ha conservato i soffitti bassi, l’ambientazione in due piccole stanze collegate dal bancone di mescita e l’ottima birra, ancora prodotta in loco.
Riconquistata la costa a Marazion, per un attimo ci sembra di aver sbagliato tutto. Come diavolo siamo finiti a Mont-Saint-Michel, che è oltre Manica? Ma no, è una sorta di involontaria riproduzione: su un isolotto unito alla terraferma da un istmo che la marea scopre e ricopre fu eretta nel 1047 un’abbazia benedettina, e il complesso è giustappunto chiamato Saint Michael’s Mount.
A Penzance ci rechiamo al Trinity House National Lighthouse Centre, il museo dei fari, ma purtroppo lo troviamo chiuso per lavori di ristrutturazione: non ci resta che fotografare qualche bell’esemplare di lanterna lasciato all’esterno a mo’ di insegna e andare a riposarci sul lungomare, dove sono schierate interessanti taverne. Costeggiando la baia si attraversa Mousehole, con piccole case molto aggraziate e bei pub che sfoggiano insegne tipiche, e si raggiunge Porthcurno, delizioso villaggio con un museo della telegrafia (dal 1872 qui partiva la linea sottomarina nientemeno che per Bombay) e uno splendido teatro scavato nel dirupo che guarda un’insenatura.
Anche in Cornovaglia c’è una Finisterre, qui chiamata Land’s End; e come tutti i luoghi che costituiscono il simbolico capolinea di un viaggio, è qui che dovremmo stappare la bottiglia portata da casa per l’occasione. Purtroppo il fragore delle onde contro le rocce e lo strepito degli uccelli marini non bastavano a chi ha voluto costruire proprio qui una via di mezzo fra un lunapark e un ipermercato. Un percorso obbligato che termina in un parcheggio gratuito, ma con divieto di sosta notturna, conduce all’ingresso pedonale della cittadella: dopo averla attraversata di fretta ignorando attrazioni e vetrine, si raggiunge il belvedere sull’ultimo scoglio occidentale dell’Inghilterra.
Per fortuna eravamo stati avvertiti e non siamo rimasti sorpresi, così la bottiglia l’avevamo stappata la sera prima: se infatti Land’s End è il punto estremo all’ovest, ce n’è anche uno a sud, Lizard Point, con il grande prato che scende dolcemente verso la rupe e un sentiero scalinato che raggiunge gli angoli più suggestivi, mentre il mare si infrange contro gli scogli e nel cielo roteano incessantemente sterne e gabbiani. Il tutto senza che qualcuno abbia pensato di costruirci attorno un assurdo baraccone. Morale: se cercate un luogo simbolico che faccia da capolinea al viaggio in Inghilterra, potete tranquillamente ignorare Land’s End e venire qui a Lizard Point.

Fra coste e brughiere
Smaltiti i rituali del giro di boa, iniziamo il viaggio di ritorno dirigendoci verso Saint Ives, e passando l’agglomerato di Saint Just (da non confondere con il quasi omonimo villaggio precedentemente visitato) ci troviamo in piena archeologia industriale, fra ciminiere e tralicci che sembrano messi lì apposta per essere fotografati sullo sfondo del mare. A partire dalla fine del ‘700 la zona vide l’estrazione di stagno e rame: a Trewellard un’insegna annuncia la Levant Mine, con la sua grande pompa idraulica, e poco più avanti si può visitare la Geevor Tin Mine, una miniera oggi trasformata in museo, dove indossiamo casco e camice di protezione per scendere nelle gallerie di estrazione dello stagno e ai reparti in cui si raffinava il minerale. In superficie, dietro i capannoni, spunta il faro bianco e verde di Pendeen.
Ripresa la via, nei pressi di Morvah seguiamo un’indicazione per Madron; percorsi circa 3 chilometri su una stradina che si snoda nel verde si può ammirare, solitario nella campagna, il grande dolmen di Lanyon Quoit. Nei dintorni ce n’è più d’uno, ma questo è particolarmente suggestivo anche per la storia che lo riguarda: nel 1815 una tempesta fece crollare la millenaria costruzione, che venne eretta nuovamente grazie a una raccolta di denaro degli abitanti della zona.
Tornati sulla litoranea (anche se la strada, qui come altrove, corre a una certa distanza dalle scogliere), nel parcheggio di Zennor incontriamo alcuni ragazzi che vengono a rifocillarsi dopo la scarpinata lungo un tratto del South West Coast Path, interessantissima proposta di trekking che percorre l’intera costa della Cornovaglia. Il paese, formato da case tutte in pietra scura, si distingue per il basso campanile quadrato della chiesa, ornato da cuspidi che lo rendono curiosamente elegante. Sulla via principale una grande ruota idraulica fa da insegna al Wayside Folk Museum, una raccolta di oggetti rurali, a cui facciamo seguire una sosta al Tinner Arms, locanda che può vantarsi di essere stata aperta nel 1271 per ospitare le maestranze che costruirono la chiesa, famosa per la leggenda di una sirena che qualche abitante del posto vi racconterà volentieri.
Si raggiunge quindi Saint Ives, animata cittadina che si specchia a nord e ad est su due ampie spiagge; fu qui che Virginia Woolf trasse l’ispirazione per scrivere Gita al faro. Qualche chilometro più avanti la litoranea rientra, portandoci ancora sulla A30 da cui deviamo sulla A3075 fino a raggiungere Newquay, nota tra i giovani inglesi per la vivace nightlife. Alle porte della cittadina, presso Kestle Mill, rintracciamo una stradina molto stretta che conduce a Trerice, un maniero elisabettiano costruito nel 1573; ma purtroppo arriviamo nel pomeriggio dopo l’orario di chiusura e, non potendo trattenerci, perdiamo la visita al palazzo, ai giardini, al frutteto e alla curiosa collezione di tagliaerba conservata in quella che oggi è proprietà del National Trust.
La comoda bretella A3058 si ricollega alla A30 che seguiamo per una quarantina di chilometri fino a Bolventor, con una graziosa chiesetta e un piccolo cimitero. Siamo nel cuore della Bodmin Moor, la brughiera in cui Daphne du Maurier ambientò Jamaica Inn. Da qui si raggiunge facilmente la taverna che ha ispirato il romanzo: nella stanza di Lady Browning si può ancora vedere la scrivania alla quale sedeva la scrittrice quando, in una fredda notte del 1930, l’inquietante atmosfera del posto le suggerì la sua storia più avvincente. La locanda, pur rimaneggiata e ampliata, è perfettamente riconoscibile per chi ne ricorda la descrizione: “La casa e gli annessi occupavano tre lati del piccolo cortile quadrato, in mezzo al quale c’erano un fazzoletto d’erba e un abbeveratoio. Oltre il cortile c’era la strada, un sottile nastro bianco che si dipanava da una parte all’altra dell’orizzonte, fiancheggiato da brughiere marroni inzuppate dalla pioggia”. Ininfluente che al posto dell’abbeveratoio oggi ci siano ombrelloni e tavoli, che la strada non sia più bianca ma asfaltata e che, in una solare giornata di fine maggio, le brughiere non siano poi così cupe. L’edificio ospita inoltre l’interessante Museum of Smuggling, altro museo del contrabbando che, come recita una vecchia pubblicità, presenta “i classici esempi nelle arti dell’occultamento e dell’evasione”. Chi ha letto il libro potrà infine rintracciare, nella segnaletica dei dintorni, i toponimi dei luoghi in cui si dipana la vicenda. Nelle brughiere di Jamaica Inn il nostro pellegrinaggio sul filo della letteratura inglese potrebbe dirsi concluso. Ma ci manca qualcosa: la vicinanza con Tintagel, cui si arriva continuando sulla A30 in direzione di Launceston e svoltando poi a sinistra sulla A395, rende irresistibile il richiamo di una passeggiata nella bella cittadina, nonché una visita alle rovine del castello tradizionalmente legato alla leggenda di re Artù. Pur sapendo che i ruderi hanno una datazione successiva all’epoca in cui visse il nostro fantastico personaggio, l’escursione sulla scenografica scogliera è un vero piacere: il biglietto d’ingresso, decisamente caro, è ampiamente ripagato dallo straordinario panorama sulla costa che si conquista dall’alto. Ed è con l’odore dell’oceano nei polmoni che torniamo al camper, salutando questa primavera di Cornovaglia.

Testo e foto di Luigi Alberto Pucci e Ivana Ricci

PleinAir 442 – Maggio 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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