Lucean le stelle

Dalla pianura di sapore veneziano alle colline di marca slava, risaliamo in camper le valli del Natisone illuminate da due stelle: quella urbanistica di Palmanova e quella architettonica di Cividale.

Indice dell'itinerario

Un buon itinerario di avvicinamento all’estremità nord-orientale del territorio friulano può decisamente partire dall’uscita di Palmanova dell’autostrada Venezia-Trieste: offre un’immediata occasione di visitare la famosa fortezza veneziana costruita alla fine del Cinquecento, quando la città dei dogi volle proteggersi dall’invadente impero austroungarico che, per creare nuove difficoltà alla Serenissima, astutamente favoriva anche le selvagge scorrerie dei pirati dalmati, gli Uscocchi. E nemmeno la battaglia di Lepanto era bastata a dissolvere il pericolo turco proveniente dalla Bosnia.
Si creò dunque l’occasione perfetta per dare corpo a una di quelle città ideali elaborate a tavolino dagli architetti del Rinascimento, in questo caso il veneziano Giulio Savorgnan. Quando si visita l’impressionante geometria stellare di cortine murarie, fossati, sotterranei, angolati baluardi a prova di artiglierie, ci si rende conto che i nove anni impiegati per la sua realizzazione non furono affatto troppi, anche perché si dovette contrastare l’opposizione al progetto da parte dell’Austria che chiese addirittura un arbitrato a papa Clemente VIII (il quale non esitò a dire che i veneziani in casa propria potevano fare ciò che gli pareva). Duecento anni dopo ci avrebbe messo del suo anche Napoleone che, data l’accresciuta gittata delle bocche da fuoco, estese ulteriormente la cerchia delle fortificazioni esterne.
La curiosa pianta poligonale di Palmanova ricorre a multipli di tre: tante sono le monumentali porte urbane, esagonale è la vasta piazza cuore della città, raccordata mediante strade radiali ai nove lati della cinta e ad altrettanti bastioni. Su di essa si trovano il Palazzo del Provveditore (attualmente sede comunale), il duomo, la loggia dei Mercanti, il Palazzo del Provveditore alle Armi. Non fu mai realizzata, invece, l’alta torre da cui dirigere le operazioni durante gli assedi, che nel progetto originale era prevista al centro della piazza. A pochi passi da questa, il Civico Museo Storico è ricco di oggetti e documenti utili ad approfondire la storia della città. A Porta Cividale (a breve distanza c’è un comodo parcheggio) si trova il Museo Storico Militare, punto di partenza anche per un itinerario guidato tra le fortificazioni, comprese vie sotterranee e altri percorsi di collegamento invisibili agli assedianti. Ma i bastioni e tutto il resto continuano oggi a disegnare un verde cerchio di valli e colline adatti anche ai picnic o alle esplorazioni in bici.
Per andare verso Cividale usciamo da Palmanova per Porta Aquileia, pensando a una piccola esplorazione tra le ville di ascendenza veneta che costellano la campagna. La prima tappa, a Strassoldo, ci offre un delizioso e tranquillo borgo fortificato dove sono protagonisti ben due manieri, quello “di Sopra” e quello “di Sotto”, quest’ultimo con un parco e la chiesa ex castellana di San Nicola (vi convolò a nozze una vecchia conoscenza del nostro Risorgimento, l’austriaco maresciallo Radetzky). Entrambi antichissimi, furono adattati a dimore di campagna restando tra i pochi manieri costantemente abitati sin dall’origine dalla stessa famiglia. In paese, un mulino a ruota fuori servizio compone un romantico quadro con il limpido corso d’acqua. Del medesimo casato incontreremo a Joannis il palazzo Strassoldo Frangipane.
Diverse ville del passato si trovano anche ad Aiello del Friuli, ma qui sorprendono anzitutto le varie e numerose meridiane realizzate sui muri dell’abitato a cura di un locale circolo culturale; in tutto sono una quarantina, insieme a quelle che scopriamo nel piazzale di un’antica fattoria al margine dell’abitato. L’ex azienda agricola, nella cui osteria ci soffermiamo a bere un profumato bicchiere di bianco del Collio, nasconde poi una raccolta di oggetti della civiltà contadina appartenente all’associazione culturale Formentini: di collezioni simili se ne vedono davvero tante, ma ciò che colpisce ad Aiello è la vastità, varietà e completezza degli argomenti. Si tratta infatti di oltre 20.000 reperti (anche giornali, manifesti, editti) provenienti da diciotto vecchie aziende agricole del Friuli Orientale, che coprono un arco di cinque secoli. Lungo il nostro percorso incontreremo altre ville di impronta veneta: a Campolongo la Marcotti-Chiozza (attualmente sede del Comune), a Crauglio l’imponente Stefaneo-Roncato che porta invece tutti i segni della decadenza, mentre a Nogaredo appare in ottimo stato l’aggraziata Villa Maniago, della metà del ‘700.
Qualche chilometro oltre Trivignano, il desiderio di una sosta ci spinge a deviare nel viale a cipressi che porta a Santa Maria in Muris, un sereno angolo di campagna friulana con un umile santuario costruito per desiderio di una trentina di comuni. Visitiamo la semplice chiesa, aperta ma priva di anima viva che possa sciogliere l’arcana iscrizione ‘Edificata nel 1847 tra le ossa e i ruderi di Muris’.
Ripreso l’itinerario ci imbattiamo nella singolare curiosità di Manzano, ovvero la sedia più grande del mondo, con peso di 20 tonnellate e piano di seduta di quasi 10 metri per 10. Questo monumento ai sedentari sottolinea come il paese sia al centro del massimo polo di lavorazione del legno, visto che da qui proviene la metà della produzione mondiale di sedie di ogni tipo.
Poco lontano, tra belle colline e appezzamenti a vigneto, si può visitare l’abbazia di Rosazzo risalente ai tempi in cui gli abati avevano i poteri temporali di un feudatario: ciò portava alla nascita di abbazie fortificate, come la cittadina restò per secoli prima che nel ‘500 gli imperiali la mettessero a ferro e fuoco. Nel caso voleste fermarvi per la notte esiste un parcheggio esterno, ma chiedendo al cortese rettore don Dino Pezzetta si può accedere a un piazzale entro il cancello.
A Premariacco, infine, sostando nei pressi del ponte potremo apprezzare la parte iniziale della bellissima forra del fiume Natisone, che più a monte taglierà pittorescamente la stessa Cividale continuando poi oltre San Quirino. I sentieri d’accesso al greto sono da cercare chiedendo dove possibile.

Cividale dei Longobardi
La denominazione di Friuli deriva da Forum Julii, la città che Giulio Cesare fondò verso il 50 a.C. e che, con la decadenza di Aquileia, sarebbe divenuta sede del governatore della Venetia et Istria. Oggi si chiama Cividale, e il console è ricordato con un monumento in bronzo a un passo dal duomo e dal quattrocentesco palazzo comunale. Per la visita noi ci siamo fermati nel parcheggio di Piazza Caduti della Resistenza, un tempo soglia orientale dell’espansione veneziana (vi ci porta la strada di Firmano); altra buona possibilità di sosta ci è parso, nei pressi della stazione, il piazzale al di là del passaggio a livello. La città ebbe dai Romani mura su tre lati, mentre il quarto era già inattaccabile per l’alto dirupo sul Natisone; e per 1500 anni l’abitato terminò lì, finché il diavolo venne a costruirci un ponte che poggiava su un ciclopico masso nel letto del fiume, da dove partiva una nascosta scalinata che scende al greto (artefice della leggendaria opera fu in verità nel ‘400, in epoca veneziana, un capomastro lombardo senza alcuna diabolica benemerenza, ma tutti continuano a chiamarlo Ponte del Diavolo). Comunque, oltre ai segni lasciati da Roma e Venezia, se c’è un filone storico-artistico per il quale Cividale non è seconda ad alcuna città è quello longobardo, e su di esso perciò appunteremo la nostra attenzione. I due secoli nei quali i Longobardi dominarono la scena italiana sono la parabola di un lento dirozzamento e della loro adesione al credo di Roma: visitando il Museo Cristiano del duomo cividalese scoprirete che l’altare dagli straordinari pannelli (che rammentano le deformazioni espressioniste di artisti vissuti 12 secoli più tardi), porta il nome del capo longobardo Ratchis, fattosi monaco benedettino. Sullo stesso piano le sculture del piccolo Battistero di Callisto.
Nella piazza adiacente al duomo, il Palazzo dei Provveditori attribuito al Palladio ospita il Museo Archeologico, che destina numerose sale alla massima raccolta esistente di reperti longobardi, esposti in ordine cronologico: fibule, armi, oggetti quotidiani e ornamenti in argento e pietre preziose, e poi la sala di Gisulfo con il pesante sarcofago e il ricco corredo del duca, ritrovati per caso a notevole profondità durante alcuni scavi in Piazza Paolo Diacono. La croce in oro e pietre dure è la più bella mai ritrovata in un corredo tombale longobardo, e ancora un magnifico esempio di arte barbarica è l’evangeliario in argento, avorio e gemme. Nella suddetta piazza (dove ci si può sedere ai tavolini del Caffè Longobardo) un palazzetto tradizionalmente indicato come casa di Diacono si dice sorga sul sito in cui abitava il famoso autore – latinizzato ma appartenente a quel popolo – dell’Historia Langobardorum. A completare il tema l’oratorio di Santa Maria in Valle, detto anche Tempietto Longobardo. Passando dietro l’abside del duomo, vi si arriva dopo aver sfiorato la casa artigiana medioevale ed essere passati per due porte praticate in altrettante cinte di periodi successivi. La piccola chiesa, costruita nel 760 e affacciata verso il letto del fiume, è singolare e affascinante per l’insieme di pittura, intaglio del legno, scultura, in particolare gli stucchi dei sei personaggi femminili e i fregi in raffinate stilizzazioni.

Le valli del Natisone
Il nostro prossimo terreno di esplorazione è la regione collinare folta di boschi che si stende a nord-est di Cividale, un ventaglio di valli che dalla sommità del Matajur e dalle creste del Colovrat portano i loro corsi d’acqua a sfociare nel fiume principale, poco a monte di San Pietro al Natisone. Sia con il mezzo che a piedi o in bici, la carta Tabacco Valli del Natisone in scala 1:25 000 vi sarà da ora praticamente indispensabile; se poi voleste fruire di escursioni guidate, un buon riferimento è il tour operator L’Ape Giramondo (vedi Buono a Sapersi).
In questo territorio che si sarebbe chiamato Slavia Veneta (o Benezija), ossia Venezia per gli abitanti insediatisi al tempo dell’invasione longobarda, resiste l’arcaica parlata slava tuttora usata insieme all’italiano. Quando la Serenissima conseguì il possesso del Friuli, nel Quattrocento, si rese conto che quell’etnia di frontiera andava valorizzata per la protezione del confine e concesse la gestione di certe autonomie: così quegli slavi veneti ebbero la funzione di fedeli custodi e in seguito appoggiarono le aspirazioni risorgimentali che avrebbero condotto all’Unità.
Prima di salire in quota con il veicolo, un utile prologo è la sosta in fondovalle a San Pietro al Natisone, il più popoloso dei sette comuni frazionati in una miriade di villaggi di poche case isolate nel verde delle colline. Dal consigliabile parcheggio a ridosso della chiesa si possono seguire in bicicletta percorsi essenzialmente pianeggianti e raramente trafficati. Nella zona si trovano diverse chiesette costituite da un’aula a falde spioventi, con campanile a vela, preceduta da un portichetto a colonne: la loro impostazione tardogotica è ben evidente all’interno, dove la volta dell’abside poligonale è quasi sempre percorsa da costoloni i cui nodi sono marcati da figure e altri ornamenti scolpiti. La stessa caratteristica si ritrova anche nelle chiese di San Bartolomeo a Vernasso e, salendo, a quella di San Giacomo appena sopra Biacis, o a quella di Tiglio (le chiavi sono di solito disponibili in qualche casa vicina). Tutte hanno altari seicenteschi in legno intagliato e dorato di popolaresco gusto barocco, ricco di ornamenti.
Volgendo a sinistra dopo Biacis, si sale invece alla grotta di San Giovanni d’Antro. Dal bivio di fondovalle occorre superare un dislivello di 150 metri, dunque a voi decidere se sia meglio arrivarci in camper o scegliere un altro mezzo. Il sabato e la domenica la custode è presente, negli altri giorni occorrerà telefonare al numero indicato sul posto. Dal parcheggio dietro la chiesa un percorso di poche centinaia di metri nel bosco termina alla scalinata che sale lungoroccia all’antro da cui la località prese il nome. La grotta si addentra per 4 chilometri, ma sono visitabili solo i primi 300 metri: abitata in epoche preistoriche dall’Ursus spaeleus di cui sono stati trovati i resti, fu poi frequentata dall’uomo nella sua parte iniziale. In epoca romana il sito fu punto di controllo del territorio; fortificato dai Longobardi, divenne in seguito luogo di culto ospitando alla soglia dell’antro la cappella di San Giovanni.
Ridiscesi a valle, pedaliamo sulla nazionale che verso nord sale al confine italo-sloveno. Noi svoltiamo invece sulla destra e, visitata a Tiglio la chiesetta di San Luca, prendiamo la breve deviazione per Biarzo dove, a pochi metri dal Natisone, si trova il più antico sito preistorico delle valli: un riparo sotto roccia utilizzato dalla fine del Paleolitico (11.000 anni fa) al quale si arriva a piedi lasciando le bici accanto a un vecchio mulino restaurato. Le indagini negli strati rocciosi hanno mostrato che i frequentatori del luogo vivevano di caccia e di pesca nel fiume, producevano ornamenti, effettuavano spostamenti stagionali alle alte quote.
Ripassati per San Pietro continuiamo verso San Leonardo nei cui paraggi compiremo una passeggiata alla cascata di Kot, un quarto d’ora di sentiero da imboccare al primo tornante oltre il paese. Al centro dell’abitato si può invece vedere, a 100 metri dalla fontana, un bell’esempio di tradizionale casa a loggia centrale.

Belvederi delle Prealpi
Tornati alla guida risaliamo l’Alberone, uno degli affluenti del Natisone, per dirigere verso Montemaggiore e il Matajur, piramide di larga base che domina il ventaglio delle valli. Una sosta a Clenia, ancora in fondovalle, ci permette di apprezzare il bell’altare dorato della chiesa di Sant’Antonio. Il distributore di carburante sulla provinciale è l’ultimo che troveremo in questo giro.
Nelle convalli del Natisone si viveva un tempo di agricoltura (mais, mele, castagne) rendendo spesso coltivabili i ripidi pendii mediante muretti di contenimento; molto attivo era anche l’allevamento del bestiame. Oggi, a parte le basse fasce della zona, quasi nulla rimane di quell’economia, soppiantata dopo l’ultima guerra dai miraggi della pianura e dell’industria. Ecco perché troveremo pochissima gente, villaggi come abbandonati, negozi ormai chiusi, il bosco che avanza sui campi non falciati.
Appena oltre Savogna scegliamo la strada di sinistra, alquanto stretta ma priva di traffico. A Montemaggiore (siamo già a 950 metri di quota) attirano la nostra attenzione un murale devozionale dell’800, ma anche delle sculture in legno che ornano la facciata di fronte: è la casa dello scultore Giorgio Benedetti, uomo della diaspora istriana (il suo studio si trova a Cividale) che ci racconta come per i propri lavori utilizzi vecchie travi e altri legni di risulta senza chiedere sacrifici al patrimonio arboreo; e ne derivano opere davvero essenziali e suggestive. Sulle stesse pareti, segni della vecchia cultura contadina di questa parti, tra cui una gerla in liste di castagno e giunchi che servivano a trasportare sulla testa carichi di fieno o erba. C’è anche un rastrello, strumento alla cui costruzione si dedicava la gente del villaggio di Tercimonte che ne mandava a migliaia in mezzo Friuli, fatti con i legni giusti: flessibile nocciolo per il manico, noce tagliato con la scure per il pettine (essiccando, serrava i denti rendendoli inamovibili), durissimo corniolo o maggiociondolo per i denti. A Montemaggiore incontriamo anche un pittore di icone bizantine, padre Pasquale Zuanella, diacono di rito slavo cattolico-bizantino che un po’ somiglia alle figure di certe icone (finora ne ha dipinte 1300).
Mentre la veduta verso il basso Friuli e le circostanti colline si fa man mano più ampia, per una buona strada asfaltata raggiungiamo a 1.325 metri di altitudine il rifugio Pelizzo, che da aprile a novembre offre ristoro e alloggio (quassù però non arriva acqua e se vorrete fermarvi qualche giorno converrà che i serbatoi siano forniti).
Da qui parte il più breve percorso per la cima del Matajur, la più significativa delle Prealpi Giulie, generosa di un grande panorama tra Alpi e Adriatico; in meno di un’ora di facile cammino tra i prati si raggiungono i 1.641 metri. Stefano, 40 anni, da quattordici gestore del Pelizzo, ha un occhio particolare per gli animali della montagna: racconta dei grifoni dalle ampie ali che hanno caccia facile perché a partire da queste altezze non c’è più il riparo del bosco, dell’animosità e del coraggio del corvo imperiale che ha visto difendere il suo territorio da uno stormo di ben sette grifoni, ma anche del cucciolo di gatto selvatico che ha raccolto bagnato e infreddolito e che per prima cosa gli ha bucato un’unghia con gli aguzzi dentini. In due settimane crebbe e si irrobustì e da allora non si è fatto più vedere, mentre una piccola volpe, divenuta ospite abituale, entrava e usciva dal rifugio come fosse casa propria e qualche volta ricompare nei paraggi.
Il nostro percorso resta in quota fino a Cepletischis, dove scendiamo su un ponte sotto il quale sorprende l’incredibile angustia della forra, poi la strada alquanto stretta risale nel bosco fino al passetto di San Martino per iniziare a discendere il versante della valle del Cosizza: non un’auto, non un incontro. Nel villaggio di Brida altre belle case a ballatoio in legno, prima di terminare la discesa a Clodig (negozio di alimentari e trattoria con bar). Nel paesaggio di un verde assoluto si intravvedono appena le tegole di qualche villaggio in lontananza.
Ora si risale una nuova strada laterale fino a godere in quota la conica veduta del paese di Topolò, si sfiorano altri solitari agglomerati, si tocca Cras (sede comunale) e poi Drenchia. Siamo ormai prossimi alla nuova meta del Passo Solarie (956 m), che fu interessato dagli scontri iniziali della Grande Guerra e dove, accanto a un posto di controllo della Finanza (al di là c’è la Slovenia), una stele ricorda il primo dei nostri caduti, un Alpino. Il parcheggio del rifugio Casoni Solarie è un ottimo luogo di sosta: una fresca fontanella, i prati, l’ombra degli abeti. L’immancabile passeggiata è un percorso su dislivello di 250 metri lungo la cresta del Colovrat, che separa dalla Slovenia: quando c’è buona visibilità il panorama è uno spettacolo.
Le strade successive per Preponizza e Tribil di Sopra ci offriranno paesaggi tra i più ampi e affascinanti dell’antica Slavia Veneta, ma solo verso Tribil di Sotto cominceremo a sfiorare quei magnifici prati collinari a foraggio che non esisterebbero senza il lavoro dell’uomo. «Sì – dice un agricoltore – da noi si falcia, la CEE ci aiuta e poi, dopo le vicende della mucca pazza, si è tornati a capire il valore dell’alimentazione naturale».
Quando il bosco riprenderà spazio saremo ormai a breve distanza da Castelmonte, il venerato borgo-santuario citato già nel XII secolo, che fu caposaldo fortificato. La chiesa, dagli esterni rifatti nel secolo scorso, ospita una Madonna del ‘400 in calcare dipinto di scuola germanica; notevoli anche gli ex voto, almeno quelli scampati alle depredazioni napoleoniche di fine ‘700. E’ la nostra ultima tappa prima di chiudere l’itinerario a Cividale, che dista ormai una decina di chilometri.

PleinAir 380 – marzo 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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