Libertà agli antipodi

Spiagge chilometriche e immense foreste, moderne città di stampo occidentale e testimonianze della civiltà maori: esploriamo in camper North Island, l'isola settentrionale della Nuova Zelanda, dove il fascino dell'esotico si coniuga a perfezione con il pleinair e i suoi strumenti.

Indice dell'itinerario

Dall’altra parte del mondo, con la gente a testa in giù: ecco la Nuova Zelanda come la immaginavo da piccolo. Un posto lontanissimo, avvolto nel mito, perso nelle nebbie dell’Antartide, popolato da pirati e giganti selvaggi. Poi si cresce, il mito diventa sogno e il sogno si trasforma nel desiderio di partire, di andare finalmente a conoscere quella terra che i maori popolarono per primi un migliaio di anni fa, forse provenienti dalle isole polinesiane. Nel 1642 gli europei ebbero le prime notizie di questi luoghi dall’esploratore olandese Abel Tasman, che navigava in cerca della cosiddetta Great South Land; oltre un secolo dopo, nel 1769, arrivarono gli inglesi con James Cook e la colonizzazione europea ebbe definitivamente inizio.
L’estensione della Nuova Zelanda non è molto diversa da quella dell’Italia, circa 270.000 chilometri quadrati contro i 300.000 del Bel Paese, ma con una sostanziale differenza per quanto riguarda il numero degli abitanti: 4 milioni, l’equivalente di un paio di nostre grandi città. Bastano questi numeri a far capire che al di fuori dei centri urbani ci si trova a viaggiare lungo itinerari in cui la natura trionfa in tutta la sua grandiosità, senza incontrare anima viva per chilometri e chilometri, con l’ulteriore vantaggio di un’organizzazione turistica che integra perfettamente gli strumenti e le attività del pleinair nelle modalità di visita del territorio. E poi i kiwi, come i neozelandesi chiamano sé stessi, sono cordiali e ospitali: occorre solo superare qualche iniziale perplessità linguistica per abituarsi al piacevole accento dello slang locale.

La città della vela
Capitale ideale delle isole del Pacifico (anche se quella effettiva della Nuova Zelanda è Wellington, nella parte meridionale della North Island), Auckland è il centro principale del paese, con circa un milione di abitanti nell’area urbana e 300.000 nel distretto che la circonda. Ormai famosissima anche da noi dopo le ultime edizioni dell’America’s Cup, è una bellissima città di mare, dagli spazi ampi, piena di verde e con poco traffico, ed è anche il più importante scalo marittimo neozelandese, grazie al fatto di essere collocata su uno stretto istmo che da un lato si affaccia sul Mar di Tasmania con il porto di Manukau e dall’altro, con Waitemata, sull’Oceano Pacifico. Il suo aspetto odierno è di chiara matrice europea: gli inglesi vi sbarcarono intorno al 1820 (il missionario Samuel Marsden fu il primo ad attraversare l’istmo e a porre le basi di un insediamento britannico), ma la storia di Auckland ha inizio quasi cinque secoli prima quando nella zona sorsero numerosi villaggi maori che prosperarono per secoli, tanto che all’arrivo dei colonizzatori la popolazione locale era di circa 20.000 persone. Oggi sembra quasi di trovarsi in una metropoli americana, ma l’atmosfera è molto più tranquilla e ciò che colpisce subito è la luce, la splendida luce antartica: nel cielo, sempre di color blu o azzurro intenso, corrono veloci le nuvole di questa terra fatta di vento, mare, sole, in un paesaggio che si apprezza pienamente dalla cima dell’avveniristica torre della televisione, con vista su tutta la baia di Auckland e sulle migliaia di imbarcazioni che ne solcano le acque. Da non mancare è lo splendido museo della civiltà maori, con incredibili reperti della cultura indigena e moltissime testimonianze di altre civiltà isolane del Pacifico. A completare il giro si possono visitare l’antica dogana, il Victoria Park Market, il vecchio municipio e la Art Gallery, dove sono esposti diversi dipinti originali della famosa traversata di James Cook; interessante è anche il museo di storia naturale della città, per farsi una prima idea degli ambienti che incontreremo lungo il percorso alla scoperta della North Island.

Incontro di oceani
Già una trentina di chilometri fuori città ci ritroviamo in aperta campagna. Sempre accompagnati dal blu intenso del cielo, siamo circondati dal verde di questa terra fertile, libera dal cemento come non si riesce neppure a immaginare per le nostre parti. Qui regna indisturbata la fiducia: lungo le strade non di rado troverete dei banchetti con frutta e altri prodotti agricoli, spesso già porzionati in sacchetti, con il prezzo chiaramente indicato… e nessuno a riscuotere, perché i neozelandesi contano sul fatto che l’acquirente si servirà a proprio gusto lasciando il denaro corrispondente nell’apposita cassetta.
Da Auckland procediamo verso nord sulla costa orientale lungo la State Highway 1, e ben presto scopriamo la lunghissima spiaggia di Orewa tra stuoli di gabbiani, i red-billed gulls, che si lasciano avvicinare e fotografare – come spesso accade con gli uccelli in tutto il paese e perfino nei centri abitati – mostrando un’inattesa confidenza. Dopo un primo tuffo nel Pacifico, strade e stradine procedono fra costa ed entroterra in un susseguirsi di piccoli fiordi che si insinuano tra foreste primigenie. Siamo nel cuore storico del paese: qui i maori consolidarono la loro civiltà, qui si insediò la prima colonia di cacciatori di balene e sempre qui fu firmato sulla Bay of Islands, a Waitangi, il trattato del 6 febbraio 1840 (oggi festa nazionale) con cui gli indigeni cedevano la sovranità della Nuova Zelanda alla Corona britannica. Non è ancora del tutto chiaro in che modo i maori, già fortemente indeboliti dalla presenza degli europei, furono convinti a tale passo: alcuni storici affermano che il testo del documento tradotto nella loro lingua era molto meno vincolante di quello originale in inglese e che, di fatto, le due stesure non potevano non differire a causa delle diverse concezioni politiche e sociali. Una prima conseguenza dell’accordo fu quella di arginare e poi di stroncare i tentativi dei francesi di insediarsi sulla South Island; intanto, sul fronte dei rapporti tra i firmatari non tutto andò liscio e nel trentennio successivo ci furono vari sanguinosi conflitti tra i maori e i pakeha, i coloni occidentali, che sottraevano loro le terre migliori. La triste conclusione fu che gli indigeni finirono relegati in riserve, con le note difficoltà di integrazione che ne sono seguite fino ai giorni nostri. In ogni caso il trattato di Waitangi non è solo storia ma anche cronaca quotidiana, poiché in esso si afferma anche la tutela dei diritti della minoranza maori; nel 1975, inoltre, è stato fondato il Waitangi Tribunal che tuttora si preoccupa di dirimere le contese territoriali cercando di rispettare lo spirito di entrambe le versioni del documento.
In questo nord estivo dove quasi non si riesce ad immaginare l’inverno, il clima è mite, i boschi di palme e felci giganti ricordano quelli dei romanzi d’avventura e le spiagge sono meravigliose, con alcune delle più belle zone da immersione di tutta la Nuova Zelanda (erano amate e frequentate da Jacques Cousteau, il grande sub scomparso dieci anni fa). Amorevolmente protetto nei parchi e nelle riserve di questa parte della North Island è il pino kauri o Agathis australis, il terzo albero più grande del mondo, che ha seriamente rischiato l’estinzione a causa dei massicci tagli operati dagli allevatori europei i quali, per estendere i pascoli, distrussero gran parte della copertura arborea, oggi ridotta a circa il 30% della superficie.
Superata la città di Kaitaia, sulla costa occidentale del Northland si stende il lunghissimo arenile di Ninety Mile Beach (si sviluppa in effetti per 88 chilometri): un paradiso oceanico che non si può però raggiungere con il veicolo perché il rischio di insabbiarsi è altissimo, al punto che le compagnie di noleggio vietano di impiegare l’auto o il camper in questa zona. Basta però appoggiarsi a uno dei campeggi del circondario per effettuare la visita in pullman, ricordando di portare con sé il necessario per un’escursione e, ovviamente, per una bella nuotata. La spiaggia, inoltre, è lo scenario di una competizione di pesca che si svolge usualmente nell’ultima settimana di febbraio, coinvolgendo centinaia di appassionati.
A Cape Reinga, sul promontorio che segna l’estremità settentrionale dell’isola, il Pacifico si scontra con il Mar di Tasmania formando onde che si scatenano fragorose e superano i 3 metri di altezza. Al di sotto, i fondali precipitano per oltre 5.000 metri verso l’Australia (la piattaforma continentale dell’Oceania finisce qui) e superano i 9.000 sull’altro versante. Dal faro di To Rereinga Wairua potrete così ammirare uno degli spettacoli naturali più belli e inconsueti del pianeta, ricordando di osservare il massimo rispetto per i luoghi che sono parte integrante della mitologia e della spiritualità maori: secondo la leggenda, è in queste acque che le anime dei defunti iniziano il loro viaggio verso l’aldilà.
Ritornando verso sud fate un salto a Spirits Bay, subito ad est di Cape Reinga, dove c’è anche un’area di sosta in cui pernottare sotto lo strepitoso cielo stellato del Northland, in un luogo dall’essenziale spettacolarità (unica precauzione è un buon repellente contro gli insetti poiché la zona è prediletta dal sandfly, un moscerino la cui puntura risulta piuttosto fastidiosa). Altra tappa obbligata sulla Highway 1 è Whangarei dove si osservano, nel Museum & Kiwi House Heritage Park, i simpatici uccelli dal lungo becco – ora sottoposti a tutela perché a serio rischio di estinguersi – in un’ambientazione notturna di notevole suggestione.

Il parco dei vulcani
Superata verso sud l’area metropolitana di Auckland, sfioriamo la base della penisola di Coromandel e ci portiamo verso l’ampio semicerchio della Plenty Bay, dove sbarcarono i primi maori. Questa è anche una zona in cui si trovano estesissime coltivazioni di kiwi, l’Actinidia chinensis che, come dice il nome, non è originario di queste parti bensì della Cina: il succoso frutto dalla buccia coperta di peluria ha però conosciuto in Nuova Zelanda un grande successo in termini di coltivazione e commercializzazione, tanto che attualmente questo paese ne è il secondo produttore mondiale (la vera curiosità è che al primo posto troviamo l’Italia). Le strade sono piene di curve e occorre fare attenzione anche perché abbondano gli opossum, soprattutto nelle ore di buio: la loro storia però è piuttosto triste, perché questo mite mammifero australiano è stato inopportunamente introdotto in Nuova Zelanda e, in assenza di predatori, si è riprodotto a dismisura sino a divenire un flagello per le colture e i boschi, provocando anche reazioni sconsiderate e crudeli.
Nell’entroterra, deviando sulla statale 30, si raggiunge Rotorua, che deve la sua notorietà ai vivaci fenomeni geotermici non meno che alla forte presenza dei maori, i quali costituiscono circa il 30% della popolazione cittadina (la media nazionale è la metà). Nell’aria c’è ovunque il tipico odore di zolfo dei geyser e delle emanazioni gassose sotterranee, e il villaggio maori è tutto una polla gorgogliante: vera meraviglia è il Pohutu, una colonna d’acqua che sprizza potentissima dal suolo più volte al giorno arrivando anche a 30 metri di altezza. Da non mancare anche una visita alle tipiche botteghe, dove potrete assaggiare pannocchie di mais cotte al vapore dei geyser, mentre rivolgendovi all’ufficio informazioni potrete farvi indicare come assistere a uno spettacolo di danze indigene.
Scendiamo ora verso il centro della North Island lungo la statale 5 e poi la 47 per visitare il Tongariro National Park, uno dei più belli della Nuova Zelanda, il primo istituito nel paese e il quarto nel mondo. Esteso su poco meno di 800 chilometri quadrati, comprende numerosi vulcani: i tre i più significativi sono il Tongariro, lo Ngauruho e il Ruapehu, inseriti in un contesto dall’aspetto quasi alpino con vasti boschi che si alternano a brulle distese di muschi e licheni, oltre a numerose altre specie endemiche. Il parco è molto amato dai trekker per le sue innumerevoli possibilità di escursioni, e se non avete troppa fretta vi suggeriamo di spegnere il motore per qualche giorno e mettere in moto le gambe; chi invece ha i giorni contati non perda almeno una tappa al centro visitatori, che ospita una ben documentata mostra permanente sulle peculiarità ambientali del parco.
Un’altra interessante esposizione en plein air si trova al National Wildlife Centre di Pukaha Mount Bruce, non lontano da Masterton, dove arriviamo seguendo verso sud di nuovo la Highway 1 e poi le statali 54, 57 e 2 in direzione di Wellington e dell’estremità meridionale dell’isola. Nell’area vivono in semilibertà i principali rappresentanti della fauna locale, tra cui molte specie prossime a scomparire; davvero singolari i tuatara, rettili di antichissima origine che somigliano a dei dinosauri in miniatura.

Aria coloniale
Eccoci all’ultima tappa della nostra esplorazione della North Island, la capitale Wellington, secondo centro del paese con poco più di 400.000 abitanti e l’ampio porto affacciato sul ventoso Cook Strait, al di là del quale si stende South Island. Rispetto ad Auckland appare molto più tranquilla e sonnacchiosa, quasi provinciale, ma ci restituisce il senso di una dimensione cittadina dopo i tanti minuscoli villaggi che abbiamo attraversato nel nostro itinerario. La sua storia è quella di uno scalo marittimo e di una zona di quarantena durante le due guerre mondiali, ma Wellington ha anche la particolarità di sorgere talmente vicino a una grande faglia tettonica da essere esposta a periodici microterremoti, tanto che il legno è ancora largamente adoperato nella costruzione degli edifici. Gli abitanti, però, non sono minimamente turbati da questi fenomeni naturali e anzi, alle nostre domande, replicano stupiti: “E voi italiani, che abitate tutt’intorno a due vulcani attivi?». Non resta che prenderla con una filosofia tutta neozelandese e addentrarsi lungo le strade e nei vicoli dei quartieri storici, facendo magari una pausa in una delle popolari caffetterie, o salire sulla cima del monte Victoria per godere il panorama della città e dello stretto.
Assolutamente da visitare è il museo Te Papa Tongarewa, il più importante di tutta l’isola, con esposizioni che riguardano la storia maori e quella della colonizzazione, non solo britannica ma anche con attenzione alle altre popolazioni europee, ad esempio quella italiana. Meritevole anche il Museum of Wellington City and Sea, che ricostruisce minuziosamente la storia della città e il suo sviluppo sociale, culturale ed economico. L’edificio che lo ospita, una pregevole costruzione di fine ‘800 che fu magazzino portuale, si trova a pochi passi dal lungomare, dove passeggiamo guardando, dall’altra parte del Cook Strait, quella South Island che ci proponiamo senz’altro di visitare in un prossimo viaggio. Ora, invece, è giunto per noi il momento di riconsegnare il camper e di imbarcarci sul volo per Auckland, da dove proseguiremo verso casa: e mentre l’aereo si alza nell’azzurro luminoso del cielo australe, sappiamo che le verdi foreste, le spiagge infinite, la splendida natura e la calorosa ospitalità di questo paese rimarranno a lungo nei nostri ricordi.

Testo e foto di Nino Martino

 
PleinAir 425 – Dicembre 2007

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

________________________________________________________

Tutti gli itinerari, i weekend, i diari di viaggio li puoi leggere sulla rivista digitale da smartphone, tablet o PC. Per gli iscritti al PLEINAIRCLUB l’accesso alla rivista digitale è inclusa.

Con l’abbonamento a PleinAir (11 numeri cartacei) ricevi la rivista e gli inserti speciali comodamente a casa e risparmi!

photo gallery

dove sostare

tag itinerario

cerca altri itinerari

Scegli cosa cercare
Viaggi
Sosta
Eventi

condividi l'articolo

Facebook
WhatsApp

nuove idee di viaggio