Le vie dei canti

Assisi celebra la primavera con tre giorni di festa grande: è il Calendimaggio, un tuffo nell'epoca medioevale che si conclude con un'inattesa sfida canora. Uno spettacolo da non perdere per scoprire o riscoprire la terra di San Francesco, i suoi monumenti, i dolci paesaggi del cuore verde d'Italia.

Indice dell'itinerario

L’inverno se n’è andato, e cosi il grigiore, il freddo, la pioggia, la nebbia. E’ tornata la primavera, risveglio della natura e delle genti. Nei campi cresce il grano, gli alberi si caricano di fiori e foglie. E Assisi, città ascetica e cristiana, per tre giorni diventa pagana votandosi alle divinità che nel mondo italico, greco e romano proteggevano la fertilità e l’abbondanza.
E’ Calendimaggio, festa moderna con radici antiche, germogliata nel 1927 e definitivamente sbocciata nel 1954 in un tripudio di colori, fuochi, costumi, danze, cori, tenzoni, scene teatrali. In Umbria, nel Medioevo, con l’arrivo della primavera si era usi piantar maggio, ovvero conficcare un tronco nella morbida terra fresca, rito propiziatorio denso di valenze erotiche: l’albero e i suoi rami erano adornati con nastri di seta colorata e vi si appendeva una bambola, detta Sposa, a simboleggiare l’unione del principio femminile e di quello maschile. E molto probabilmente, tra i giovani festanti, c’era anche quel Francesco di Bernardone che pochi anni dopo sarebbe divenuto il Poverello di Assisi.
Tra spensieratezze pagane e raccoglimento cristiano, agli inizi del ‘300 infuriava la lotta tra le famiglie dei Nepis e dei Fiumi, che dominavano rispettivamente i quartieri alti e quelli bassi della cittadina. Ed ecco che nel Calendimaggio odierno quell’epoca riprende vita in un’atmosfera da fiaba, trasfigurando in chiave giocosa i dissidi tra le due fazioni in gara per la conquista del Palio: la Nobilissima Parte de Sopra, cioè dei Sestieri di Porta Moiano, San Rufino e Porta Perlici, e la Magnifica Parte de Sotto, dei Sestieri di Porta San Giacomo, Porta San Francesco e Porta San Pietro. I combattenti si incontrano e si sfidano nella Piazza del Comune, all’ombra del tempio di Minerva, del Palazzo dei Priori e della Torre Municipale.
Il giovedì, venerdì e sabato immediatamente successivi al Primo Maggio sono i tre giorni in cui viene alla luce il lungo lavoro di allestimento della festa. I preparativi hanno richiesto tutto l’anno, al riparo degli sguardi indiscreti della fazione opposta, nella penombra di vecchie officine e scantinati dalle volte in pietra. Si dice che esistano anche spie e spioni, ma questa è un’altra storia.
Il primo giorno si benedicono i vessilli, giusto per ricordare alle parti che si è in terra cristiana. La scenografia è curata in ogni particolare, e l’illusione di essere tornati indietro di sette secoli è perfetta: ogni traccia dei tempi moderni, che sia un cartello stradale o un tombino, un filo elettrico o un’insegna luminosa, viene nascosta o camuffata con paglia, sacchi di juta, fondali dipinti.
Col calare delle tenebre, iniziano le recite nei quartieri di una delle due parti. Alla luce di fiaccole e torce, nel dedalo di vicoli aperto solo ai partaioli e alla giuria, viene ricreato alla perfezione il mondo medioevale: sarte, lavandaie, filatrici, artigiani, vinai, commercianti si muovono nel loro piccolo mondo fra la locanda, il mercato, il postribolo. Chi espone la selvaggina e chi i formaggi, chi la carne e chi il pesce, chi il pane e chi le spezie, mentre razzolano le galline e le oche. Intanto l’aria rischiarata dalla luce dei fuochi e delle lanterne si riempie del vociare dei figuranti: al suono di arpe e liuti si cantano l’amore e la vita, il buon vino e i tempi andati. Si parla in “medioevese”, buffa commistione di dialetto umbro e italiano volgarizzato che rende ancora più divertenti le storie antiche e le pièce teatrali, originali o inventate non importa, purché d’effetto. Ma il pubblico non ha il permesso di assistere, perché disturberebbe la giuria e non ci sarebbe abbastanza posto per tutti: si è dunque scelto di proiettare le scene su grandi schermi in piazza, unica deroga a questo ritorno nel passato.
Il venerdì si riuniscono i cortei dell’una e dell’altra parte. Si danza, si fanno girotondi in un ondeggiare di vesti colorate e di gentili sorrisi. Nobildonne in costume, i capelli raccolti e ornati da ghirlande floreali, incedono con austera eleganza recando fasci d’erba fresca, fiori e trecce d’alloro. Si deve scegliere Madonna Primavera, e perciò le due fazioni si affrontano nelle tre prove del tiro alla fune, della corsa delle tregge (antiche slitte per il trasporto del fieno) e del tiro con la balestra: la parte vittoriosa acquisisce il diritto ad eleggere la sovrana del Calendimaggio. La scelta viene effettuata abbinando un arciere a ciascuna donzella, e il tiratore che avrà ottenuto il punteggio più alto nel colpire il bersaglio posto in fondo alla piazza designerà Madonna Primavera.
Nella notte si torna di nuovo in scena con gli spettacoli in vernacolo, che questa volta si svolgono nei vicoli della parte avversa. Al termine, spettatori e partaioli affollano le taverne, mangiando con gusto la saporita porchetta alle erbe e la torta al testo, annaffiate dal vino rosso di questi colli.
Il terzo e ultimo giorno, sabato, è il momento della verità. Vincerà la Parte de Sopra o la Parte de Sotto? Squillano le chiarine e rullano i tamburi, la piazza si riempie di una folla di madonne e messeri, soldati e mercanti, cavalieri e acrobati sui trampoli. Ritornano i cortei, le danze al ritmo di musiche medioevali, le sfilate teatrali che vedono scorrere un incredibile campionario di macchine d’epoca, ruote solari, perfino navi, insieme a burlesche rappresentazioni fra le quali non manca il mesto corteo funebre di un maiale arrosto. E naturalmente si dileggia la parte avversa leggendo bandi satirici, accendendo gli animi tanto da dividere le famiglie e far diventare nemici gli amici.
Di nuovo scende il buio, la piazza e i palazzi circostanti rosseggiano alla luce delle torce, i mangiatori di fuoco sputano lunghe lingue incandescenti, ruote incendiate e bracieri rischiarano la scena, mentre singolari personaggi avvolti da veli danzano in cima ad altissimi trampoli sulle note di musiche antiche. Ed ecco che Assisi rivela il suo segreto, la particolarità della tenzone che decreterà il vincitore: non si tratta di una sfida cavalleresca, com’è facile pensare, bensì di una gara canora, il cui esito si dice possa addirittura ribaltare il risultato. Dopo la sfida a suon di madrigali, i giurati – un esperto di musica, uno di storia e un terzo di spettacolo, scelti tra insigni personaggi del mondo accademico, artistico, cinematografico e televisivo – si riuniscono per il verdetto. Sarà il Maestro di Campo che, srotolando una pergamena, comunicherà la decisione finale della giuria, decretando la rabbiosa disperazione di una parte e scatenando la folle gioia dell’altra.
L’agognato premio è finalmente aggiudicato: un anno di lavoro si chiude, un altro si apre. I partaioli stanchi affollano le taverne, siedono alle cene organizzate dall’una o dall’altra fazione e solo a notte fonda risalgono i vicoli ormai immersi nel buio. Si leva ancora qualche canto, si gioisce o si piange, qualcuno va a dormire e qualcun altro a piantar maggio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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