Le strade di Francesco

A zonzo tra montagna e città nei luoghi di Guccini.

Indice dell'itinerario

Ognuno conserva dentro di sé i ricordi dell’infanzia, e non sono pochi coloro che li hanno voluti imprimere sulle pagine di un libro o nelle parole di una canzone o di una poesia per renderli immuni allo scorrere del tempo o, più semplicemente, per condividerli. E’ quanto ha fatto Francesco Guccini in Croniche Epafaniche, il racconto autobiografico in dialetto tosco-modenese nel quale ci parla di Pavana (accento sulla prima a), paesetto dell’Appennino Tosco-Emiliano in cui ha trascorso un breve periodo dei suoi primi anni “tirato su a castagne ed erba spagna” e dove si dice che oggi sia tornato a vivere. E noi, grandi estimatori di questo poliedrico cantautore, scrittore e poeta contemporaneo, abbiamo deciso di andare alla ricerca dei paesaggi e delle atmosfere descritte nelle Croniche, utilizzandole come una guida turistica.
Il paese – come ci aspettavamo – si presenta oggi ampiamente mutato rispetto al racconto, ma sopravvivono ancora vecchie case e qualche scorcio suggestivo. Tramite un viottolo scendiamo subito al fiume Limentra che scorre spumeggiante fra balzi e cascatelle, circondato da un ambiente incontaminato e costeggiato da una stradina nel verde lungo la quale facciamo una passeggiata che da sola basta a giustificare la nostra spedizione. Il mulino del Pontaccio, dove Guccini visse la sua infanzia, si trova ai piedi dello stradello che scende da Pavana ed è facilmente riconoscibile per le canalizzazioni, le chiuse e la vasca d’accesso, nonché per due grandi macine lasciate fuori a fare da insegna. Attualmente non è più funzionante ma al suo interno, riportato dove possibile all’aspetto originale, ogni anno a metà luglio si tiene una manifestazione alla quale presenzia lo stesso cantautore per leggere stralci dei suoi scritti.
Verso la statale su cui si innesta la stradina si incontra un altro mulino: l’occhio allenato riconoscerà fra i rovi il voltone da cui entrava l’acqua e il raccordo coperto da dove usciva, andando a finire nel Limentra. Procedendo invece sul lato opposto, oltre una sbarra si arriva alla base della diga dove l’acqua convogliata in apposite tubazioni metteva in funzione una centrale elettrica fatta saltare dai tedeschi nell’ultima guerra. Al suo posto c’è oggi una strana e misteriosa forma metallica: si tratta di parte della stessa diga che è stata asportata da una piena e trascinata fino a incastrarsi nella galleria di emissione.
La casa di Guccini è in paese, e per riconoscerla può bastare un dettaglio: forse è l’unica ad avere il cancello e il portoncino d’ingresso aperti, in barba al proliferare di cartelli inneggianti alla proprietà privata. Il cantautore è ovviamente un’istituzione, al punto che sotto il portico della Certosa – l’unico monumento dell’abitato – un pittore contemporaneo lo ha raffigurato in un affresco della storia locale.

Tra i piani e i colli
Nel nostro itinerario non potremmo mancare una visita a Bologna, dove Guccini si trasferì con la famiglia da Modena (celebre la canzone del 1976 intitolata Via Paolo Fabbri 43, la strada in cui Guccini visse per diverso tempo) e dove intraprese gli studi universitari, anche se diede tutti gli esami senza poi laurearsi. E’ nel capoluogo emiliano che ha scritto le prime canzoni e ha fondato un gruppo con il quale si esibiva suonando l’inseparabile chitarra.
La città, benché soffocata dal traffico come tutti i grandi centri urbani, conserva come in uno scrigno i suoi gioielli di chiese, palazzi, stradine e portici. In un solo giorno non è certo possibile visitare tutto (fermo restando che è indispensabile lasciare il camper nell’area attrezzata cittadina o in campeggio e spostarsi a piedi, in bici o con i mezzi pubblici), ma ci si potrà fare un’idea della città assaporandone le atmosfere descritte nelle canzoni di Guccini. Si evidenziano in particolare l’impianto urbanistico, dove i percorsi pedonali e quelli riservati alle auto si incontrano solo agli attraversamenti, nonché la capillare presenza dei portici nel centro storico e non solo. Sopravvivono angoli autentici e incontaminati, come certi vicoli che nei mattini un po’ nebbiosi sembrano uscire da un sogno, e tutta la rete di corsi d’acqua sotterranei diretti al Navile, fuori Porta Lame (dove è stato creato un parco di archeologia industriale con relativo museo). E per una pausa ristoratrice sono numerose le trattorie che offrono un buon pasto, come l’Osteria dei Poeti, negli anni Sessanta ritrovo preferito per Guccini e i suoi amici, o lo storico bar Grande Italia.

PleinAir 394 – maggio 2005

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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