Le strade dell'incenso

I monasteri ortodossi sono tra le mete più visitate della Romania, e tra le meglio fruibili in camper. Accompagnando, alla vista di inestimabili tesori della pittura murale, tranquille soste fra boschi e campagne.

Indice dell'itinerario

La prima volta che visitammo la Romania fu esattamente trent’anni fa, e nella memoria sono ancora indelebili due immagini di quel lontano viaggio: le strade dei villaggi invase da oche, polli, pecore e maiali che razzolavano liberamente, e di sera il rientro dei contadini dai campi su carri stipati di gente. E’ passato molto tempo, ma finalmente siamo tornati – eleggendo ad ambito del nostro itinerario i celebri monasteri di Moldavia e Valacchia – con la curiosità di vedere se e cosa sia cambiato.
Per cominciare, niente più code estenuanti alla frontiera per ottenere il visto, una volta concesso quasi con astio da doganieri arroganti: oggi c’è un addetto sorridente a timbrarti il passaporto, forse perché si comincia a fiutare l’ingresso in Europa. Poi via su belle strade asfaltate, e al primo centro abitato scene di normale traffico cittadino. Ma è sufficiente uscire dalla direttrice battuta dai turisti per riscoprire l’antica anima di questo paese: incontriamo di nuovo i carri dei contadini trainati da grossi cavalli, e nei campi si vede lavorare la terra ancora con la forza delle sole braccia. E a sorpresa, sulla strada fra Arbore e Suceava, nei pressi del villaggio di Milisanti un mercato nel quale si vende di tutto: oche e cavalli, stoffe e ferramenta, abiti e scarpe, piante e frustini, formaggio e trappole per topi, e infine il baracchino per ristorarsi con salsicce e grappa, il tutto in una cornice davvero piacevole e caratteristica che comunque non ritroveremo più in tutto l’itinerario.

Uguali e diversi
Un tempo la Moldavia e la Valacchia erano due principati o voivodati che poi, assieme alla Transilvania, formarono la Romania. Oggi costituiscono due regioni, la prima a ridosso delle montagne, la seconda verso le pianure del sud. Etnicamente omogenee per lingua e religione, si differenziano nell’arte in seguito agli influssi delle culture circostanti: greco-bizantina, serbo-russa, armeno-georgiana e di Costantinopoli, nonché, in un caso, italiana. Tutto ciò ha generato una mescolanza di stili che si dovrebbero notare – come è scritto nelle guide – visitando i monasteri della Bucovina e di seguito quelli dell’Oltenia, ma per il turista occidentale che non abbia competenze specifiche potrebbero sembrare a prima vista uguali, a cominciare dai cicli di affreschi. E invece le differenze ci sono: per prima cosa nell’impianto dell’edificio, che attorno può avere una fortificazione, essere inglobato in un villaggio o nascosto fra boschi e colline; poi nella forma della chiesa, alta e stretta oppure tozza, anche se quasi sempre ad absidi trilobate; infine all’interno, con i tre ambienti (prónaos, naós e santuario) uno di seguito all’altro, gli affreschi anneriti da candele accese per secoli, i paramenti, gli ori. Nelle stesse pitture, anche se i soggetti si ripetono, chiunque abbia un occhio appena allenato noterà tanti particolari che differenziano ogni dipinto dagli altri.
Furono due importanti protagonisti della storia rumena, nel Trecento il principe Alessandro il Buono e un secolo più tardi il re Stefano il Grande, a promuovere una simile fioritura artistica. Il loro nome ricorre spesso nella descrizione dei monumenti, anche perché entrambi hanno trovato sepoltura in uno di questi edifici che perciò è diventato ancor più oggetto di culto. I monasteri rumeni, specie quelli della Bucovina, da sempre costituiscono un’importante attrattiva, ma d’estate ci si troverà ormai a visitarli in mezzo a una torma di turisti. Invece, arrivando fuori stagione con il veicolo ricreazionale, si potrà sostare negli antistanti e semideserti parcheggi, e a tarda sera godere dei silenzi di un’amena campagna.
Potrà anche accadere di essere attratti dai canti che escono dalla chiesa, anticipando la visita programmata per l’indomani: entrati in punta di piedi, ci si troverà avvolti da una nuvola d’incenso dentro una cerimonia da cui – credenti o no – è molto difficile non essere coinvolti. Le voci dei monaci (quasi tutti superbamente barbuti), le preghiere intervallate da genuflessioni collettive, la particolare comunione che si svolge tutti in fila, segnati uno ad uno sulla fronte con una croce d’olio, quindi a ciascuno un pezzetto di pane o anche di formaggio: sono immagini che lasciano il segno, e che offriranno il giusto completamento all’osservazione artistica dell’edificio.

L’anello della Bucovina
Tradizionalmente chiamata dai suoi abitanti “terra di sopra”, la Bucovina è la parte settentrionale della Moldavia, oltre i Carpazi, collocata a nord-est della Romania (il nome fu arbitrariamente dato alla regione storicamente nota come Bessarabia). I suoi monasteri, di certo i più pittoreschi di tutto il paese, sono situati a poca distanza l’uno dall’altro, dentro e fuori un anello che ha come riferimento la città di Suceava. Giungendo dai Carpazi, li abbiamo visitati in due giorni percorrendo prima il lato superiore dell’anello e il giorno seguente quello inferiore, con pernottamento a Solca, e non mancando qualche sosta per visitare altri notevoli monumenti e qualche godibile situazione paesaggistica.
Gli edifici sono tutti segnalati con precisione da cartelli il cui nome è preceduto dall’intuitivo termine Mânastrea. Alcuni si caratterizzano per gli affreschi esterni, realizzati con una tecnica completamente diversa dalla tradizionale, ovvero mediante speciali intonaci ottenuti con l’impasto di fibre animali e vegetali per mantenere la pellicola resistente alle variazioni atmosferiche, a cui poi è stato aggiunto il colore.
I primi due che incontriamo nel nostro percorso, deviando dalla statale DN 17 per la DN 17A all’altezza di Cimpuling Moldovenesc, sono quelli di Moldovita e di Sucevita. I dipinti che ne ricoprono quasi interamente le pareti esterne sono i più spettacolari, al punto che quasi ci si pente di non averli visitati per ultimi; inoltre, il secondo è circondato da mura perfettamente conservate.
Proseguendo, all’altezza di Margirea si arriva a un primo bivio molto sconnesso per Putna: a meno che nel frattempo non abbiano sistemato la strada, conviene allungare di qualche chilometro e prendere per il secondo bivio che parte da Radauti dove, all’altezza di un passaggio a livello, si può fare una tappa alla chiesa romanica di Sfântul Nicolae, affrescata all’interno. Anche il monastero di Putna è cinto da mura e nella chiesa è sepolto Stefano il Grande, che nel 1466 destinò a tale scopo la costruzione; da non perdere la chiesetta in legno del 1346, forse la più antica di tutta la Romania.
Si torna per la stessa strada e, oltrepassata Radauti in direzione di Suceava, si cerca sulla destra il bivio per il monastero di Arbore; qui la chiesa, visibile dalla strada, è rimasta affrescata esternamente solo lungo la fiancata destra, con le originali pitture di Dragos Coman del quale si sono conservate le pietre nei cui incavi l’artista mescolava i colori.
Poco più avanti il monastero Solca, anch’esso cinto da mura, è forse meno importante di altri; ma davanti all’ingresso fortificato si trova un tranquillo piazzale dove trascorrere la notte.
Si va a riprendere l’anello tornando sulla strada per Suceava, che quasi subito si innesta sulla A269 (E85); pochi chilometri e, attraversando il villaggio di Patrauti, si incontra una piccola chiesa dai quali affreschi interni la pittura moldava, abbandonando gli schemi bizantini, intraprese un nuovo corso più realistico; si osservi in proposito la Cavalcata dei Santi Guerrieri.
Alle porte di Suceava, si devia sulla sinistra per il monastero di Dragomirna: circondata da possenti mura (e dagli altrettanto imponenti alberi di una riserva naturale, ottima postazione per una sosta), la chiesa si distingue non solo per la sua altezza, evidenziata dalle ridotte dimensioni della base, ma anche per la decorazione esterna che non prevede più dipinti, bensì una cordonatura che la rende il prototipo delle chiese moldave. Si entra ora a Suceava, un tempo capitale della Moldavia. Oggi città industriale, conserva però le vestigia del suo antico sistema difensivo: a sud-est la chiesa fortificata di San Giorgio, del Cinquecento (fu la prima a essere dipinta esternamente, fungendo da modello per i monasteri circostanti); a est, su un picco roccioso, i ruderi della cittadella; a ovest, infine, il monastero di Zamca, trasformato in fortezza nel 1691, con il campanile come torre di guardia e le mura perimetrali intatte.
Andiamo adesso a imboccare la E 576 in direzione Vatra Dornei. Dopo circa 40 chilometri, a Guri Humorului si trova sulla destra l’indicazione per l’omonimo monastero: situato in un’amena valletta, conserva importanti affreschi interni, in particolare l’Inno alla Vergine.
Si torna sulla statale e si cerca, stavolta sulla sinistra, il bivio per il monastero di Voronet. L’anello degli edifici affrescati esternamente si completa in bellezza: ci troviamo infatti di fronte a quello che viene chiamato “il gioiello della Bucovina” o addirittura “la Sistina d’Oriente”. La chiesa, sopravvissuta al resto dell’impianto, presenta dipinti considerati fra le più alte testimonianze dell’arte europea (tra i colori predomina il cosiddetto blu di Voronet); sulla facciata si ammiri in particolare il Giudizio Universale, il più famoso affresco della Moldavia.
Per proseguire verso la seconda area di insediamenti monastici dovremo tornare verso Suceava e imboccare (dritti all’esterno di una curva) una bretella che ci riporterà sulla E85, una trentina di chilometri a sud del capoluogo. Altro bivio sulla destra e per la DN 15C si arriva in 24 chilometri a Tirgu Neamt, punto di partenza del prossimo itinerario.

L’anello di Neamt
Anche in questo caso i monasteri sono disposti lungo un percorso circolare. Oltre Tirgu Neamt, proseguendo in direzione di Piatra Neamt, si arriva quasi subito a un bivio: prendendo la DN 15C si andrà per prima cosa a visitare quelli di Agapia e di Vâratec i cui accessi si trovano in successione sulla destra, a distanza di pochi chilometri. Il primo, ricostruito nell’Ottocento e circondato dalle casette delle monache, si raggiunge risalendo una strada dissestata lungo un torrentello che si incunea fra gli abeti; due chilometri più avanti si incontra la chiesetta in legno, risalente al XIV secolo, che diede origine al complesso. Il secondo, anch’esso femminile e con un pittoresco villaggio, ha una chiesa ottocentesca con le cupole incastonate fra i pini (ma la visione è turbata da due orribili costruzioni che sorgono poco più avanti); interessante l’annesso museo che conserva icone, arredi, suppellettili e notevoli tappeti di lana a tintura vegetale.
Tornati al bivio di cui sopra, si imbocca adesso la DN 15E fino a trovare la deviazione sulla destra per Neamt, dove si scorgono due campanili aguzzi oltre un bosco di pioppi. Stiamo arrivando a scoprire il più antico e importante monastero della Moldavia che, fondato nel XV secolo, subì terremoti e devastazioni ma fu sempre riedificato. Oggi se ne ammirano un museo di icone, la torre-portico affrescata, due chiese, antichi arredi, vasi sacri, manoscritti e un singolare battistero ottocentesco circolare sotto una grande cupola con affreschi moderni.
Poco più avanti un’altra deviazione sulla sinistra conduce al monastero di Secu, che merita la visita anche solo per il contesto in cui è inserito. Vi si arriva infatti per una bellissima strada fra pascoli e querceti, e l’edificio stesso sorge in un bosco (avendo tempo, si può proseguire a piedi per un sentiero alla ricerca di due piccoli eremi).
La DN 15E sale ora fra abeti e belle case dai tetti in scandole di legno fino a raggiungere un valico e scendere al lago artificiale di Bicaz: al centro dell’abitato di Poiana Largului si prende a sinistra per la DN 15, tortuosa e un po’ stretta ma panoramica e a scarsissima percorrenza. Il bacino, alimentato dal fiume Bistrita, offre il suo aspetto migliore in prossimità di uno sbarramento, 6 chilometri prima di Bicaz. Rimanendo sulla DN 15 si prosegue in direzione di Piatra Neamt. Circa 5 chilometri oltre Bicaz, sulla destra è segnalato il monastero di Pingârati, caratterizzato da una chiesa a due piani unica nella Moldavia; purtroppo l’indicazione di un non meglio specificato sottopasso e gli inutili tentativi di trovare una strada alternativa costringono passare oltre.
Ancora 11 chilometri e, svoltando a sinistra, si giunge al monastero di Bistrita, racchiuso da mura e preceduto da un comodo piazzale. La chiesa del 1498, cui si accede da una porta turrita, è la cappella funeraria della famiglia di Alessandro il Buono ed è decorata con affreschi coevi. Retrocedendo di circa 4 chilometri si imbocca il bivio per il monastero di Bisericani, ora trasformato in sanatorio: anche se la visita può creare un certo disagio per la presenza dei pazienti, il sito, in un bosco di aceri, querce, abeti, faggi e con belle viste sul lago di Bicaz, merita davvero l’escursione.
L’anello potrebbe concludersi a Piatra Neamt, moderna città industriale che conserva nella centrale piazza della Libertà la chiesa di San Giovanni, interessante esempio di architettura moldava nonché museo etnografico. Se invece si vuole proseguire direttamente per il terzo percorso monastico si deve tornare a Bicaz e da qui continuare in direzione di Gheorgheni. Si attraverseranno così le spettacolari Cheile Bicazului, ovvero le gole di Bicaz, lunghe una decina di chilometri e con pareti alte fino a 400 metri, e poco più avanti si sfiorerà il Lacu Rosu, noto per i tronchi pietrificati emergenti dall’acqua.
Da Gheorgheni si devia verso sud per la DN 12 e si arriva, attorno a Brasov, in un’area di chiese fortificate (Prejmer, Codlea, Cristian, Vulcan). La più importante e meglio conservata è quella di Prejmer, la cui struttura – con i magazzini sovrapposti raggiungibili da scale estraibili e il bianco abbagliante delle pareti – ricorda i ghorfa tunisini, ambienti a pianta rettangolare dalle volte a botte.

I monasteri dell’Oltenia
L’ingresso a Curtea de Arges, che fu capitale della Valacchia, viene salutato da uno dei massimi monumenti rumeni: Sfântul Nicolae Domnesc, la più antica chiesa del paese, in stile bizantino con interni superbamente affrescati (in restauro al momento in cui scriviamo). Da visitare inoltre l’imponente monastero del Cinquecento, curiosa contaminazione fra bizantino e gotico.
Punto di partenza del nuovo giro di monasteri è Rîmnicu Vîlcea, città industriale nel cui centro, lungo il fiume, è possibile parcheggiare e pernottare. Da qui ci si dirige verso nord sulla DN 7, risalendo l’Olt a cercare, dopo circa 25 chilometri, uno dei più importanti monasteri, quello di Cozia (ben visibile dalla strada). Fu costruito secondo i moduli dell’architettura serba, in mattoni alternati a pietre con decorazioni in terracotta ad alleggerire l’insieme; isolata su un colle sul lato opposto della strada, la chiesetta dell’ospedale è un piccolo gioiello, quasi una riproduzione in scala del monastero.
Rientrando verso la città, si incontra la località termale di Câlimânesti-Câciulata, dove un ponte pedonale valica il fiume e raggiunge un’isoletta (trasformata in parco) sulla quale facciamo una rilassante passeggiata fino a un piccolo eremo cinquecentesco. Tornati sulla statale, ci si imbatte in una grossolana indicazione per il monastero di Frassineti, noto per l’ascetismo dei suoi abitanti che pare gradiscano poco le visite dei turisti; in più, la strada che diventa improvvisamente stretta e sterrata ci costringe a tonare indietro.
Una volta a Rîmnicu Vîlcea, si prende la DN 67 in direzione Tîrgu Jiu. Dopo una trentina di chilometri, sulla destra incontreremo un bivio che porta a un altro monastero chiamato Bistrita (omonimo di quello moldavo), la cui visita ci lascia un po’ delusi al confronto con quelli visti finora, poiché dell’impianto originario resta solo la chiesa dell’ospedale. Avendo tempo, si può proseguire a piedi per le gole e cercare due chiesette rupestri affrescate.
Tralasciamo il monastero di Arnota perché la strada che lo collega si presenta molto dissestata e, tornati sulla statale, ci consoliamo più avanti a Hurez, il cui bivio si incontra alle porte dell’abitato di Horezu, e da dove si risale un’amena valletta (incontrando due mulini ad acqua completamente in legno, purtroppo in rovina). Il complesso monastico, che appare in cima a un lungo viale come una bianca fortezza, costituisce il prototipo dello stile detto brancoviano dal nome del principe Constantin Brâncoveanu che lo fece edificare nel 1692. Alla chiesa principale, preceduta da un elegante portico affrescato, fa seguito quella dell’ospedale che anche qui sembra una riproduzione in scala; e di nuovo troviamo un museo con icone, oggetti di culto, manoscritti. Non lontani, con una passeggiata nel verde si possono raggiungere due interessanti eremi.
Tornando verso Rîmnicu Vîlcea si cerca ora, sulla destra, l’indicazione per Govora, altro monastero con notevoli affreschi che, nella ricostruzione avvenuta all’inizio del Settecento, mostra ancora l’influenza di Brâncoveanu.
Svoltando a destra per la DN 64, in 15 chilometri si raggiunge il bivio per il monastero di Dintr-un-Lemn (“di un legno”), così chiamato perché leggenda vuole che ebbe all’origine una chiesetta costruita con il legno di una sola quercia. Ammiriamo la struttura immersa nel verde, con la porta d’ingresso fortificata, gli affreschi, la chiesa e gli edifici conventuali di chiara influenza austriaca, e rimaniamo a osservare alcune ragazze che scrivono dei bigliettini e poi vanno a infilarli nelle cavità delle querce centenarie: una gentile usanza per chiedere che vengano esauditi i propri desideri. Quanto a noi, avessimo chiesto una notte d’incanto in un parco e di fronte a un monumento, siamo stati esauditi: e meglio non poteva concludersi il nostro lungo giro fra i monasteri rumeni.

PleinAir 383 – giugno 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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