Le sirene dell'Adriatico

Un giovane parco tutela il patrimonio storico, artistico e paesaggistico di uno dei comprensori più amati d'Italia: torniamo in Salento per scoprire non le spiagge e le occasioni balneari, ma le testimonianze di un passato che ridiventa presente anche grazie alla musica e al folklore.

Indice dell'itinerario

La notte, piano piano, inghiotte l’oliveto come l’inchiostro di un vecchio calamaio. Solo i fuochi accesi dai contadini per bruciare foglie e sterpaglie rischiarano la corteccia rugosa di tronchi antichi. In un silenzio quasi mistico le rocce dalle forme singolari, che paiono quasi animali fantastici o spiriti delle tenebre, si stagliano contro il blu scuro di un cielo quasi fosforescente. Sono menhir e dolmen, tracce vaghe ma tangibili di un passato lontano e misterioso. La campagna intorno a Otranto pullula di pietre conficcate nel suolo, orientate secondo dettami ormai perduti. Tra alte erbe ingiallite dal sole pugliese, questi luoghi di culto megalitici giocano a nascondino con muretti a secco e rifugi per le greggi. I menhir, presenti soprattutto sul versante adriatico, misurano fino a 4 metri di altezza; i dolmen, invece, sono costituiti da lastre conficcate verticalmente nel terreno, a cui ne è stata sovrapposta una orizzontale ottenendo una sorta di altare. Questi luoghi di culto preistorici sono sempre stati considerati negativamente dal mondo cristiano, che ha cercato a più riprese di occultarli o di trasformarli in qualcosa di diverso. Vicino Giurdignano, ad esempio, c’è un menhir alla cui base si trova una piccola grotta, sul fondo della quale più tardi è stato dipinto San Paolo insieme a una ragnatela: il santo, secondo una tradizione ancora sentita da queste parti, è infatti considerato il protettore di chi è stato morso da un serpente o da un ragno (si dice che egli stesso fosse sopravvissuto in questa circostanza).
I riti dell’antichità, d’altra parte, sono stati integrati in varie forme nel cristianesimo, finendo col tramandarsi in veste nuova. Certo è che il Salento ha visto nel corso dei secoli il passaggio di molti popoli e culture diverse: all’inizio del I millennio a.C. era la Messapia, ovvero la Terra di Mezzo abitata dai Messapi o Pelasgi, un popolo di probabile origine illirica che fondò numerose città e che condivideva questo territorio con varie popolazioni italiche. L’avvento di Roma diede notevole impulso ai traffici marittimi, poi vennero Longobardi, Normanni (a quell’epoca risale la denominazione di Terra d’Otranto), Angioini, Aragonesi e infine la forte presenza della dominazione spagnola e poi di quella borbonica. Facile immaginare quante tracce siano rimaste sul territorio, e proprio per tutelare i tesori paesaggistici, storici e architettonici della costa orientale del Salento è stato istituito nel 2006 dalla Regione Puglia un parco che comprende la costa da Otranto a Santa Maria di Leuca e il bosco di Tricase.

La porta dell’Oriente
Il punto di partenza dell’esplorazione del parco non può che essere Otranto, una delle più belle città del Sud, il cui nome deriva da Ydrentos per la vicinanza al fiume Idro oggi quasi prosciugato. Fu un importante porto sull’Adriatico in epoca messapica, poi greca e romana; in quest’ultimo periodo si impose come città marinara dove si lavoravano la porpora e i tessuti, arrivando a battere moneta. Con Bisanzio raggiunse il massimo splendore in qualità di centro del rito italo-greco in Puglia con la nascita dell’abbazia di Casole, divenuta in seguito il più ricco monastero dell’Italia meridionale. Sotto la dominazione normanna fu costruita la cattedrale, del 1008, che è la chiesa più grande della regione: qui nel 1095 ricevettero una solenne benedizione i 12.000 crociati che al comando del principe Boemondo I d’Altavilla partivano per liberare il Santo Sepolcro. Un secolo più tardi, San Francesco venne accolto con onori di ritorno dalla Terra Santa. Dopo essere passata nelle mani di Carlo I d’Angiò prima e di Alfonso d’Aragona poi, il 28 luglio 1480 Otranto subì il terribile attacco di 18.000 Turchi, che sbarcarono da un centinaio di galee sotto la guida di Ahmed Pasha, crudele luogotenente di Maometto II, e misero a ferro e fuoco la cittadina, decapitando sul Colle della Minerva gli ultimi ottocento otrantini sopravissuti che rifiutarono di convertirsi all’Islam: i loro resti sono raccolti in parte nell’ossario della cappella dei Martiri, ubicata nella navata destra della cattedrale di Otranto, e in parte a Napoli, nella chiesa di Santa Caterina a Formiello. I Turchi distrussero anche il famoso monastero di San Nicola di Casole, dove i monaci basiliani avevano creato la più vasta biblioteca occidentale di quei tempi. Fu uno di loro, Pantaleone, a ideare il monumentale mosaico pavimentale della cattedrale otrantina (il più grande in Europa): realizzato in tessere policrome di durissimo calcare locale, si estende lungo tutta la navata centrale raggiungendo il presbiterio, l’abside e i bracci del transetto. Concepito come un’immensa preghiera, raffigura un gigantesco albero della vita sorretto da una coppia di elefanti, mentre ai rami sono legate alcune figure allegoriche medioevali e i segni dello zodiaco. Degni di nota anche il soffitto ligneo dorato a cassettoni del XVII secolo e la cripta semicircolare dell’XI secolo, con quarantadue colonne dai capitelli di fattura diversa. All’esterno, sulla facciata a doppio spiovente, il portale barocco è sovrastato da un rosone a sedici raggi con fini trafori gotici di forma circolare, risalente alla fine del ‘400.
Altro simbolo del passato della città più orientale d’Italia (anche detta Porta d’Oriente per ragioni storiche e culturali non meno che geografiche) è il castello, edificato sotto gli Aragonesi: a pianta pentagonale con tre torri, nel XVI secolo fu arricchito da un bastione che arriva quasi al mare, e che oggi fa da sfondo ai tavolini dei locali, alle esibizioni degli artisti di strada e al passeggio dei turisti che dalla tarda primavera all’inizio dell’autunno affollano il lungomare.

Tra due mari
L’esigenza difensiva di questa parte dello Stivale, continuamente sottoposta ad attacchi esterni, si riscontra chiaramente nelle numerose torri che punteggiano il profilo costiero su entrambi i versanti. Realizzate perlopiù nella seconda metà del XVI secolo, erano nate come difesa contro gli attacchi dei pirati in arrivo soprattutto dalla prospiciente Albania, dalla Dalmazia, dalla Grecia, dalla Turchia. Alcune erano semplici ausilii per l’avvistamento, altre erano dotate di un più efficiente apparato di tipo militare. Viaggiando lungo la sola costa del Salento se ne contano una cinquantina, ma in tutta la Puglia, sul finire del XVI secolo, ce n’erano quasi quattrocento. Una vera e propria rete di comunicazione fatta di suoni e di segnali luminosi collegava torre a torre e queste con l’entroterra, permettendo alle truppe di respingere gli attacchi dal mare e ai civili di fuggire al grido di mamma li Turchi .
Il tratto frastagliato che da Otranto scende a Santa Cesarea Terme è un inno alla bellezza selvaggia della natura, dove i prati verdeggianti si colorano di fiori in primavera, rivaleggiando con i cromatismi del mare che proprio qui cambia nome: a Punta Palascia o Capo d’Otranto, secondo le convenzioni nautiche, lo Jonio e l’Adriatico fondono le loro acque. La statale 173 attraversa questi incredibili paesaggi allungandosi in rettilinei che più avanti si piegano in ripetute curve, portandoci verso l’estremità del Tacco.
A Porto Badisco, dove Virgilio fa sbarcare Enea in fuga da Troia, le barche dei pescatori sembrano sospese nel vuoto, tanto l’acqua è limpida e cristallina. Qui si trova la Grotta dei Cervi, ricca di raffigurazioni di scene di caccia risalenti al Paleolitico Superiore: oggi chiusa al pubblico per evitare il degrado dei dipinti, è uno dei tanti esempi di cavità carsiche marine fra Otranto e Santa Maria di Leuca, tra cui la Zinzulusa, la Grotta Romanelli, la Rotundella e la Grotta Verde. Il paesaggio è grandioso, con le scogliere a picco, le mille sfumature del mare e all’orizzonte, più vicino di quello che si potrebbe pensare, il profilo bianco e arido dell’Albania.

Villeggiatura d’epoca
Tra oliveti, fichi d’India, pini d’Aleppo e piante di cappero, proseguendo lungo la litoranea si arriva a Santa Cesarea Terme. Le sue acque idrosolfurate e fortemente radioattive scaturiscono da sorgenti situate in profondità in quattro grotte marine, e proprio il turismo termale ha determinato lo sviluppo della cittadina che fin dalla prima metà del ‘900 ha attirato la borghesia salentina e non solo. Ciò spiega la presenza di ville e dimore estive ben visibili lungo la strada, come il moresco Palazzo Sticchi e Villa Raffaella.
Poco prima di Castro si aprono nella scogliera la Grotta Romanelli e la Grotta Zinzulusa. Nella prima (non visitabile) sono stati rinvenuti graffiti, figurazioni primitive e manufatti in pietra lavorati da uomini vissuti quasi 70.000 anni fa. La seconda invece è aperta al pubblico ed è accessibile sia da mare che da terra, con un succedersi di sale e cunicoli in un tripudio di colori e di riflessi: il nome deriva dagli zinzuli o straccetti, come la gente del luogo ha chiamato le stalattiti che pendono dal soffitto dell’atrio, sovrastato da un’irta falesia.
L’abitato di Castro, diviso dalla statale litoranea in Marina e Superiore, nella parte più arroccata conserva un tratto di mura messapiche del IV secolo a.C., ma il centro storico si fregia anche di una cattedrale romanica con cripta bizantina e di un castello aragonese con cinta muraria e torri. Nel Parco delle Querce ci si può rilassare all’ombra di quest’ultimo residuo di lecceta che un tempo ricopriva buona parte della Terra d’Otranto. Continuando verso sud ecco Tricase, un centro noto per la coltivazione del tabacco. Da vedere l’imponente e squadrato Palazzo Gallone, sede del municipio, e la Chiesa Matrice, che custodisce dipinti di valore e un pulpito settecentesco. Intorno all’abitato sorgono vari fortilizi, tra cui i castelli di Trane e di Gallone, immersi fra querce vallonee e vegetazione mediterranea.

Punto di svolta
Il punto più a sud-est d’Italia è Capo Santa Maria di Leuca, proprio là dove sorge il santuario e c’è il faro. E’ un luogo affascinante dove la terra sembra davvero finire, come suggerisce il soprannome de Finibus Terrae attribuito al luogo sacro. Dove un tempo si offrivano sacrifici a Minerva oggi si prega la Vergine Maria, e una leggenda narra che il tempio pagano cadde in frantumi all’apparire di San Pietro quando egli sbarcò in questo punto nel suo viaggio dall’Oriente verso Roma. Un’antichissima croce in ferro con due chiavi incrociate, detta appunto Croce Petrina, suggella l’evento così come una lapide all’ingresso del santuario, datata 43 d.C., conferma il passaggio al cristianesimo. Il culto della Madonna di Leuca risale invece all’anno 365 quando la Madonna, invocata dalle genti del Capo, sarebbe intervenuta salvandole da un disastroso maremoto, e da allora il santuario è meta di frequenti pellegrinaggi da parte dei fedeli. Anche il nome di Marina di Leuca avrebbe ascendenze greche da leukòs, bianco, ad indicare forse il colore della spuma che si infrange sulle scogliere. Il promontorio su cui è adagiata, chiamato Japigio da Erodoto, è traforato da grotte raggiungibili soprattutto in barca: la grotta delle Tre Porte, la Porcinara e quelle del Diavolo, del Bambino e dei Giganti. Le spiagge vicino al porto sono caratterizzate da singolari casupole in muratura, che altro non sono se non le cabine dove le dame dei primi del ‘900 potevano cambiarsi gli abiti al riparo di sguardi indiscreti. Sempre del XX secolo sono le curiose ville sul Lungomare Colombo in stili che riproducono il moresco, il gotico, il liberty e persino il pompeiano.
A Leuca si conclude il nostro percorso, ma il Salento ha ancora un’infinità di spunti da offrire. Chi ama il mare potrà ad esempio continuare l’itinerario sulla costa jonica in direzione di Gallipoli, incontrando molte bellissime spiagge, mentre chi è rimasto affascinato dal culto delle pietre potrà cercarne ancora, a breve distanza, uno dei siti più rappresentativi. A Patù, di fronte alla chiesetta bizantina di San Giovanni, si può infatti visitare il tempio megalitico delle Centopietre, immerso nella campagna alle porte del paese. E a vederlo sotto il sole meridiano o anche dopo il tramonto, quando intorno cala il silenzio, si capisce ancora meglio perché il Salento sia una terra dove la storia, la leggenda, la fede, i paesaggi si mescolano in un affascinante crogiolo della cultura mediterranea.

PleinAir 428 – marzo 2008

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

________________________________________________________

Tutti gli itinerari, i weekend, i diari di viaggio li puoi leggere sulla rivista digitale da smartphone, tablet o PC. Per gli iscritti al PLEINAIRCLUB l’accesso alla rivista digitale è inclusa.

Con l’abbonamento a PleinAir (11 numeri cartacei) ricevi la rivista e gli inserti speciali comodamente a casa e risparmi!

photo gallery

dove sostare

tag itinerario

cerca altri itinerari

Scegli cosa cercare
Viaggi
Sosta
Eventi

condividi l'articolo

Facebook
WhatsApp

nuove idee di viaggio