Lago di Molveno, bello fuori e pulito dentro

“Gemma purissima in superbo scrigno”. Così Antonio Fogazzaro definì il Lago di Molveno, uno dei più suggestivi e incontaminati laghi alpini al cospetto delle Dolomiti di Brenta e a meno di un’ora da Trento

Indice dell'itinerario

Tremila anni fa una terribile frana si staccò dal Monte Gazza, e dall’enorme massa di rocce e fango che travolse la valle e i letti dei torrenti si formò il Lago di Molveno. La foresta e gli insediamenti umani sparirono in profondissime acque rimanendo nascosti fi no a circa sessant’anni fa, quando il lago fu completamente svuotato per agevolare i lavori di una centrale idroelettrica. Allora tornarono alla luce gli abeti e i faggi che avevano visto il passaggio dell’uomo nell’Età del Ferro. “Gemma purissima in superbo scrigno”, come scrisse Antonio Fogazzaro, il secondo bacino interamente compreso nel Trentino dopo quello di Caldonazzo è uno specchio azzurro e limpido premiato non a caso da Legambiente con le Cinque Vele.

Il passaggio in bici sul Ponte Romano, lungo il periplo del bacino
Il passaggio in bici sul Ponte Romano, lungo il periplo del bacino

La riviera delle Dolomiti di Brenta

Non c’è dunque da meravigliarsi se il lago continua a essere il fulcro di molte attività ludiche estive. In tre ore e mezzo di cammino si può percorrerne il periplo con un comodo sentiero che passa per i Fortini di Napoleone – cinque strutture in realtà erette dagli Austriaci all’inizio dell’Ottocento – e lungo il Ponte Romano, costruzione affacciata sull’omonima cascata, attraverso un’antica via di comunicazione fra la Val di Non e le Giudicarie.

Si passeggia osservando le vele dei surfisti e i pedalò che indugiano tra le onde e i riflessi delle Dolomiti di Brenta. Sulla spiaggia della costa nordoccidentale, dove sorge un campeggio poco lontano dal paese, i turisti più pigri si abbronzano sulle sedie a sdraio, mentre quelli che neanche in vacanza riescono a riposare preferiscono scivolare su barche a vela e canoe.

Il belvedere al Rifugio Montanara
Il belvedere al Rifugio Montanara

In bilico tra la Paganella e le Dolomiti di Brenta, Molveno ha una tradizione turistica secolare; nell’Ottocento ospitò alpinisti, naturalisti e illustri viaggiatori germanici e d’Oltremanica. Come l’irlandese John Ball, primo presidente dell’Alpine Club di Londra, instancabile esploratore delle Dolomiti noto per i suoi piacevoli resoconti. La sua pubblicazione A Guide to the Eastern Alps, oltre a fornire informazioni sulle vie per­corse, regala precise descrizioni dei paesi e delle abitudini dei valligiani di angoli remoti delle Alpi.

Accompagnato da Bonifacio Nicolussi, l’alpinista di Dublino effettuò la prima traversata delle Dolomiti di Brenta nel 1864; insieme risa­lirono la Val delle Seghe, s’inerpicarono fino alla Bocca di Brenta oltre i 2.500 metri, poi ridiscesero sull’altro versante fino in Val Rendena. Per quei luoghi rupestri passò anche l’alpinista britannico Douglas William Freshfield, che scrisse: “L’accesso al cuore della catena del Brenta dalla parte di Molveno è per la Val delle Seghe, la valle delle segherie, il cui torrente si scarica nel lago con vistoso delta un quarto di miglio più a sud del villaggio. Questa valle è stretta e racchiusa da rossi, altissimi dirupi straordinariamente lisci, le cui cime spuntano da foreste di faggi”.

Un passaggio verso il Rifugio Croz dell’Altissimo
Un passaggio verso il Rifugio Croz dell’Altissimo

Oggi la visita delle Dolomiti di Brenta è facilitata da ac­cessi più comodi, sentieri ben marcati, una cabinovia e alcuni strategici rifugi: il Pedrotti, il Tosa, il Selvata, tutti adagiati sul versante meridionale del massiccio all’ombra di cime spet­tacolari. Da San Lorenzo in Banale si risale la suggestiva Val d’Ambièz fino al Rifugio Silvio Agostini, citato nel romanzo Il vassoio della porta accanto di Alberto Moravia. E poi c’è il Rifugio Croz dell’Altissimo gestito dalla famiglia Spellini, un’oasi di pace dove gustare i piatti della tradizione trentina.

A vegliare sugli escursionisti la cima da cui il rifugio ha preso il nome, una delle più imponenti montagne del massiccio. Il versante sudovest è impressionante, quasi novecento metri di strapiombante dolomia verticale: un arduo banco di prova anche per gli alpinisti più esperti. Qui alcuni scalatori del secolo scorso hanno tracciato memorabili vie impegnative. Come Angelo Dibona, che nel 1910 conquistò il Pilastro della Parete Ovest superando uno strapiombo esposto e scivoloso (oggi agevolato dalla presenza di qualche chio­do) che fu valutato di quinto grado. “Si sfi orò il sesto grado classico” dichiarò il mitico Bruno Detassis, storico gestore del Rifugio Brentei.

Al Rifugio Croz dell’Altissimo si accede facilmente grazie alla nuova cabinovia che da Molveno sale all’Altopiano di Pradel, a 1.500 metri di altitudine; da qui un comodo sentiero attraversa la montagna in quota per cenge talvolta esposte, protette da parapetti di metallo. Lo sguardo si apre verso il cuore del massiccio con il Campanile Basso, una guglia alta alcune centinaia di metri la cui sommità si perde fra le nuvole e il cielo. Al Bass sono legate alcune fra le più belle pagine della storia dell’alpinismo. Il 18 agosto 1899 Otto Ampfer e Karl Berger riuscirono a mettere i piedi in vetta; la loro ascensione suscitò polemiche poiché i due sudtirolesi fecero uso di chiodi nei tratti più impegnativi, ma favorì la scoperta di quest’angolo delle Dolomiti.

Rifugio Croz dell’Altissimo
Rifugio Croz dell’Altissimo

La Società degli Alpinisti Tridentini, fondata nel 1872, contribuì alla diffusione del turismo montano in questa zona con la costruzione di rifugi e alloggi come il Grand Hotel, eretto a Molveno nel 1906. L’albergo ha ospitato personaggi illustri: da Alberto I re del Belgio a Guglielmo Marconi, da Umberto Nobile a Sigmund Freud, da Antonio Fogazzaro ad Alberto Moravia.

La telecabina che da Molveno sale al Pradel
La telecabina che da Molveno sale al Pradel

Streghe, vescovi e orsi

Con la realizzazione della rotabile proveniente da Mezzolombardo Molveno divenne una delle località più apprezzate della provincia, in particolare dopo la Seconda Guerra Mondiale. Benché il centro storico sia stato colpito da un terribile incendio nel 1920, il paese raccolto attorno alla parrocchiale di San Carlo Borromeo e al romanico campanile conserva alcuni edifi ci interessanti per lo più concentrati nei pressi dell’area pedonale.

La casa di Luciano Emmer e un affresco esterno della chiesa di San Vigilio
La casa di Luciano Emmer e un affresco esterno della chiesa di San Vigilio

La zona più antica è il quartiere Bosnia, il cui nome probabilmente è legato al fatto che qui furono ospitati i militari bosniaci dell’esercito austro-ungarico. Qui, al civico 7 di Via Paganella, visse anche il grande regista e sceneggiatore Luciano Emmer. Nel 2006, tre anni prima della sua scomparsa, girò tra Molveno, a Andalo e la Val di Non Le fi ame del paradis, ispirato agli anni bui dell’Inquisizione. Protagonista del fi lm è Zappina, una contadina semplice e generosa che conosce i segreti delle piante medicinali.

Ingiustamente accusata di aver provocato malattie e disgrazie viene processata, torturata e condannata al rogo per stregoneria. Chissà se tra i personaggi che hanno ispirato la pellicola c’era anche Teresa Donini; di certo questa ostetrica molvenese nella prima metà del secolo scorso lenì le sofferenze delle partorienti con infusi e decotti da lei preparati con erbe spontanee. In suo ricordo, nei pressi del parcheggio delle Valbinaghe è stata affi ssa una targa con la scritta “mammana aprovata”.

L’antica segheria Taialacqua
L’antica segheria Taialacqua

Tra i simboli del paese c’è anche l’antica chiesa cimiteriale di San Vigilio, vescovo di Trento vissuto nel IV secolo. L’edifi cio sacro, eretto nel Duecento e annoverato nella lista dei beni culturali della Provincia Autonoma di Trento, ospita affreschi di pregio come L’Ultima Cena, attribuita a un artista veronese della scuola di Giotto. Merita una visita poi l’antica segheria veneziana Taialacqua, dedicata al parroco che la fece costruire nel Cinquecento. Oggi come ieri la ruota idraulica e la sega sono mosse dalle acque del Rio dei Mulini. Posta all’imbocco della Val delle Seghe, fornisce ancora tavole di spessore variabile comprese le molvene, alte dieci centimetri, commercializzate principalmente a Riva del Garda e nei centri della pianura.

Il parco faunistico di Spormaggiore offre la possibilità di osservare da vicino e in sicurezza
Il parco faunistico di Spormaggiore offre la possibilità di osservare da vicino e in sicurezza

Molveno offre un’ottima base per dedicarsi alla scoperta del Parco Naturale Adamello Brenta, un’area protetta estesa oltre 620 chilometri quadrati che abbraccia un angolo delle Alpi Retiche straordinariamente toccando la Val Rendena, le Giudicarie, la Val di Sole e la Val di Non. Montagne e paesaggi eterogenei, compresi tra i 3.558 metri della Cima Presanella e i 477 di Acqua Santa a Spormaggiore. In quest’ultimo borgo si trova il centro visitatori dedicato all’orso bruno, simbolo del parco.

Allestimenti multimediali consentono di scoprire le abitudini e le curiosità del plan­tigrado, reintrodotto in Trentino per evitarne l’estinzione. Una decina di esemplari sono stati rilasciati tra il 1999 e il 2002, e oggi se ne contano una cinquantina. Fra loro c’era anche la tristemente celebre Daniza, una femmina proveniente dalla Slovenia introdotta nel parco nel 2000: nell’agosto 2014, dopo l’aggressione a un cercatore di fun­ghi, è stata uccisa da un eccesso di narcotizzante durante un discusso tentativo di cattura.

Il parco faunistico di Spormaggiore,  alcuni esemplari di orso bruno e di lupo che vivono in condizioni di semilibertà
Il parco faunistico di Spormaggiore, alcuni esemplari di orso bruno e di lupo che vivono in condizioni di semilibertà

Godono di buona salute gli animali del vicino parco faunistico: il lupo, la volpe, la lince, il gatto selvatico e ancora l’orso bruno, provenienti da giardini zoologici o da strutture e persino da privati ritenuti inadeguati alla loro custodia. In particolare la sera, quando i turisti lasciano l’area protetta, è più facile avvistare gli orsi. Il più vecchio si chiama Bel, diminutivo di Belfort, il castello del paese voluto da Enrico conte di Tirolo. Secondo la leggenda, tra le mura del maniero si nasconderebbe un forziere stracolmo d’oro e di gemme preziose. Nessuno sa dove trovi né si azzarda a scovarlo: a contenderlo ci sarebbe il fantasma di un castellano, vestito di nero e armato di lunga sciabola.

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