La via delle erbe

Dal Sacro Speco di San Benedetto all'Abbazia di Valvisciolo passando per Trisulti, Casamari, Montecassino e Fossanova: tra Roma, Frosinone e Latina, un itinerario alla scoperta di medicamenti, creme ed elisir creati e prodotti dai monaci.

Indice dell'itinerario

Quella vasta porzione di Lazio che si estende a sud-est di Roma, includendo una parte delle province di Frosinone e di Latina, è particolarmente ricca di testimonianze del passaggio dei pellegrini che dal V secolo in poi hanno ricalcato le orme di San Benedetto. Lungo questi itinerari sono sorte diverse abbazie che devono la loro fama non solo alla bellezza architettonica o ai tesori d’arte che vi si conservano, ma anche all’antica sapienza botanica dei monaci: una specializzazione che qui, grazie all’eccellenza naturalistica dei Monti Ernici, da sempre gode di particolare sviluppo. La catena che si allunga fra i comuni prenestini e la valle del Liri, con Fiuggi a segnarne il centro ideale, è infatti l’habitat di circa 1.200 specie di erbe in una fascia altimetrica compresa tra i 200 e i 2.100 metri di quota.

I pregi di tale enorme patrimonio sono noti da secoli ai religiosi, che realizzavano infusi, unguenti e sciroppi per la cura di disturbi e malattie di confratelli e viandanti. Verso il tramonto, i vecchi monaci si inerpicavano sulle colline facendo ritorno con le ceste piene di erbe, foglie, radici e bacche, per poi chiudersi nei laboratori dove, tra mortai, filtri, alambicchi e fornelli, creavano i medicamenti; erano in genere aiutati da un monaco più giovane, al quale affidavano nel tempo i segreti delle loro ricette e formule prodigiose. Ben presto presero anche a coltivare in un angolo della clausura le piante particolarmente curative: fu così che nacque il cosiddetto botanicum herbarium, conosciuto pure come Orto dei Semplici. Dopo l’essiccazione in un ambiente ben aerato le erbe venivano poste nell’armarium pigmentariorum, un armadio dalla robusta struttura che non lasciava filtrare aria e luce e che manteneva inalterate le proprietà terapeutiche.

Il primo museo delle erbe di Collebardo
Il primo museo delle erbe di Collebardo

In seguito i monaci divennero anche ottimi liquoristi, attività che nei primi tempi era strettamente legata a quella farmaceutica perché anche i prodotti che richiedevano l’uso dell’alcool erano finalizzati alla cura delle malattie. Solo più tardi si pensò di apportare qualche ritocco al gusto e al sapore dei preparati per renderli più gradevoli.
Oggi in molti dei monasteri e delle abbazie del nostro itinerario si possono acquistare prodotti realizzati localmente ma anche di congregazioni e ordini diversi, come le erbe per infusi e decotti provenienti dall’Italia nord-orientale, le creme antisettiche alla propoli dei Benedettini di Praglia, lo squisito cioccolato dei Trappisti delle Tre Fontane, le marmellate delle monache cistercensi di Vitorchiano. Una volta i monaci confezionavano da sé bottiglie, ampolle, vasi e vasetti: con le più recenti norme legislative in materia di igiene alimentare si è dovuto far ricorso alle industrie specializzate mantenendo tuttavia il rispetto delle tradizioni, come ad esempio la classica forma a fiaschetto delle bottiglie di elisir di Casamari.

Piante officinali al museo di Collepardo
Piante officinali al museo di Collepardo

 

Subiaco

L'ampia vista sul monastero di Santa Scolastica e sulla piana di Subiaco
L’ampia vista sul monastero di Santa Scolastica e sulla piana di Subiaco

Il nostro itinerario inizia a Subiaco, dove San Benedetto si ritirò all’inizio del VI secolo in una grotta nei pressi della villa di Nerone, dove ora sorgono il monastero del Sacro Speco e, 2 chilometri più in basso, quello di Santa Scolastica. Già in questa prima tappa l’assortimento di prodotti da acquistare è assai vario: oltre a quelli della “farmacia delle api” (miele, pappa reale, polline, propoli) troviamo ad esempio tisane, pomate curative, creme cosmetiche e saponi di vario tipo, come pure tonici e liquori, molti dei quali portano il nome del frate che ne ha creato la ricetta.
Da Subiaco ci dirigiamo verso sud lungo la statale 411 e, superati gli altipiani di Arcinazzo e l’abitato di Guarcino, puntiamo verso la Certosa di Trisulti, situata a 800 metri di quota e immersa in uno dei paesaggi montani più caratteristici della Ciociaria, alle falde del Monte Rotonaria. Fondata nell’XI secolo, dopo un primo insediamento benedettino fu affidata nel 1204 ai certosini che l’hanno retta fino al 1945, quando sono subentrati i cistercensi. A parte la straordinaria visione d’insieme, la Certosa vale la visita per l’antica farmacia con i contenitori in cui si custodivano le erbe curative e le bottiglie nelle quali si conservava il veleno estratto dai serpenti, usato come componente di alcune medicine. Specialità di produzione locale sono otto liquori tra cui l’Alpestre, il Trisulti Brandy e le potenti Gocce Imperiali.

 

Abbazia di Casamari

Architetture dell'abbazia di Casamari, splendido esempio del gotico cistercense
Architetture dell’abbazia di Casamari, splendido esempio del gotico cistercense

Si scende ora a Veroli e qui giunti si imbocca la superstrada 214 che in breve conduce all’Abbazia di Casamari, edificata sulle rovine dell’antico municipio romano di Cereate Marianae. Questo complesso rappresenta uno dei pochi modelli ancora integri del gotico cistercense e dell’organizzazione spaziale prevista da Bernardo di Chiaravalle; la pianta è simile a quella dei monasteri francesi, mentre la facciata della chiesa presenta all’esterno un grandioso portico. Di vivo interesse la biblioteca e il museo-pinacoteca, dove sono custoditi reperti archeologici e dipinti di grande pregio. Dal paziente lavoro dei monaci di Casamari sono nati liquori raffinati quali il Rhum elaborato da Frate Eutimio Zannucoli, l’Elixir di San Bernardo al Rabarbaro di Frate Sante Palombi, il Rosolio Stomatico al Mandarino, il Rosolio al Caffè, la Sambuca all’Anice e il Millefiori Gran Casamari, ma anche medicinali quali lo Joduro di Ferro per cardiopatici e uricemici o la Ferrochina di Frate Bernardo Polsinelli per gli astenici e gli anemici.

 

Montecassino

L'abbazia di Montecassino, completamente ricostruita dopo la Seconda Guerra Mondiale, domina la città dall'alto della sua collina
L’abbazia di Montecassino, completamente ricostruita dopo la Seconda Guerra Mondiale, domina la città dall’alto della sua collina

Proseguendo verso Isola del Liri si incrocia la statale 82 che scende verso Montecassino. Non è necessario spendere troppe parole per quella che probabilmente è la più nota delle abbazie italiane: situata a oltre 500 metri di quota, sovrastante la città di Cassino, è un superbo esempio di metropoli del monachesimo occidentale. Edificata nel 529 da San Benedetto sui resti di un tempio di Apollo, ha patito quattro rovinose distruzioni nel corso dei secoli e un terribile bombardamento durante l’ultima guerra, dopo la quale è stata interamente ricostruita. Nella biblioteca è conservato il famoso Placito Cassinese, considerato il primo documento scritto in lingua volgare; di rilevante importanza anche il museo nel quale sono esposti preziosissimi codici miniati, pergamene e testi letterari che fecero di Montecassino un faro di civiltà per molti secoli, nonché alcune tracce della ricca farmacia ed erboristeria con vasi e maioliche di manifattura abruzzese del XVIII secolo.

 

Abbazia di Fossanova

L'abbazia di Fossanova è inserita in un pittoresco borghetto medioevale
L’abbazia di Fossanova è inserita in un pittoresco borghetto medioevale

Per raggiungere l’Abbazia di Fossanova si può ora imboccare la A1 per Frosinone oppure ripercorrere la 82 fino ad Arce e raggiungere il capoluogo della Ciociaria con la statale 6; da Frosinone imboccheremo poi la statale 156 in direzione di Latina fino al bivio di Roccasecca e Priverno, a poca distanza dal quale si trova l’abbazia, considerata il primo esempio di architettura gotico-cistercense in Italia insieme a Casamari. La durezza della regola imposta da Bernardo di Chiaravalle eliminò ogni orpello dalle chiese e abolì pitture e sculture: Fossanova, costruita sulle rovine di un convento benedettino, nacque dalla rigorosa applicazione di questi concetti, anche grazie alle prestazione di grandi monaci architetti, di ottimi carpentieri e di capaci maestri della pietra. Il complesso divenne cistercense nel 1135, la chiesa fu iniziata nel 1187 e Innocenzo III ne consacrò l’altare maggiore nel 1208.

 

Abbazia di Valvisciolo

Valvisciolo è uno dei complessi che legano la propria storia alla tradizione templare
Valvisciolo è uno dei complessi che legano la propria storia alla tradizione templare

Per la nostra ultima tappa, l’Abbazia di Valvisciolo, abbiamo di nuovo due possibilità: scendere da Priverno in direzione del Circeo fino all’incrocio con la statale 7 Appia e di qui proseguire verso Roma per poco più di 20 chilometri fino al bivio a destra per Sermoneta e il complesso monastico; oppure, sempre da Priverno, tornare sulla 156 e seguirla fino alla caratteristica cittadina di Sezze, da dove si risale in quota sulla provinciale verso Sermoneta e Norma. Secondo la tradizione Valvisciolo sarebbe stata fondata nell’VIII secolo da monaci basiliani e occupata dai Templari nel ‘200; quando il potente ordine venne sciolto, subentrarono i cistercensi. Una leggenda racconta che nel 1312, mentre veniva messo al rogo l’ultimo Gran Maestro templare, gli architravi delle chiese si spezzarono, e se qui si osserva con attenzione quello del portale principale si riesce a intravvedere una crepa. Altra curiosità probabilmente legata al mondo dei Templari è il rinvenimento, sull’intonaco originale del chiostro, del palindromo Sator Arepo Tenet Opera Rotas, che però non è disposto come d’uso in un quadrato bensì in cinque anelli concentrici, conservando tuttavia la lettura in ambo i sensi. Misteri a parte, anche in questo caso potremo fare una piccola scorta di liquori, cioccolato e prodotti curativi e cosmetici, prima di tornare a riprendere l’Autosole o le altre grandi direttrici stradali della zona per il rientro.

 

 

 

 

 

 

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