La via del santo

Il Passo del Gran San Bernardo deve il nome all'uomo che nel Mille vi fondò un ospizio per viandanti e pellegrini in viaggio tra Aosta e Martigny. Oggi, tra spettacoli di natura e testimonianze antiche di millenni, è uno degli accessi più godibili ai paesi d'oltralpe.

Indice dell'itinerario

Fu Giulio Cesare, tra il 58 e il 57 a.C., a far entrare nella storia il Passo del Gran San Bernardo. Quello che oggi è uno dei valichi preferiti dai turisti per recarsi in Svizzera o dirigersi sulle rotte dell’Europa nord-occidentale, duemila e più anni fa era afflitto dai pedaggi imposti ai commercianti che lo utilizzavano per attraversare le Alpi e ancor più dal brigantaggio: Cesare diede incarico a Sulpicio Galba di affrancare il Summus Poeninus, ma la decisa reazione dei Veragri costrinse Galba a ritirarsi (non senza aver incendiato il villaggio celtico di Octodurus, di ubicazione tuttora incerta). Più tardi l’imperatore Augusto mandò una legione a sottomettere il paese dei Salassi – l’odierna Valle d’Aosta – come premessa alla conquista del Vallese avvenuta nel secondo decennio dell’era cristiana.
Aosta era stata fondata come Augusta Praetoria nel 25 a.C. proprio dove il decumano, asse viario del fondovalle, incrociava il cardo, asse del percorso verso il Gran San Bernardo (in terra svizzera i Romani avrebbero invece fatto sorgere sotto l’imperatore Claudio, nel 47, quel Forum Claudii Vallesium di cui è erede l’odierna Martigny). I resti romani del capoluogo regionale sono cospicui e ben conservati, ed è molto probabile che ne abbiate un primo approccio transitando in camper – in direzione dell’ottima area attrezzata cittadina – davanti alla rotonda su cui si leva imponente l’Arco di Augusto. La duplice Porta Pretoria, risalente appunto alla fondazione romana, sarà invece il miglior inizio di una passeggiata nel centro storico, ricco anche di testimonianze medioevali tra le quali spicca la cattedrale con il complesso romanico-gotico di Sant’Orso, adiacente al Foro.
La sosta in città offre anche l’occasione di una piccola pausa prima di misurarsi con i quasi 2.000 metri di dislivello che la separano dal Gran San Bernardo. Chi proviene da altre regioni e già conosce Aosta, pochi chilometri prima potrà fruire di uno spedito collegamento che aggira l’abitato e si reimmette sulla statale 27 in direzione del valico.

Montagna agreste
Anche se i Romani vi avevano costruito un tracciato in buona parte rotabile, perché il passo fosse attraversato da una carrozzabile bisognò attendere il 1896 per la sezione svizzera e il 1905 per quella italiana. Nel 1964, con l’apertura del traforo tra quota 1.875 sul nostro versante e quota 1.918 su quello elvetico (oltre all’apprestamento di gallerie finestrate paravalanghe sulle lunghe bretelle di raccordo) il collegamento Aosta-Martigny è divenuto percorribile anche d’inverno. La percorribilità della strada di valico è invece rimasta abitualmente limitata al periodo che va dall’inizio di giugno all’inizio di ottobre: e nella bella stagione il turismo meno frettoloso predilige l’invitante strada panoramica, non fosse altro per le tariffe nient’affatto trascurabili del tunnel.
Oltre Aosta, dapprima si attraversano campagne coltivate a frutteto e vigneto, poi le abetaie, i verdi pascoli frequentati dalle mandrie e infine i vasti paesaggi di roccia appena macchiata dall’erba, sormontati da alte cime di cui la maggiore è il Grand Combin con il suo ghiacciaio. Si sfiorano i villaggi di Gignod, con la sua torre quadra, ed Étroubles, dove all’azienda turistica potrete procurarvi una nutrita lista di escursioni (anche guidate) a carattere storico, naturalistico ed etnografico, ad esempio quella che segue le tracce della Francigena: la famosa via dei pellegrini seguiva a volte itinerari alternativi che per ovvie ragioni orografiche si incontravano e si unificavano in prossimità dei valichi, come nel caso del Gran San Bernardo per il quale veniva sfruttato nel Medioevo l’antico tracciato romano.
Continuando la salita, a Saint-Oyen si noterà un’agreste dipendenza dell’Ospizio – che incontreremo poi al valico – al quale fu donata nel 1100 da Amedeo III di Savoia. Si tratta di Château Verdun, una cascina per approvvigionamento dell’edificio maggiore che svolge anche funzioni di casa d’accoglienza.Oltre Saint-Rhémy-en-Bosses, ultimo paese italiano prima della frontiera, si trova una piacevole situazione di sosta accanto a un alpeggio popolato da mucche valdostane. Più in alto la Cantine de Fonteinte, di origine romana, occupa nella solitudine della montagna una posizione dominante che permetteva il controllo militare o doganale di ampi spazi: un tempo, prima del telefono, vi si suonava una campana per avvisare il paese di viaggiatori in difficoltà, dimodoché i marroniers, montanari esperti del territorio, potessero partire in loro soccorso. Nella prima metà dell’Ottocento, inoltre, i giovani del paese erano esentati dal servizio militare purché facessero da guida fino all’Ospizio a chi ne aveva necessità. Più su – siamo intorno ai 1.700 metri di quota – per il nostro camper arriva anche il momento di inserire in qualche tratto la prima marcia.

Dèi, briganti e pellegrini
Tra la china italiana e quella elvetica si stende una zona pianeggiante con un profondo laghetto, l’Ospizio, alcuni alberghi e ristoranti, i due posti doganali; e tutt’intorno altre cime, ben più alte. Il nome di Pennine che è rimasto a quest’ampia partizione delle Alpi deriverebbe da quello del dio celtico Penn che risiedeva sulle montagne, com’era spesso per le divinità tra le quali anche il Giove latino; tanto che il passo fu chiamato Mont-Joux, trasposizione di un originario Mons Jovis. Anche i Romani ci videro dunque una giusta sede per onorare gli dèi, e proprio qui crearono il piccolo tempio di cui riconoscerete qualche resto nelle pietre squadrate e nei tagli della roccia alle spalle del monumento bronzeo a San Bernardo (che risale agli inizi del Novecento): gli archeologi vi stanno ancora lavorando, ma occorre fare i conti col fatto che ai ruderi si attinse ampiamente per la fabbrica dell’Ospizio. Proseguendo nella stessa direzione riuscirete a scoprire anche i segni scalpellati nella roccia della strada romana, che prima di passare accanto al tempio presentava un andamento a zigzag per superare l’asperità del monte. Gli otto mesi d’inverno, a queste altitudini che sfiorano i 2.500 metri, erano duri anche allora se non di più, e sono stati riconosciuti i resti di una mansio, un rifugio per i viandanti; militari, commercianti o semplici viaggiatori spesso lasciavano piccole targhe dedicatorie – oggi esposte nell’interessante museo storico e naturalistico dell’Ospizio – chiedendo appunto a Giove protezione e ausilio nel difficile attraversamento.
Il passo, del resto, è uno di quei luoghi in cui si sente soffiare il vento della storia d’Europa: come si suol dire, se queste pietre potessero parlare racconterebbero di re e papi, di Napoleone, di Federico Barbarossa, dello stesso Carlo Magno, ma anche delle scorrerie dei Saraceni, che passarono di qui per predare la Borgogna e per insediarsi nella valle del Rodano. In seguito gli africani vennero ricacciati ma la situazione del valico, insicuro come prima del possesso romano, non migliorò se non nell’XI secolo quando Umberto Biancamano, capostipite sabaudo, avendo combattuto in appoggio a Corrado II di Borgogna ne ottenne importanti concessioni territoriali.
Al valico si erge una statua in bronzo su un alto piedistallo: è l’effigie dell’uomo che verso il 1050 venne fin quassù a salvare i viandanti dagli assalti dei predoni e dalla morsa di ghiaccio, neve e nebbia, offrendo loro un piatto caldo e un tetto per la notte. Bernardo, fondatore dell’Ospizio, al di là di fantasiose leggende sarebbe stato un religioso di nobile famiglia aostana o savoiarda che, nella devota applicazione dei precetti evangelici dell’amore verso il prossimo, riuscì a rendere meno rischioso il transito del passo, in sostanza a riaprire una via che l’accezione popolare – in una tradizione di agguati e di avversità degli elementi – voleva governata da diaboliche presenze. L’ospizio fu dedicato a San Nicola e solo un secolo dopo prese il nome di San Bernardo; da allora venne ricostruito, ingrandito, restaurato più volte, conoscendo nei secoli fasi fortunate e di decadenza. Le forme attuali sono della prima metà dell’Ottocento mentre è di due secoli prima la chiesa, di un sobrio barocco piemontese.In camper è consentito parcheggiare subito prima della dogana italiana oppure dietro l’Ospizio (ma qui solo per qualche ora, purtroppo a causa di qualche irrimediabile villano); per una sosta di più lunga durata è possibile trovare spazio nell’area oltre il caseggiato. Tra le escursioni effettuabili dal passo, una di breve durata e moderato dislivello è quella ai tre laghetti di Fenêtre, interessanti anche panoramicamente (segnali bianco-rosso-bianco, circa un’ora e 40 minuti sola andata).

Le promesse di Napoleone
Oltre il Gran San Bernardo, la valle d’Entremont ha nel complesso un andamento più regolare rispetto al versante aostano. Nel discendere si incontrano le giovani acque della Dranse che, poco oltre lo sbocco del tunnel stradale, alimentano il lago artificiale dei Toules. Si arriva quindi a Bourg Saint Pierre, villaggio di origine medioevale formatosi attorno a un convento con ospizio del IX o X secolo; nell’abitato si trova un edificio nel quale vengono identificate le funzioni di ospitalità che il paese avrebbe continuato a svolgere molto più tardi. Murata all’esterno della chiesa, una colonna miliare della strada romana porta incisa – insieme al ventiquattresimo miglio dal Forum Claudium – una dedica all’imperatore Costantino figlio di Costanzo, nato per il bene della Repubblica , il che ci riporta agli inizi del IV secolo. Nel borgo sorge anche una casa dove si sarebbe fermato Napoleone il 20 maggio del 1800: e non è difficile immaginare che qui il Primo Console si sia risolto alla costruzione della strada del Sempione (avviata in quello stesso anno) dopo le difficoltà incontrate nella traversata di un Gran San Bernardo privo di strada e ancora innevato nel mese di maggio. Si trattava di prendere di sorpresa gli Austriaci, che mai si sarebbero aspettati di veder comparire i reggimenti francesi alle proprie spalle (e la vicenda avrebbe infatti avuto una vittoriosa conclusione nella storica battaglia di Marengo). Napoleone pretese la collaborazione degli abitanti di Bourg Saint Pierre per allestire in fretta una serie di custodie in legno dove alloggiare i cannoni da trainare a braccia sulla neve: senonché, si guardò bene dal remunerare la fatica dei montanari – come si era impegnato a fare – né produssero risultati le ripetute sollecitazioni. Il debito, insomma, non fu mai onorato finché, in anni relativamente recenti, François Mitterrand ritenne di aver dato conclusione alla vicenda con la medaglia oggi visibile nella bacheca comunale.
Orsières, paese ancor più antico, risalirebbe ai Romani e il nome latino Ursiores si riferirebbe agli orsi un tempo presenti in questa come in altre parti delle Alpi. Si entra nell’abitato attraverso una simpatica piazzetta dai balconi fioriti, nei cui paraggi si trovano la chiesa dal saldo campanile romanico e un vecchio ponte coperto sulla Dranse. Qui si trova anche il terminal ferroviario del Saint-Bernard-Express, che parte da Martigny e trova ad aspettarlo alla stazioncina un servizio di pullman pittorescamente dipinti, i quali raggiungono il valico a beneficio dei trekker.

Quadri di natura
A Martigny, il crocevia che conclude a nord la statale del passo, mancano ormai una quindicina di chilometri: ma poco prima di giungervi non si potrà mancare l’incontro con le splendide Gorges du Durnand. Attraversata Bovernier, girando a sinistra per Les Valettes e proseguendo per circa un chilometro sulla tortuosa strada per il lago di Champex, si incontra un rustico ristorante (fornito anche di camerata per escursionisti) dove è possibile parcheggiare: è appunto il locale a gestire, con tanto di porta a chiavistello, l’accesso ai canyon. Il torrente Durnand, prima di gettarsi nella Dranse, attraversa una ripida serie di anguste gole in cui il corso tumultuoso è scandito da 14 cascate. Lo spettacolo naturale, tra pareti di pietra che incidono la folta vegetazione del bosco, sarebbe praticamente inavvicinabile: ma già nel 1877 era stata realizzata una serie di camminamenti, passerelle e scalinate in legno ancorate alla roccia, rinnovate nel 1987. L’accorto uso del legno e il carattere non invasivo del percorso attrezzato permettono di assaporare con calma e in sicurezza, durante una camminata di un’ora, il fascino di questo ambiente. Per il ritorno ci si può servire di un normale sentiero battuto, ma noi abbiamo preferito ripercorrere la via dell’andata per godere una volta di più dell’impagabile vista delle spumeggianti. Al punto di partenza dell’escursione si arriva anche con la ferrovia Martigny-Orsières, scendendo a Bovarnier e camminando fino alle gole, o interamente a piedi sempre da Martigny, seguendo il percorso segnalato di circa 6 chilometri che inizia dalla frazione di Le Borgeaud.
Ed eccoci a Martigny, che fu centro amministrativo e commerciale dei Romani nella regione elvetica del Vallese. Cuore della città è la Place Centrale, dove troverete l’ufficio turistico; da qui inizia la trafficata Avenue de la Gâre che termina alla stazione. Alla periferia storica dell’abitato, superato il ponte coperto sulla Dranse, si può salire in un quarto d’ora allo strategico Château de la Bâtiaz, appartenuto a Pietro II di Savoia che alla metà del Duecento portò la sfida ai vescovi conti fin sotto le mura di Sion: il pieghevole disponibile al castello stesso (nel quale troverete anche un ristorante) descrive le antiche macchine da guerra esposte nel piazzale insieme alla ricostruzione di alcuni strumenti di tortura medioevali.
Ma la meta cittadina che da sola giustifica un viaggio è la Fondation Pierre Gianadda, un’istituzione espositiva situata nella parte di Martigny che si sviluppa in direzione del passo. Il clou degli eventi che vi si organizzano è la mostra che si tiene annualmente, dalla primavera all’autunno, con opere pittoriche concesse da grandi musei e importanti collezionisti mondiali (per il 2005, dal 17 giugno al 13 novembre, il tema è la grande pittura francese in prestito dal Museo Puskin di Mosca); altre temporanee, non di rado nello stesso periodo, sono dedicate ancora alla pittura, alla fotografia o ad altre mostre tematiche. Sono invece permanenti il museo con i numerosi reperti romani di Martigny, collegati alla storia e al ruolo della strada romana del Gran San Bernardo (l’anfiteatro e altri resti sono visibili negli immediati dintorni), la collezione Frank comprendente numerose opere da Cézanne a Ensor a Picasso, un museo dell’automobile con una quarantina di vetture tra le più antiche e rare – talvolta l’unico esemplare esistente – e tutte marcianti. Passando infine dalle arti figurative alla musica, un vasto salone ospita i maggiori concertisti e direttori d’orchestra per una stagione musicale che dura tutto l’anno. Intorno all’edificio una distensiva passeggiata ci farà scoprire, nel delizioso parco dotato di giardino d’inverno, un imperdibile museo en plein air delle opere dei maggiori scultori del nostro tempo, da Moore a César a Brancusi.
A coronare il tutto, i veicoli ricreazionali possono tranquillamente fermarsi anche per la notte in uno dei quattro parcheggi gratuiti appartenenti al complesso, segnatamente nel numero 1 che è stato anche attrezzato con camper service Eurorelais: una lezione di civiltà e di intelligenza che non richiede paragoni o commenti, e che conclude alla perfezione il nostro itinerario attraverso il Gran San Bernardo.

PleinAir 393 – aprile 2005

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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