La via dei monaci

Dal golfo di Genova alle soglie della Pianura Padana gli splendori autunnali guidano il nostro camper sull'antica e tormentata via degli emigranti stagionali; la stessa dei missionari di San Colombano che nel VII secolo risalirono in senso inverso la Val Trebbia.

Indice dell'itinerario

Parte da Recco, sul golfo di Genova, l’itinerario con cui intendiamo risalire l’Appennino Ligure per scendere poi a Bobbio, sulla strada verso Piacenza e il Po: un percorso accidentato oggi, figurarsi nei secoli passati. Fu infatti solo nella seconda metà dell’Ottocento che il completamento di una “carrettabile” rese obsoleta la ragnatela di sentieri su cui faticavano i muli, con le loro some da un quintale, e più ancora i semplici “spallaroli”. Il territorio è l’alta Val Trebbia degli emigranti stagionali che andavano d’inverno a guadagnarsi il pane in Lombardia, e dei contadini che scendevano giù al mare con i loro prodotti, le castagne o il carbone, per tornarne con vesciche d’animali riempite d’olio o di vino e con il sale indispensabile ai molti usi della vita quotidiana. Ma quella della Trebbia è anche la valle dei monaci di San Colombano che nel VII secolo abbandonavano Bobbio per far missione, moltiplicando celle e piccole comunità nell’Appennino e alla marina ligure. Nel diffondere più evolute forme di coltivazione della terra, o di costruzione in muratura, essi facevano cultura proprio come gli amanuensi che all’interno del monastero trascrivevano e restauravano per la posterità i preziosi codici degli scrittori classici, da Plauto a Cicerone. Sarà vero quanto sento dirmi, che fu Colombano a fondare una cella nella baia che un secolo più tardi avrebbe ospitato le spoglie dell’iberico San Fruttuoso? Chissà se arrivando a Bobbio troveremo qualche conferma.
Recco non ha più lo stile dei borghi litoranei da quando fu rifatto in anonime forme moderne, dopo la distruzione delle bombe alleate dirette sul ponte ferroviario. Ma se la ricostruzione fece scomparire del tutto i caratteri del pittoresco, ha lasciato oggi qualche possibilità in più a chi cerchi un posto per fermare il proprio mezzo. Per il resto, di Recco si ricordano la buona cucina, che si esprime anche nella fragrante focaccia col formaggio, e il mercatino d’antiquariato che si svolge ogni terza domenica del mese nella piazza del Comune. Ma prima di allontanarci in camper è opportuna una breve escursione a piedi, o con il minibus urbano, alla frazione di Megli sovrastante il paese. Di fronte a un modesto parcheggio si nasconde tra gli ulivi Nostra Signora delle Grazie, luogo di grande serenità. La chiesa possiede una cinquantina di pitture ex voto, la cui leggibilità non è certo favorita dai riflessi della lastra di vetro che li protegge: però il vero tesoro è una Madonna col Bambino, probabilmente di arte bizantina, portata dall’Oriente da un nobile crociato.

La via delle campane
La strada che da Recco risale il fondovalle e si addentra nel folto verde per salire alla soleggiata conca di Uscio, si potrebbe dire la via delle campane e degli orologi da torre, artigianato nato proprio qui nella prima metà dell’Ottocento. Oggi le aziende sono ridotte praticamente a due, quella dei Picasso ad Avegno che continua a produrre le sue campane, e quella dei Trebini a Uscio che insieme alle campane produce i classici orologi. I Trebini, discendenti anche di un’altra famosa famiglia di artigiani, i Terrile, contano di aprire presso la loro azienda un museo dell’orologio da torre, ma i tempi si prospettano lunghi. Intanto continuano a fondere o a riparare bronzi (fanno anche carillon di campane) e a montare su campanili e palazzi comunali i loro orologi d’altri tempi. Una passeggiata di tre chilometri, per una stradina pianeggiante favorevole anche alla bici e sempre a contatto col ridente ambiente naturale della collina ligure, porta alla frazioncina di Terrile, dove quell’artigianato esordì nel lontano 1824. Una curiosità: al suono delle campane si ricorse per secoli anche per chiamare a raccolta la gente del contado in casi d’emergenza, come l’approssimarsi di milizie ostili. Di ciò aveva fatto esperienza nel Quattrocento il capitano di ventura Nicolò Piccinino che, in una successiva operazione in terra di Liguria, si racconta escogitasse l’espediente di mandare nei paesi degli emissari per legare i batacchi delle campane, che restarono infatti mute al momento del bisogno.
Nel centro di Uscio ci attende il singolare incontro con due chiese affiancate. Quella di destra, la rara pieve romanica di Sant’Ambrogio, sfuggì per miracolo nel secolo scorso alla demolizione: doveva infatti lasciare il posto alla nuova chiesa, che si decise poi di spostare di pochi metri.

Oltre lo spartiacque
Attraverso Gattorna e l’appartato borgo di Boàsi eccoci al Passo della Scoffera, o meglio al tunnel che permette oggi di evitare il valico. Al di là della galleria siamo già in quel di Torriglia, sull’opposto versante montano, dove dal monte Prelà sgorgano le prime acque della Trebbia. Ciò vuol dire che si è passato lo spartiacque e benché in linea d’aria il mare disti appena una quindicina di chilometri, i percorsi naturali già portano ogni goccia a scorrere verso il Po.
Torriglia, a quasi ottocento metri, è il maggior centro e il più vivace di questa parte della montagna. Per arrivare all’ampio parcheggio, in grado di ospitare più camper, occorre svoltare sulla destra all’inizio dell’abitato. Schiettamente ligure nelle forme e nei colori caldi delle case, il borgo vede d’estate aumentare largamente il numero degli abitanti per le villeggiature dei genovesi; ciò accade d’altronde in molti degli sperduti villaggi, ripopolati uno o due mesi l’anno soprattutto da turismo di ritorno. Il fenomeno ha salvato dal totale deperimento paesini altrimenti abbandonati per emigrazione e per la generale rinuncia alle attività agricole. Intanto i castagneti sono spesso ridotti a bosco selvaggio, mentre la montagna “digerisce” i muretti a secco destinati una volta ad arginare i riporti di terra che rendevano coltivabili i ripidi declivi.
Qualcuno conoscerà il vecchio detto ligure “A bella de Turiggia tutti a voan e nisciun a piggia”, di significato intuitivo. Secondo una ricerca al proverbio avrebbe dato origine, nel Cinquecento, la favorita di uno dei Fieschi. Nel centro storico del paese, sotto la vecchia porta che dà su Piazza Fieschi, una pittura di fantasia presenta invece con nome e cognome le fattezze di quella che dovette essere l’ultima “bella di Torriglia”, nata nel 1818 e spentasi, nubile, nel 1902. Il paese ebbe un’abbazia fondata dai monaci di San Colombano (della quale non esiste più alcuna traccia) e un castello, di cui restano solo i ruderi, appartenuto appunto al ramo ligure dei Fieschi: qui sarebbe nato Gianluigi, ultimo del casato e protagonista a Genova nel 1547 della famosa congiura contro i Doria.
L’autunno è la stagione più adatta per apprezzare le magnifiche sfumature di cui si colorano i paesaggi dell’alta Val Trebbia. Da Torriglia, invece di tornare alla nazionale 45, prendiamo ora la panoramica strada secondaria che oltre Porto scende al lago del Brugneto, il cui sbarramento risale al 1959 e che fa oggi parte del Parco Regionale dell’Antola. Immerso tra boschi di faggi e castagni in particolare sul lato nord, sui versanti più soleggiati il Brugneto si circonda di cerri, frassini, carpini, oppure di prati. Un sentiero attrezzato di 13 chilometri ne permette il periplo completo partendo dai paraggi della diga, rotabile e dotata di un ampio piazzale che consente la sosta di qualsiasi mezzo. Ma bastano pochi chilometri di passeggiata per apprezzare la bellezza dell’ambiente. L’acqua del Brugneto può rendersi utile in due regioni perché secondo le esigenze stagionali viene indirizzata verso l’acquedotto genovese, di cui costituisce la maggiore risorsa idrica, oppure verso la Trebbia per contribuire all’irrigazione del Piacentino.
Come tutte le strade che da Torriglia in poi seguiremo fino a tornare sulla nazionale, quella in cui ci inoltriamo ora per salire a Propata è piuttosto stretta, ma in questa stagione per fortuna deserta. Appena più in alto delle case di Propata ci sono quelle di Caprile (quota 1000 metri), da cui parte il sentiero più interessante per l’ascesa ai 1597 metri dell’Antola, realizzabile in circa due ore e mezzo. Le segnalazioni sono costituite da due rombi e un triangolo gialli ma molto presto, a un bivio, del triangolo giallo si appropria il sentiero che lasciamo sulla sinistra. Pascoli e faggete si alternano finché un tratto più duro ci porta a raggiungere il crinale tra Val Trebbia e Val Borbera. Nei pressi, l’altura detta Monte Tre Croci rammenta un tragico episodio del secolo scorso: tre uomini, nel ritornare dall’emigrazione stagionale in pianura padana furono sorpresi in questo luogo da una tempesta di neve.
L’erbosa cima dell’Antola si raggiunge attraverso vari saliscendi che dischiudono ampie vedute quando si esce dal bosco: un panorama che spesso lascia scorgere tutta la cerchia occidentale delle Alpi, con la tozza sagoma del Monviso e quella del Bianco. Dalla sommità dell’Antola per rientrare a Caprile si può prendere il più ripido sentiero segnalato con un triangolo giallo.
Ripassati per Propata seguiamo ora, alle soglie dell’abitato, l’indicazione per Casa del Romano, verso alcuni dei più invitanti paesaggi della valle. La stradina è stretta ma, specie se non si incontrerà qualche auto, non presenta difficoltà per il nostro mezzo. Nel fogliame della faggeta ormai color tabacco irrompe talvolta la gialla fiammata di un acero. Casa del Romano, a quota 1400, è solo il nome della località dove si trova un albergo rustico con trattoria, che ben si presta alla sosta per un altro percorso di salita all’Antola: l’escursione si trasforma da questo lato in una lunga passeggiata di crinale, con una zona alquanto ripida solo nell’ultimo tratto. Nelle belle giornate d’inverno nulla di meglio che salirvi in un agevole quanto gratificante percorso di sci escursionistico.
Tra le colorate meraviglie del bosco autunnale la strada, sempre angusta, ci porta verso il fondovalle passando per l’aggraziato paesino di Fascia e quindi per Cassingheno, fino a toccare la Trebbia. Ma qui, prima di proseguire verso Bobbio, è il caso di risalire la nazionale per i pochi chilometri fino a Montebruno. L’abitato più antico è un gruppo di case alla soglia del vecchio ponte sul fiume, voluto dai Doria anche per accedere al santuario costruito sull’altra sponda alla fine del Quattrocento. Qui l’annesso ex monastero ospita un validissimo museo della cultura contadina dell’alta Val Trebbia. La costruzione del santuario fu determinata dal ritrovamento di una statua lignea della Madonna e dal miracolo accaduto a un giovane pastore muto, che riacquistò la parola dopo la celeste apparizione. Torriglia non digerì l’episodio e pretese la consegna della statua, tornata però a Montebruno per una tempesta di neve che accecava gli uomini incaricati del trasporto. Così l’ingenua tradizione: rimane il fatto che al di qua dello spartiacque il clima ha poco in comune con quello della Liguria costiera; tanto che – ci dicono a Montebruno – flagella talvolta i boschi il fenomeno della galaverna, un gelido collare di ghiaccio capace di schiantare con il suo peso i rami e gli stessi alberi

Frutti di bosco
A Montebruno ogni due di novembre si svolge una fiera del fungo cui accorrono rivenditori da molte località del Nord Italia. Ma lungo tutto il nostro itinerario chiunque ami raccogliere funghi e castagne (queste ultime protagoniste di numerose sagre di paese) avrà di che saziarsi. Le acque della Trebbia, almeno fino a Bobbio tra le più pulite del nostro paese, scorrono nel fondo di boscose pareti montane lasciando scarso spazio agli abitati. Ogni tanto qualche strada risale i fianchi della valle visitando borghi di poche case nascosti nel verde. Le possibilità di diversioni ed escursioni sono innumerevoli. Suggestiva la zona di Rovegno, che dal Medioevo in poi si giovò della risorsa di una miniera di rame. Il cospicuo paese di Ottone, che prima del Mille prese nome da un imperatore e che fu marchesato dei Doria, segna l’ingresso in Romagna. Nella parte alta del paese, il ben conservato castello quadrangolare dal quale il feudatario poteva controllare la valle e imporre dazi sui transiti, come quello del sale verso Piacenza.La strada con indicazione Zerba che si stacca sulla sinistra poco oltre Ottone, dopo aver sfiorato un campeggio sale lungamente tra i castagneti della Val Boreca, incontra lo sterrato per il compatto villaggio di Tartago, si porta sempre più in quota fino a toccare il piccolo comune. Alle anguste strade di montagna abbiamo fatto ormai l’abitudine! Ma più salivamo, più i monti al cui fondo scorre il torrente Boreca rivelavano un ampio paesaggio di eccezionale purezza, una massa verde priva di alterazioni apportate dall’uomo. Inoltrandoci verso la frazione di Vezimo, ecco laggiù, sull’altro lato della valle, il minuscolo nucleo di Belnome, quintessenza di solitario isolamento. Una passeggiata per sterrati e sentieri permette di raggiungere quest’ultimo villaggio, riallacciandosi quindi a Tartago e ritrovando infine la strada già percorsa. In un ambiente naturale tanto accattivante quanto povero di aree piane la difficoltà, in questa e altre occasioni, è quella di trovar dove lasciare il mezzo. Per i cinque chilometri dell’escursione al Vesima – con i suoi 1724 metri fra le maggiori elevazioni di questa parte dell’Appennino Ligure – una possibilità di cui profittare è il modesto spiazzo antistante la chiesa di Zerba, che si trova già sulla via del monte.

Giù le canoe!
Fra Marsaglia e Bobbio il corso della Trebbia, finora già molto suggestivo, ha creato uno dei più sorprendenti paesaggi fluviali italiani, quasi una sfida alla logica. La singolarità sta negli splendidi meandri di acque ancora veloci, che invertono la direzione anche di centottanta gradi nel magnifico ambiente naturale di un fondovalle roccioso e abbastanza angusto. In estate soavi e mutevoli spiaggette costituiscono un irresistibile invito per chi sia disposto ad affrontare le difficoltà di parcheggiare l’auto e di trovare un sentiero per scendere al fiume e nuotare nelle limpide acque. Ma per godere di questo tratto fluviale, privilegiati sono sicuramente i canoisti. Il suggerimento è di fermarsi a Marsaglia, dove una strada scende al greto offrendo buoni spazi per sostare anche con un camper. Qui si trova il centro sportivo Sports in Open Space (tel. 0523/934300, fax 0523/934311), dove è possibile prendere lezioni di canoa e rafting, noleggiare l?attrezzatura, o anche essere recuperati insieme allo scafo dopo aver pagaiato su una ventina di chilometri di corso. Il centro offre inoltre foresteria, ristorazione casareccia e la possibilità di usufruire dei servizi per gli ospiti in camper.
Nei pressi di Marsaglia ecco l’antico quanto microscopico villaggio di Brugnello, sulla cima di un’altura in una posizione da fiaba, con il suo campanile a picco sul fondovalle. Per arrivarci sono tre chilometri di stradina asfaltata, nemmeno a dirlo delle più strette, francamente sconsigliabile a un camper anche per la ridottissima possibilità di parcheggio. Ma la magica bellezza del luogo (le antiche case sono state correttamente restaurate) premierà la salita a piedi o in bici. Ulteriore alternativa è quella di una più lunga escursione da Bobbio (bivio a sinistra poco dopo le terme).
La Trebbia si distende ora in un ampio alveo e le alture si allargano a ventaglio: eccoci finalmente a Bobbio, in strategica posizione fra alta e bassa valle, cerniera fra montagna e dolci colline. Il monaco irlandese Colombano, fondatore del famoso monastero, nel 612 giunse dopo molte peripezie in un Nord Italia lacerato dall’eresia nestoriana che combatté vigorosamente. Intanto il sovrano longobardo Agilulfo gli concedeva i terreni su cui edificare il suo monastero. Ma la posizione attuale del complesso, entro la cerchia urbana, risale alla fine del IX secolo, mentre gli edifici hanno subito rifacimenti durati fino al Settecento. Tra i pochi elementi superstiti della costruzione originaria sono la torre campanaria della chiesa e una parte del chiostro. Di queste e delle altre cose da vedere in un abitato che mantiene un tranquillo e severo fascino d’altri tempi non è il caso di occuparci, perché ne darà minuziosamente conto ogni guida. La visita potrà essere completata con la salita di una dozzina di chilometri al Passo del Penice (ampio parcheggio) e una passeggiata alla cima, dominata da una chiesetta di antica origine. Per fermarsi a Bobbio d’estate una zona adatta, anche ombrosa, è l’area sterrata lungo la Trebbia a valle del vecchio Ponte Gobbo (altro monumento caratteristico della cittadina); in altre stagioni la scelta a nostro avviso migliore si sposta nel vasto parcheggio, illuminato, di Piazza Corgnate.

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