La valle che tremò

Visitare la Val Roveto, tra Sora e Avezzano, è come ritrovare una scatola di vecchie cartoline. Da ognuna affiorano luoghi ed episodi dimenticati: di storia, di fede, di dolore. Affiorano in particolare i ricordi di un catastrofico terremoto.

Indice dell'itinerario

Valle urbis veteris, ossia della città vecchia: così i Romani chiamarono questa stretta valle chiusa da alte e possenti montagne. E quale città? Molto probabilmente fu il municipio romano Antinum, l’attuale Civita d’Antino, che visiteremo in questo itinerario di scoperta. Perché di autentica scoperta si tratta: da secoli la Val Roveto è conosciuta come via di passaggio più che come luogo di sosta… E così le sue bellezze sono rimaste nascoste, quasi dimenticate da coloro che ancora oggi percorrono frettolosamente la superstrada Sora-Avezzano, a malapena sollevando lo sguardo verso le ardite rocce del Pizzo Deta o del Viglio, per gran parte dell’anno coperte di neve e autentico paradiso degli amanti delle escursioni. Se infatti dal versante laziale le vette degli Ernici e dei Cantari sono tutto sommato accessibili con relativa facilità, il versante che affaccia sulla Val Roveto è tutta un’altra storia: la salita è ripida, diretta, senza pause, ma molto più spettacolare…
Sull’altro versante vallivo, la massiccia catena della Serra Lunga non è da meno, sfiorando i 1.900 metri di quota, anche se appare molto più tranquilla e accessibile. Lo è infatti, come dimostrano gli eremi che vi furono edificati. Grazie alla sua particolare conformazione orografica, la Val Roveto è in grado di accontentare davvero tutti, anche coloro che di scarpinare tra roccia e neve non hanno poi tanta voglia. Splendidi paesini permettono infatti tranquille camminate formato famiglia, gli eremi sono a portata di mano, antiche chiesette e ruderi di paesi distrutti dal terremoto del 1915 permettono a tutti di vivere emozioni profonde.
E’ proprio il terremoto ad aver modificato profondamente la struttura del comprensorio. Il 13 gennaio, una scossa del decimo grado della scala Mercalli provocò, solo ad Avezzano, 10.700 vittime (il 95% della popolazione). Nella provincia de L’Aquila furono ben 32.000. Subito dopo la catastrofe, il governo adottò provvedimenti simili a quelli già presi nel 1908 per il sisma di Messina. In applicazione del Regio Decreto del 12 ottobre 1910, venne nominato un Commissario Civile con pieni poteri e si approvarono norme edilizie molto restrittive, che sarebbe stato impossibile rispettare in montagna. Per questo quasi tutti centri vennero ricostruiti in basso, nella piana del Liri: i vecchi abitati, abbandonati, caddero rapidamente in rovina, tranne essere poi recuperati in tempi recenti. Questo spiega perché la gran parte dei paesi della Val Roveto è divisa nelle due frazioni Bassa e Alta. Un discorso a parte merita poi la Riserva Naturale di Zompo lo Schioppo, autentico gioiello di cui PleinAir si è occupata in diverse occasioni (vedi nn. 285 e 350).

Balsorano
Il borgo di Balsorano Vecchio (il paese nuovo, a valle, è privo di particolari interessi) è dominato dallo splendido Castello Piccolomini, edificato nel 1470 su una preesistente struttura difensiva. Sembra sorgere direttamente dalla roccia, con la sua pianta irregolare e le eleganti torrette circolari che guardano verso la valle. Il suo aspetto attuale risale agli anni ’30, quando venne restaurato. Ma un altro richiamo della zona è lo spettacolare Santuario di Monte Sant’Angelo. Le prime notizie storiche risalgono al 1273, ma il grosso delle attuali strutture e degli affreschi vennero realizzati tra il XVIII e il XIX secolo.
Dalla piazzetta di Balsorano Vecchio, dov’è una fontana, si prosegue dritti sulla stradina in salita tra le case del borgo (ignorare la strada sulla destra che porta a Ridotti). A un primo bivio si prende a sinistra passando accanto al cimitero. La strada è piuttosto stretta ma piacevole. Al successivo bivio (dove arriva la strada proveniente dal paese nuovo) si prende la strada davanti a noi. Si passa accanto a una fontana e si prosegue fino a un terzo bivio (ci sono un piccolo casale in pietra e una grossa quercia), sfiorando una casa moderna. Dopo poco si trova l’indicazione del santuario, in corrispondenza di un altro fontanile. E’ consigliabile parcheggiare qui; la strada prosegue in salita e si trasforma presto in un fantastico, antico sentiero delimitato da muri a secco che porta al santuario in circa 40 minuti di cammino in forte pendenza.
Il complesso consiste in una struttura principale, con numerosi posti letto (utilizzati nel mese di maggio per alcune straordinarie celebrazioni), e nella grotta vera e propria, molto ampia e con tre suggestivi altari decorati. Nel piazzale antistante, panche e tavoli da picnic rendono ancora più piacevole la sosta.

San Vincenzo
Il comune di San Vincenzo Val Roveto comprende un centro principale e una serie di frazioni di discreto interesse. Purtroppo, gran parte di questi borghi hanno conosciuto uno sviluppo edilizio disordinato. Roccavivi, per esempio, è praticamente tutto composto da case nuove: il vecchio paese sorgeva più in alto, ma venne distrutto nel XVII secolo da una frana. Rimane in compenso il bel santuario di Santa Maria delle Grazie. Dal primo slargo che si incontra arrivando in paese, si svolta a sinistra lasciandosi a destra un bar pizzeria. Si passa accanto al giardino pubblico: poco dopo la strada diventa sterrata, attraversando un ambiente molto piacevole, con bei boschi e anche un piccolo corso d’acqua. Splendide le viste sul Pizzo Deta. Dopo circa 3 chilometri appare in alto il santuario: si giunge così a uno slargo con fontanile e tavoli da picnic, dove si parcheggia. Questo è un luogo ideale per la sosta, ammesso che non si abbiano problemi a percorrere la sterrata. Volendo, è ancora meglio arrivare fin qui a piedi direttamente dal paese. Dallo slargo, in altri 15 minuti si raggiunge il santuario che offre una vista grandiosa; nell’area antistante sono sistemati sentierini di raccordo e varie panche. Chi ama la bici da montagna troverà questo percorso facile e di grande soddisfazione.Tornati a valle, dirigiamoci verso il borgo di San Vincenzo Vecchio. Poco prima di arrivare alla piazzetta con la chiesa, una stretta stradina sulla sinistra sale tra le case fino a diventare sterrata: si parcheggia qui (i camper devono però arrestarsi prima, nella piazza del paese, a pochi minuti).
Seguendo il bel sentierino con notevoli panorami sul borgo di Morrea, si giunge in circa 15 minuti alla Madonna del Romitorio, piccolo santuario (appena restaurato anch’esso come tutti quelli della valle) con davanti un fontanile e tavoli da picnic. Volendo si può poi tornare indietro e raggiungere Morrea. Il borgo medioevale, in posizione affascinante su uno sperone di roccia, è purtroppo tenuto malissimo: il colpo d’occhio complessivo non corrisponde all’impressione che si ha poi girando per i vicoli dove imperano cemento, alluminio anodizzato e brutture varie…

Civita d’Antino
Del suo periodo romano Civita ha conservato numerose testimonianze, come le diverse epigrafi scolpite nella pietra calcarea o le mura ciclopiche, databili a un periodo tra il V e il III secolo a.C. (la più interessante è collocata nel piccolo giardino pubblico, dov’è anche un notevole belvedere sugli Ernici). Nonostante il terremoto del 1915, che rase al suolo gran parte del paese, conserva elementi architettonici di pregio come il bel palazzetto Ferrante, la medioevale Torre Colonna, le porte urbane tra cui Porta Flora, così chiamata in memoria di un vicino tempio dedicato alla dea della Primavera, e il cosiddetto Cimitero Vecchio, dove sono sepolti numerosi pittori danesi. Una storia questa che va raccontata. Nel 1883 Kristian Zahrtmann, quotato pittore danese, giunse a Civita d’Antino dove sperava di trovare volti interessanti, la luce e i colori giusti… Li trovò con tale abbondanza che finì per restare trent’anni, creando qui una vera e propria scuola e attirando numerosi altri artisti danesi. Di quegli ospiti, attualmente in paese rimane una sola opera, se si escludono gli affreschi realizzati nella casa che li ospitò e che non è visitabile.
Ma Civita ha un altro motivo di richiamo, l’Eremo di Santa Maria della Ritornata. Di antichissime origini, è edificato in un incavo della parete rocciosa e versa in condizioni non ottimali. I danni del tempo e tardivi restauri non proprio ben fatti hanno distrutto buona parte degli affreschi interni, ma non quelli, splendidi quanto sconosciuti dell’abside, dove si riconosce il Cristo con i dodici apostoli. Sull’altare è collocata un’icona della Madonna col Bambino, copia in stile naïf dell’originale, dipinta nel 1421 da un eremita: trasportata per ben tre volte in paese riapparve miracolosamente nell’eremo, finché le preghiere dei fedeli non la “convinsero” a fermarsi nella chiesa di Santo Stefano dove risiede dal 1790. E’ da quei prodigi che deriva il nome dell’eremo. Una benemerita associazione si occupa di raccogliere fondi per la sua salvaguardia: recandoci sul posto magari potremo dar loro una mano.
Per raggiungere l’eremo si parte dalla fontana (pregevole opera datata 1903), prendendo la strada che sale verso la montagna (indicazioni anche per il camping) e diviene in breve sterrata. Volendo si può iniziare a camminare fin dal paese (percorso totale 5,8 km). Una nota merita proprio il camping Colle d’Angelo: sarebbe perfettamentre funzionante, ma non c’è attualmente nessuno che intenda gestirlo. Perciò resta chiuso, nonostante sorga in una zona bellissima e tranquilla. La strada bianca sale per 4 chilometri fino al bivio, dove si parcheggia e si prosegue a piedi per 1,8 chilometri passando in mezzo a una faggeta secolare. Mozzafiato, all’arrivo, la vista sulla valle e i monti Ernici. Per visitare l’interno occorre ritirare le chiavi in paese, rivolgendosi al tabaccaio in piazza e chiedendo di Marcello Di Cesare (fonte preziosa di informazioni). Tornati al bivio, si può proseguire sulla sterrata fino al Passo della Forchetta Morrea, dove ci sono bei prati e da dove parte il sentiero per la Serra Lunga, molto panoramico e non faticoso.

Morino
Il paese nuovo è un anonimo insieme di case moderne, frequentato soprattutto in primavera e durante l’estate da coloro che si recano a visitare la già ricordata Riserva Naturale di Zompo lo Schioppo. Qui si trova anche il camping di riferimento della valle, aperto purtroppo solo nella bella stagione. Noi vi proponiamo un itinerario poco noto ma intrigante, che si percorre con poco sforzo: quello che conduce al vecchio abitato abbandonato dal 1915, i cui ruderi sono ben visibili sull’alto di una collina. L’abitato si sviluppò intorno al castello, noto fin dal XII secolo, a sua volta edificato probabilmente su un insediamento dei Marsi. Forse Morino Vecchia verrà inserito nel perimetro della Riserva di Zompo lo Schioppo e attrezzato per la visita.
Arrivando dalla superstrada, si supera il ponte sul fiume Liri e dopo due curve si trova un bivio sulla sinistra (indicazioni per la farmacia e il ristorante Il Postino); lo si imbocca e, superati gli impianti sportivi, si arriverà a una stradina bianca in netta salita, alla sinistra. Chi si sposta con mezzi di grandi dimensioni deve parcheggiare qui (o nei pressi del campo sportivo), chi si sposta in auto può accorciare la camminata seguendo la sterrata fino a un piccolo slargo in curva, dove si stacca un sentierino in salita sulla destra (tralasciare la strada ancora più a destra). Il sentiero passa in un fitto boschetto ceduo, quindi porta al vecchio cimitero: un luogo spettrale e affascinante al contempo. Si esce dal cancello sulla parte alta e proseguendo a sinistra si entra a Morino Vecchia, passando accanto a due casali. Uno slargo erboso con fontanile, nella bella stagione, potrebbe servire per campeggiare. A questo punto, per tracce di sentiero si può girare tra le vecchie case, fino alla chiesa con il suo alto campanile diruto. Ritorno per la stessa strada (circa un’ora in totale).

Capistrello e Canistro
Collocato a 739 metri di quota, Capistrello è l’ultimo comune della Val Roveto verso il Fucino. A quest’ultimo, il bel borgo di antiche case è legato per vicende storico-architettoniche: tra il 41 e il 52 d.C. infatti, per volere dell’imperatore Claudio, venne scavato l’emissario artificiale del lago Fucino.L’opera, grandiosa per l’epoca e tuttora stupefacente, non permise il prosciugamento del lago, risultato conseguito nel XIX secolo dai Torlonia che in gran parte riadattarono le gallerie di epoca romana. Oggi l’emissario scarica ancora acqua dal Fucino, creando uno spettacolo unico che vale la pena andare a visitare.
Dalla piazza centrale di Capistrello, nella parte vecchia del paese, subito dopo una fontana si trova l’indicazione Cunicoli di Claudio . La stradina scende verso il Liri, che qui scorre in una bella e verde gola attraversata dalla ferrovia Sora-Avezzano, vero capolavoro dell’ingegneria ottocentesca: inaugurata nel 1901, comprende 16 ponti e un’ardita galleria a spirale tra Cupone e Capistrello, realizzata per superare il notevole dislivello esistente tra le due stazioni. Poco dopo si attraversa un ponticello, vicino un’ampia grotta di scavo artificiale: sulla parete di roccia è dipinta una bella Madonna col Bambino, probabilmente di epoca medioevale. Sotto i nostri piedi sentiamo correre l’acqua dell’emissario, ma non la vediamo ancora. Più avanti, accanto a un edificio diruto, c’è un’area picnic con tavolo e panche: guardando in alto si scorgono le case del paese e, in basso, la cascata. Per dare un’occhiata da vicino a quest’ultima, dobbiamo scendere per un piccolo e disagevole sentierino alle rive del Liri, risalirle brevemente e arrivare al cospetto dell’alta volta in muratura da cui scaturisce. Questo luogo è veramente magico, nient’affatto disturbato dalla ferrovia che, grazie a due gallerie, passa praticamente sul fondo della gola. Disturbano invece, e molto, i numerosi rifiuti sparsi ovunque. Si ritorna per la stessa via (in tutto, circa 30 minuti).
Dirigiamoci ora a Canistro. Né il nucleo basso, edificato lungo la statale 82 realizzata dai Borboni e inaugurata nel 1844, né quello alto (panorami a parte) hanno particolari attrattive. Ma Canistro è conosciuto in buona parte dell’Italia centrale per la sua acqua minerale Santa Croce. A 850 metri di quota, infatti, si trovano le splendide sorgenti della Sponga. Per raggiungerle, occorre dirigersi verso Canistro Superiore: poco dopo il primo bivio a sinistra (per lo stabilimento e le terme), se ne trova un secondo con l’indicazione Parco Naturale La Sponga . Percorsi un paio di chilometri, già s’incontra la prima cascata che d’inverno appare decorata da splendide stalattiti di ghiaccio. Ancora altri due chilometri e si arriva al parco. Nella bella stagione l’ingresso è a pagamento. Vi si trovano aree da picnic con bracieri, un ristorante (con prodotti biologici e anche cucina vegetariana) e un agriturismo (per informazioni: Agriturismo Rio Sparto tel. 0863 977020). Ovviamente, d’inverno si può passeggiare molto più liberamente godendo il fascino della solitudine. Generalmente la strada resta sgombra dalla neve, ma sono sempre possibili eccezioni e bisogna comunque fare attenzione al ghiaccio. Nel parco sono compresi due limpidissimi laghetti artificiali e una piccola cascata, la sorgente vera e propria, che sgorga purissima dal suolo. Peccato solo che certe strutture siano francamente eccessive.

PleinAir 366 – gennaio 2003

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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