La valle che scroscia

All'estremità settentrionale dell'Ossola, la Val Formazza si dipana verso il confine svizzero offrendo una delle più belle attrazioni naturali del Piemonte, la cascata del Toce. E invitando il turista pleinair alle passeggiate di fine estate a piedi o in mountain bike, con base in campeggio oppure in sosta libera, mentre l'escursionista può contare su una fitta rete di rifugi.

Indice dell'itinerario

Lo spettacolo della cascata c’è ancora. A 1.700 metri di altitudine le acque spumeggianti del Toce precipitano da una bastionata di roccia scura, alta 140 metri e circondata da abeti e larici. La strada moderna e la vecchia mulattiera per i passi di San Giacomo e Gries permettono di ammirare il salto, mentre un sentiero che sale dalle case di Sotto la Frua conduce proprio ai suoi piedi.
Da due secoli questa è l’attrazione naturale più nota della Val Formazza, lo stretto solco alla testata della Val d’Ossola che incide le montagne a nord di Domodossola arrivando a sfiorare il confine svizzero. Ammirando il continuo rinnovarsi dei giochi vorticosi e spumeggianti delle acque che scintillano al sole precipitando a valle, il viaggiatore dimentica la fatica e le difficoltà del percorso annotò Horace-Bénédict de Saussure, lo scienziato svizzero promotore della prima ascensione del Monte Bianco, che visitò la Val Formazza nel 1777 e nel 1783. Erano gli anni della scoperta turistica delle Alpi, e la cascata divenne in breve una meta famosa. Nell’800 ne descrissero la bellezza, fra gli altri, Giosuè Carducci, il disegnatore inglese William Brockedon (amico del conte di Cavour) e l’alpinista milanese Riccardo Gerla, talmente appassionato di questi monti da essere soprannominato l’apostolo dell’Ossola . La frequentazione del luogo rimase tuttavia scarsa se negli ultimi anni del secolo il reverendo americano William Coolidge, profondo conoscitore delle Alpi, scriveva: Perché questa magnifica cascata non è per nulla conosciuta? .
Anche se la strada avrebbe raggiunto la zona solo sessant’anni più tardi, nel 1863 un imprenditore locale costruì proprio alla sommità del salto un albergo. Nel 1924, all’arrivo della carrozzabile, la struttura venne ampliata in stile déco su progetto dell’architetto Piero Portaluppi, ed è l’edificio – sia pure trasformato dall’uomo e danneggiato dal tempo – che si può osservare ancora oggi.

Tra pascoli e dighe
Ancora un centinaio d’anni fa, la Val Formazza non era solo una meta di vacanze. Se d’inverno l’innevamento e le valanghe la rendevano tra le meno visitate dell’arco alpino, d’estate le mulattiere dei passi di San Giacomo e di Gries erano percorse da viaggiatori e mercanti diretti in Svizzera. L’origine walser e il dialetto tedesco degli abitanti rendevano ancora più facili i contatti con le popolazioni delle valli dall’altra parte del confine. Sui pascoli, l’allevamento bovino era una risorsa importante. Turisti e alpinisti che iniziarono ad arrivare nella seconda metà dell’800 apprezzarono, insieme alla cascata del Toce, i grandi orizzonti di pascoli e le imponenti distese glaciali, a iniziare da quella del Sabbione. Guide locali cominciarono a portare gli scalatori sulle cime più elevate – il Blinnenhorn con i suoi 3.371 metri, la Punta del Sabbione con 3.183, la Punta d’Arbola con 3.235 – che offrivano panoramiche ascensioni sui ghiacciai senza le difficoltà e i pericoli del Monte Rosa, dell’Oberland e dei massicci tra Zermatt e Saas Fee. Il primo rifugio venne costruito nel 1927 sui pascoli del Piano dei Camosci dalla sezione CAI di Busto Arsizio.
A trasformare la Val Formazza è stato però il bisogno di energia da parte dei comuni delle quote più basse dell’Ossola e della pianura piemontese. La prima centrale elettrica, inaugurata nel 1911 a Rivasco, sfruttava l’acqua del Toce imbrigliata nei pressi delle case di Fondovalle. Dopo la Grande Guerra le acque dei laghi Castel, Nero e di Valtoggia furono a loro volta captate per alimentare le centrali di Sotto la Frua e di Valdo. Nel 1919 una diga creò il lago del Vannino, con una capacità di 9,5 milioni di metri cubi d’acqua; nel 1940 un’altra diga diede vita all’ancora più esteso lago di Morasco, 24 milioni di metri cubi, cancellando l’omonimo paese alla sommità della piana di Riale. Il lago più vasto e spettacolare di tutti, quello del Sabbione, con capacità massima di 49 milioni di metri cubi, fu riempito a partire dal 1953 provocando la rapida erosione del ghiacciaio dell’Hohsand.
A fare le spese di questa corsa all’oro idroelettrico, oltre alle case di Morasco, fu proprio la cascata del Toce, che la costruzione delle dighe privò progressivamente delle sue acque. Negli anni ’50 il fiume si ridusse a un rigagnolo e la cascata sparì, tanto che nel 1955 un accordo tra il Comune di Formazza e la società Edison ne stabilì l’apertura a scopi turistici nei giorni festivi dell’estate: un meccanismo che continua a funzionare anche oggi, sia pure con alcune modifiche, e che permette di ammirare il salto per tutta la bella stagione, solitamente dall’inizio di giugno agli ultimi giorni di settembre. Negli orari previsti una piccola folla di visitatori si accalca nel piazzale a monte della cascata, dandosi il cambio sulla passerella che offre uno sguardo dall’alto sulle acque. Vedute più ravvicinate sono offerte dal sentiero che collega il piazzale a Sotto la Frua dal quale, come detto, alcune diramazioni portano proprio alla base del salto, e che i mezzi pubblici consentono di percorrere anche solo in discesa.
Ma l’interesse di Formazza, la Pomat dei Walser, non si esaurisce nella cascata del Toce. Nel capoluogo e nelle sue frazioni si osservano solide abitazioni in legno analoghe a quelle di Macugnaga e di Alagna Valsesia (vedi anche servizio a pagina 56), mentre all’uscita dell’abitato la strada costeggia la Casa Forte, risalente al 1569, che ospita un piccolo museo etnografico ed è stata per secoli la residenza ufficiale dell’ammano, primo cittadino e giudice eletto dalla comunità di Formazza. In occasioni speciali si può invece ammirare il Walsertracht, l’abito tradizionale indossato dalle donne.Più in alto, oltre le ultime frazioncine, la valle offre emozioni assai varie. Ai pascoli, ai ghiaioni percorsi dai camosci, ai panorami e ai ghiacciai si affiancano i segni della presenza tradizionale dell’uomo, come le vecchie strade transalpine e gli alpeggi. A caratterizzare il paesaggio sono però i laghi artificiali, le dighe, le condotte che scendono verso la centrale di Cadarese (un altro bell’esempio di architettura degli anni ’20) insieme alle piccole funivie di servizio agli impianti. Sarebbe facile liquidare dighe e centrali come un semplice attentato all’ambiente, salvo rispondere a questa considerazione ricordando che di energia tutti abbiamo bisogno. Inquietanti a vederle dal basso, affascinanti se osservate da vicino, dighe e centrali idroelettriche sono d’altro canto una parte importante della storia dell’Italia moderna: arrivati nel secondo dopoguerra a coprire il 75% del fabbisogno nazionale, gli impianti di questo tipo sono oggi circa 2.000 (un quarto è gestito dall’Enel), forniscono il 15% dell’energia utilizzata in Italia e i tre quarti di quella prodotta da fonti rinnovabili.
I sentieri dell’alta Val Formazza consentono per l’appunto di osservare da vicino dighe, edifici di servizio e laghi; non a caso cinque di questi percorsi, segnalati da apposite tabelle, sono stati inseriti nella rete dei Sentieri dell’Energia promossa dall’Enel. Nei pressi delle dighe, vari edifici a suo tempo utilizzati per la costruzione degli impianti sono stati ceduti al Club Alpino Italiano, che li ha trasformati in rifugi. Questa rete di punti di appoggio rende più comode le escursioni nella zona e permette di organizzare traversate e brevi trekking. Tra le mete più classiche sono il Rifugio Margaroli, affacciato sul lago artificiale del Vannino, che si raggiunge dalla conca di Formazza sfruttando gli impianti di risalita di Sagersboden se aperti. Al Rifugio Maria Luisa, affacciato sul lago di Val Toggia, si arriva da Riale per la strada del Passo San Giacomo, che offre un bell’itinerario in mountain bike. Non è invece legato a laghi e centrali idroelettriche l’accogliente rifugio Zum Gorà ( in cima all’orrido ) realizzato in una casa walser del 1645 nella borgata di Salecchio Superiore, in una zona accessibile anche nella tarda primavera e in autunno.
La zona con più rifugi, però, è quella del lago del Sabbione. Il comodo sentiero che tocca il Rifugio Città di Busto (l’itinerario diretto, accanto al torrente, è franato e riservato a esperti) permette di raggiungere altri due rifugi, il Mores e il Somma Lombardo, affacciati su un magnifico panorama del lago e del ghiacciaio del Sabbione; al margine di quest’ultimo si trova la bella costruzione in pietra del Rifugio Claudio e Bruno, cui si arriva con un piacevole percorso a mezza costa ormai al di sopra delle dighe.
Chi ha pratica di alta montagna, da questa zona può mettersi in marcia per sfasciumi e facili ghiacciai verso il Blinnenhorn e la Punta del Sabbione. Gli altri possono fermarsi, per qualche ora o per una notte, nel luogo più alpestre e remoto della Val Formazza: invece del solito Club Alpino Italiano, ospita gli escursionisti l’associazione Operazione Mato Grosso, d’impronta salesiana, che investe in progetti di cooperazione nel Terzo Mondo i fondi ricavati dalla gestione dei rifugi. Anche camminando sulle montagne dell’Ossola si può compiere un gesto concreto di solidarietà.

PleinAir 434 – settembre 2008

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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