La valle di Pietra

Antiche tradizioni germaniche e archeologia industriale, borgate montane e natura intatta: il vasto territorio della Val d'Ossola e delle sue numerose valli laterali, che dal Lago Maggiore si spinge fino al Sempione e al confine con la Svizzera, riserva più di una sorpresa alle tranquille esplorazioni invernali.

Indice dell'itinerario

Incuneato fra i bastioni rocciosi delle Alpi svizzere, all’estremità settentrionale del Piemonte, il Toce (anzi la Toce, come dicono da queste parti) scava il suo corso attraverso le montagne disegnando la Val d’Ossola, nervatura centrale di un ampio bacino idrografico che comprende ben sette valli laterali. Molti ne conoscono il più antropizzato tratto meridionale, che da Domodossola scorre verso la foce nel Lago Maggiore, mentre l’alta valle è un recondito serbatoio di natura nel quale gli affluenti hanno tracciato gole e anfratti, corrugando il paesaggio in forme affascinanti. Solo più a monte, là dove sbucano le vette imbiancate, la luce può divertirsi a giocare con pianori, pascoli e piccoli specchi d’acqua.
Secolo dopo secolo, intere generazioni hanno lasciato questa terra difficile e dura per cercare lavoro nei paesi vicini, ma l’Ossola ha un cuore prezioso che batte all’unisono con il turismo di scoperta. E noi, risalendo il corso del fiume e addentrandoci nelle sue ramificazioni, andiamo a cercarne il meglio lungo un itinerario dai molteplici interessi.


Val d’Ossola
Lasciando la sponda del Lago Maggiore all’altezza di Verbania, iniziamo la visita dall’asse centrale del comprensorio raggiungendo in breve il paese di Candoglia. I fianchi della valle appaiono profondamente rosicchiati da antiche cave, ed ecco la prima sorpresa: è da qui che proviene il marmo del Duomo di Milano, nella veste gotica voluta da Gian Galeazzo Visconti nel 1387. Le cave sono ancora in attività perché questo materiale di grandissimo pregio (più raro perfino del marmo di Carrara) è oggi reso fragile dagli agenti atmosferici e dall’inquinamento metropolitano: centotrentacinque guglie, tremilaseicento statue e un numero ragguardevole di pinnacoli, torrette, doccioni, finestre e fregi necessitano di una continua e meticolosa opera di manutenzione e di restauro, tanto che la vena di Candoglia, larga una trentina di metri e profonda un chilometro, è dedicata esclusivamente alla Veneranda Fabbrica del Duomo. Grazie alle moderne tecnologie oggi lavorano solo cinque cavatori, mentre una trentina d’anni fa ce ne volevano dieci volte di più. A valle dell’area estrattiva, nel laboratorio, una ventina di ornatisti lavorano la pietra grezza per riprodurre esattamente le forme degli originali danneggiati. Ma non è questa l’unica ricchezza del suolo dell’Ossola: vi si estraggono infatti diciannove tipi di pietra, che vengono tagliati ed esportati in tutto il mondo. E’ invece solo un ricordo l’attività mineraria che ebbe inizio nella seconda metà del XVIII secolo presso Crodo, dove il Rio Alfenza confluisce nel Toce: nel 1766 fu scoperto un filone d’oro che venne sfruttato sino al 1941, quando risultò troppo esiguo per mantenere in attività gli impianti. Non si trattava certo della mitica Golden Rush nordamericana, ma la zona è ancora ricordata con il nome di Valle dell’Oro.
Se la terra è difficile da coltivare, come spesso accade nelle aree montane, l’Ossola è talmente generosa di corsi d’acqua che l’avvento dell’energia elettrica ha procurato una duratura fonte di prosperità. Sono quindici le dighe e altrettante le centrali che, oltre a fornire luce e corrente a migliaia di famiglie, hanno favorito un certo sviluppo grazie alla nascita dell’industria chimica, tuttora in attività, e della lavorazione dei metalli. Quest’ultima è ormai tramontata, ma ciò che rimane offre l’occasione di un’interessante sosta presso il villaggio dell’industria siderurgica Sisma a Villadossola, modello di quartiere operaio degli anni ’20. Fra le numerose centrali, quelle costruite per la Società Elettrica Conti fra il 1921 e il 1929 furono progettate dall’architetto Piero Portaluppi e brillano per eclettismo e originalità stilistica: a Crego, Valdo, Sottofrua, Crevoladossola e Caderese rivelano impronte neoclassiche e neobarocche, quasi fossero imponenti castelli fortificati, mentre quella di Verampio ha forme turrite che richiamano il Medioevo e la centrale di Crevola è in stile liberty orientaleggiante con torre a pagoda. Questi fantasiosi esempi di archeologia industriale vengono oggi valorizzati dall’Enel attraverso percorsi culturali e visite guidate.
Di questa subregione piemontese così strettamente legata alla Lombardia, Domodossola è il nodo culturale e amministrativo: crocevia delle valli ossolane, la città sfoggia un bel centro storico dal sapore medioevale con una piazza elegante e palazzi di rilievo. Tra gli avvenimenti storici di cui ancora oggi andar fieri non si può non citare la Repubblica Partigiana dell’Ossola: fra il 9 settembre e il 23 ottobre 1944 gli ossolani, dopo aver attaccato e sconfitto le milizie fasciste di stanza a Domodossola, diedero un importante esempio di autogoverno democratico di un piccolo territorio, creando una giunta provvisoria che resse per quarantaquattro giorni la cosiddetta zona libera favorendo il dialogo tra le diverse fazioni politiche. Il coraggioso esperimento finì però in un bagno di sangue, con la controffensiva nazifascista e la violenta repressione che fecero vittime anche tra la popolazione civile.


Valle Anzasca
Arrivando dall’autostrada o dalla stessa Val d’Ossola, è la prima valle laterale che si incontra sul versante ovest, percorsa dal torrente Anza. Patria dei Walser ossolani, la Valle Anzasca si spinge per una trentina di chilometri dalla piana del Toce, nei pressi di Piedimulera, fino ai piedi del Monte Rosa, dove una conca panoramica accoglie le frazioni del Comune di Macugnaga. La strada di fondovalle si presenta decisamente angusta nel primo tratto ma meglio praticabile più avanti, allargandosi notevolmente in prossimità del paese. Nel pieno della stagione la sosta dei camper non è consentita, almeno ufficialmente, ma la garbata presenza di pochi equipaggi viene tollerata, in particolare nello spiazzo adiacente agli impianti di risalita, senza contare la presenza di un campeggio aperto tutto l’anno che consente un soggiorno più tranquillo. Le abitazioni walser in legno di larice, con le tipiche rastrelliere sui balconi, sono un perfetto esempio di architettura che si integra con il paesaggio e si stagliano contro la parete orientale del Rosa, il solo massiccio dell’arco alpino che possa vantare ben nove vette sopra i 4.000 metri. Nel Dorf, l’antico villaggio, troviamo una bella chiesa in stile romanico-gotico (XIII-XVI secolo) e un tiglio vecchio di sette secoli che fu portato dai Walser come simbolo del legame della nuova comunità con la patria lontana: alto 20 metri, ne misura quasi 8 di circonferenza.


Valle Antrona
Attraversata dal torrente Onesca, la stretta Valle Antrona – nella quale è in progetto la creazione di un parco naturale – ha recuperato il manto boschivo che era scomparso nei secoli passati a causa del pesante sfruttamento del legname, finalizzato alla produzione di carbone per la lavorazione dei metalli ferrosi. Una bella strada di 16 chilometri, anche questa però da percorrere con cautela per le ridotte dimensioni della carreggiata, sale nell’ombra da Villadossola verso il soleggiato paesino di Cheggio (1.470 m), frazione di Antrona-Schieranco, da dove si possono ammirare le vette del Weissmies e del Pizzo d’Andolla che si riflettono nelle acque del lago artificiale Alpe di Cavalli. Qualche opportunità di sosta si trova all’ingresso del minuscolo abitato e in prossimità del bacino.
Se le quote alte si presentano ben irraggiate dal sole, così non è dalla metà di novembre agli inizi di febbraio per buona parte del primo tratto della valle, tanto che qualche anno fa l’amministrazione comunale di Viganella ha fatto installare, 600 metri più in alto, un grande specchio di metallo che riflette la luce solare sull’abitato. All’altezza di Antronapiana (908 m) la conca si biforca nella Val Loranco e nella Val Troncone che offrono – come molte altre località minori ossolane – eccellenti opportunità di escursioni in ogni stagione, alternando le pedule alle ciaspole.


Val Bognanco
Proseguendo verso nord giungiamo alla conca più vicina a Domodossola, la Val Bognanco, che differisce dalle prime due per la rapida salita a tornanti della parte sommitale. Il suo cuore è nella località Fonti, dove sgorgano le acque minerali depurative (scoperte da una pastorella nell’estate del 1863) del centro termale di Bognanco, raccomandate per diverse patologie. Qualche buona possibilità di sosta si può cercare in un paio di parcheggi lungo la strada principale, a meno di non scegliere il campeggio nella località periferica di La Gomba che, oltre alla bella stagione, apre per qualche settimana anche nel periodo invernale. Di grande interesse è la bolla Transiturus de hoc mundo, scoperta nell’archivio parrocchiale, unica copia esistente dell’epistola con cui il papa Urbano IV istituì la festività del Corpus Domini e che pare sia stata donata ai bognanchesi da Gregorio X in segno di gratitudine per la calorosa accoglienza ricevuta al suo passaggio nel 1275. Vale la pena visitare anche la parrocchiale di San Lorenzo, dove si conserva un’immagine della Madonna che nella parte inferiore riproduce il borgo di Domodossola sul finire del ‘600, oltre a dipinti del pittore valsesiano Lorenzo Peracino raffiguranti il Martirio di San Lorenzo e la Gloria tra i Santi del Paradiso.


Val Divedro
Ridiscesi nella valle principale, la statale 33 sale tortuosa verso i 2.006 metri del Passo del Sempione, attraversando per intero la Val Divedro ed entrando in Svizzera. Gli operai che costruirono questa strada militare per volere di Napoleone, all’inizio del XIX secolo, dovettero affrontare con il piccone il terreno franoso delle strette gole di Gondo, in cui spesso si incanala un forte e gelido vento: l’opera comportò il sacrificio di centinaia di lavoratori, che persero la vita in questo ambiente decisamente ostile. Nei mesi di clima migliore gli escursionisti possono percorrere i 35 chilometri del sentiero fatto lastricare nel 1630 sul tracciato dell’antica via romana dal barone svizzero Kaspar Stockalper, facoltoso commerciante di Brig che pochi anni dopo fece ricostruire un ospizio sulla base di un precedente ricovero duecentesco dei Cavalieri di Malta. Fu invece ancora Napoleone a volere l’Ospizio del Sempione, che dal 1831 fu retto dai canonici agostiniani del Gran San Bernardo e ancora oggi è abitato da quattro frati, incluso il priore Daniel Salzgeber. Le gallerie e i tornanti della strada che sale al colle persero la loro importanza solo nel 1906, quando venne inaugurato il traforo ferroviario che rese le Alpi più facili da attraversare.
Da Varzo, al centro della valle, si sale in Val Cairasca verso San Domenico, punto d’accesso al Parco Naturale Alpe Veglia Alpe Devero e agli impianti di risalita dell’Alpe Ciamporino.


Valle Antigorio, Val Devero e Val Formazza
A nord di Crevoladossola il bacino scavato dal Toce si restringe prendendo il nome di Valle Antigorio. Il primo paese che troviamo è Crodo, in cui sorgono gli stabilimenti delle celebri terme le cui acque sono benefiche per l’apparato digerente. Superato il paese di Baceno, si procede sino a Foppiano: da qui si parla di Val Formazza, il cui nome è mutuato dal piccolo centro che si trova pochi chilometri più in alto. Proseguendo sulla statale 659 raggiungiamo il pianoro di Canza e la cascata del Toce, con i suoi 143 metri di altezza e un fronte di 60 metri; al di sopra del salto c’è una vasta conca con le piste di fondo di Riale e di San Michele, mentre nel lago artificiale di Morasco (quando non è ghiacciato) si specchiano le vette del Corno di Ban. La splendida pista di Riale sarà presto sede del Centro di Preparazione Atletica in altura, ma in Val Formazza gli amanti della discesa trovano già impianti di risalita e una seggiovia per la famosa pista dei campioni, la Sagersboden, accanto alla quale è stato approntato anche uno snowpark. Chi ama la montagna più selvaggia può scegliere un itinerario scialpinistico, sempre facendo la dovuta attenzione alle condizioni del manto nevoso per non incappare in pericolose valanghe.
All’altezza di Baceno, a ovest della Val Formazza, si dirama la Valle di Devero. Dapprima angusta e ripida, la conca respira all’altezza dell’alpe e del lago omonimi, ascendendo fino alla punta d’Arbola. La luminosa Alpe Devero, d’inverno teatro di un bel tracciato fondistico, fa parte del già citato parco naturale creato nel 1978 e più volte ampliato.
Infine, i centri walser di Salecchio e Formazza svelano attraverso l’architettura e la struttura sociale la cultura di questo popolo di origine germanica, giunto dal Reno nell’VIII secolo, che abbiamo già incontrato all’inizio del nostro itinerario in Valle Anzasca.


Val Vigezzo
Giunti all’estremità settentrionale del nostro itinerario, è il momento di ridiscendere il corso del Toce per raggiungere le valli ossolane orientali. A Masera, poco prima di Domodossola, si imbocca la statale 337 che percorre la Val Vigezzo, dove una conca disseminata di abetaie accoglie gli abitati di Santa Maria Maggiore e Craveggia. Da questa zona furono in molti a emigrare, e alcuni fecero fortuna: a tutt’oggi sono numerosi coloro che risiedono e lavorano all’estero e che tornano solo per le vacanze. Tra i vigezzini più famosi ci sono i Mellerio (gioiellieri a Parigi dal 1613) e Giovanni Paolo Feminis, inventore dell’Acqua di Colonia che fu resa celebre in tutto il mondo da un altro vigezzino, Giovanni Maria Farina. In origine, le essenze vegetali di quest’aqua mirabilis dovevano avere una funzione curativa, ma con il tempo le dame che la utilizzavano cominciarono ad apprezzarne soprattutto il delicato profumo, potente arma di seduzione.
Accanto ai concittadini illustri, la maggior parte dei valligiani emigrati sono rimasti sconosciuti: si tratta degli spazzacamini. A Santa Maria Maggiore c’è un museo che li ricorda: erano ragazzini dati in affitto, per così dire, da famiglie poverissime che durante i mesi invernali non riuscivano a sfamare tante bocche. Ogni anno, all’inizio di settembre, la valle ne ricorda l’epopea con un raduno internazionale che richiama centinaia di questi acrobati dei tetti da tutto il continente.


Val Grande
Alle spalle degli eleganti palazzi medioevali di Vogogna, con la rocca e il castello che testimoniano un passato illustre, si trova una landa selvaggia dove la natura ha riguadagnato i suoi spazi. A dispetto del nome, la Val Grande è stretta alla quota di 700 metri fra i Corni di Nibbio e la Cima Pedum. Luogo di difficile accesso, con i suoi 200 ettari di estensione è l’area wilderness più estesa d’Italia, dove il recupero di un armonioso rapporto fra l’uomo e l’ambiente passa per la tutela di una zona in cui è stata abolita ogni forma d’insediamento, anche permanente. Dichiarata parco nazionale nel 1992, l’area aveva visto fiorire nell’800 l’industria del legno; si abbattevano foreste e risuonavano le voci dei boscaioli. Ora che la vegetazione ha riconquistato i pendii, pullulano giovani betulle e noccioli guardati in modo un po’ altezzoso da secolari castagni.
Con la bella stagione ci vogliono addirittura due giorni di cammino per arrivare alle Gole dell’Arca, un cuore nascosto dove passeggiare fra pozze d’acqua purissima e dirupi scoscesi; per gli escursionisti esperti la Cima Pedum e le altre vette che dominano la valle sono occasioni di grandi itinerari, al riparo dal traffico tipico di destinazioni alpine più note e certamente meno silenziose. Per chi invece è meno abituato ai trekking di un certo impegno, la valle resta comunque una meta privilegiata in ogni periodo dell’anno, offrendo un ampio novero di percorsi che si possono effettuare anche d’inverno con le racchette da neve. E dopo questo bagno di natura, chissà se riprendere la solita vita sarà più facile o più difficile.

Testo e foto di Andrea Alborno


PleinAir 461 – dicembre 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

________________________________________________________

Tutti gli itinerari, i weekend, i diari di viaggio li puoi leggere sulla rivista digitale da smartphone, tablet o PC. Per gli iscritti al PLEINAIRCLUB l’accesso alla rivista digitale è inclusa.

Con l’abbonamento a PleinAir (11 numeri cartacei) ricevi la rivista e gli inserti speciali comodamente a casa e risparmi!

photo gallery

dove sostare

tag itinerario

cerca altri itinerari

Scegli cosa cercare
Viaggi
Sosta
Eventi

condividi l'articolo

Facebook
WhatsApp

nuove idee di viaggio