La valle di Giotto

Da sempre una seconda casa per i fiorentini, una zona appartata e in gran parte sconosciuta per tutti gli altri. Ma la Valle del Mugello è ricca, animata e piena di cose interessanti. Insomma, la meta per un itinerario che non delude.

Indice dell'itinerario

Fra qualche anno i viaggiatori dei treni ad alta velocità, uscendo dalla lunga galleria fra Firenze e Bologna, alzeranno lo sguardo per godere pochi istanti di un panorama di prati, boschi, fattorie e borghi. Il Mugello ha protestato per la prepotenza di una linea ferroviaria che lo usa ma non vi fa fermata: il danno ambientale è però limitato, perché il tratto allo scoperto è molto breve.
Anche l’autostrada sfiora appena il Mugello nella sua parte più alta e selvaggia, dove non si vedono abitati ma solo qualche rocca. E’ un tratto pieno di curve, gallerie e traffico, così che la guida assorbe tutta l’attenzione; con la coda dell’occhio il viaggiatore può vedere profili di monti dai fianchi ripidi e boscosi, senza case né gente.
Il Mugello, invece, è natura e gente a formare una valle animata, piena di storia e di cose interessanti, con gli antichi borghi e le fabbriche moderne create appunto per la vicinanza all’autostrada: il pericolo di un nuovo tratto di autostrada che, per saltare la zona congestionata di Firenze, avrebbe dovuto percorrere tutto il Mugello lungo il fiume Sieve devastando completamente il fondovalle, è stato per fortuna scongiurato dalla resistenza dei mugellani e degli italiani più sensibili ai problemi dell’ambiente.
La valle scende da ovest a est, là dove l’Appennino, spina dorsale della penisola italiana, è più largo; per i grandi traffici nord-sud ciò significa un valico in più, ragione per rimanere per secoli un po’ appartata. Solo i fiorentini hanno sempre frequentato il Mugello, sin dai tempi di Lorenzo il Magnifico e del Poliziano; ora vi si recano per fuggire l’aria calda e pesante della città, in alternativa alla più lunga e affollata gita verso le spiagge tirreniche.
Di certo lo sviluppo ha cambiato il paesaggio, con la nascita di nuovi quartieri a servizio delle fabbriche; ma la cementificazione si ispessisce solo attorno ai centri principali di fondovalle a ovest, lato autostrada, lasciando libero il resto. Peccato solo che fabbriche e case non siano cresciute sugli infecondi ripiani alluvionali della valle (depositi di detriti della seconda e terza glaciazione), ma sul fondovalle, l’unica parte fertile: un’irrimediabile, definitiva e assurda perdita per l’agricoltura. Infatti terreni più in alto, dopo qualche tratto ad olivi, permettono solo di allevare un po’ di bestiame nelle radure, di raccogliere castagne e – con giudizio – la legna.
Si è creata una netta differenza tra i due lati della valle. In riva sinistra, la parte più soleggiata, dove sboccano le tante piccole valli ricche d’acqua che scendono da nord, sono sorti i paesi antichi, la strada (ora statale), la ferrovia, le nuove urbanizzazioni. La riva destra, servita da una strada provinciale fatta “a miccino” (in toscano significa in economia) e cioè molto stretta, è rimasta agricola: non s’incontrano paesi ma rari gruppetti di case e fattorie. A sud, sulla riva destra, qualche nucleo – come Barbiana – è nascosto tra le pieghe dei vasti fianchi del povero e quindi poco ospitale Monte Giovi. A nord, sulla riva sinistra, ci sono molti più abitati lungo le valli che offrono un percorso per attraversare l’Appennino; valichi trafficati da secoli, perché il confine sia attuale che antico della Toscana ruba all’Emilia un vasto territorio oltre lo spartiacque, con paesi come Marradi, Palazzuolo sul Senio, Fiorenzuola.
Uno stravolgimento del paesaggio originario (di epoca storica, s’intende) lo sta ora provocando la diga di Bilancino che blocca la Sieve, costringendo a spostare strade e abbandonare casali nella zona invasa dall’acqua (persi tre quarti del terreno agricolo del comune di Barberino); la domenica i fiorentini in gita si fermano a guardare se l’invaso cresce velocemente come crebbe il preventivo. E’ stata una diga disgraziata, appunto perché moltiplicata nei costi e nei tempi (15 anni!), e criticata perché contribuirà assai poco a evitare future piene dell’Arno (è troppo a monte, e racchiude un bacino imbrifero piccolo rispetto ai successivi 40 chilometri di corso della Sieve). Sarà comunque una grande riserva d’acqua: per Firenze e Prato, ma anche per lo stesso Mugello. Dal 1975 la popolazione non diminuisce più a causa dell’emigrazione: i mugellani sono ben felici di restare qui. E la zona è richiesta perché centrale rispetto all’Italia e perché abitata da lavoratori efficienti, eredi della tradizione artigianale toscana.

Seguire le frecce
Gli accessi alla valle sono quattro grandi strade da Firenze e altre quattro da Bologna, Faenza, Forlì, più l’Autosole. Si può cominciare un giro da Barberino di Mugello, uscita dell’autostrada; il paese antico, un nucleo centrale e palazzi cinquecenteschi attorno alla piazza triangolare (peculiarità toscana), si è allungato col tempo sui bordi della strada, l’antico e importante collegamento tra Firenze e Bologna. Appena fuori paese la badia di San Silvestro, rarità barocca; il restauro è dell’Ottocento (dicono le guide) e si vede, perché ne occorrerebbe un altro. Sulla trafficata direttrice nord-sud non potevano mancare, oltre a qualche fattoria fortificata (il raccolto era prezioso), i castelli e i conventi. Un castello ricostruito e residenziale, alto sul colle contornato da una cipressaia, si trova a Barberino.
Il castello di Cafaggiolo (commissionato da Cosimo il Grande nel 1451 all?architetto Michelozzi) è grande e bello, ma non è un castello. Il possente torrione quadrato, i beccatelli, i merli: tutta scena, un travestimento prestigioso. Ci si accorge dal grande portone, dalle finestre al primo piano e dagli enormi finestroni a pianoterra che non ha alcunché di militare, non difese, fossati e simili, non un indistruttibile roccioso bugnato, ma un muro a intonaco, ora scrostato, che non dà l’idea della forza; e poi la posizione, in basso sotto un boschetto. Infatti è una villa medicea, voluta per le vacanze estive della famiglia, quando, indiscussa padrona del territorio, non temeva assalti; prima i Medici dimoravano a Trebbio, a due chilometri, in un vero castello che dominava quel tratto di valle. I frati stavano anche lì vicino: Bosco ai Frati è un convento che conserva tra l’altro un crocifisso del Donatello nel piccolo museo. A Cafaggiolo i Medici potevano stare tranquilli, anche perché a meno di due chilometri, presso il paese di San Piero a Sieve, nel 1517 fu costruita la fortezza di San Martino. La quale non è un forte, ma un colle spianato in cima e fortificato: una costruzione immensa, disegnata dal Buontalenti. Il lato lungo – a occhio e croce – potrebbe essere di 300 metri; all’interno del perimetro altre robuste muraglie, caseggiati, camminamenti, sotterranei, rampe. San Piero è un paese lungo la strada, la vecchia e la nuova; nella pieve c’è uno splendido fonte battesimale dei Della Robbia, con finissimi rilievi. Borgo San Lorenzo è una città concentrica e quadrata; nella parte più antica (XIII secolo), delimitata da tratti di mura e porte, le strade s’incrociano ma non formano una vera piazza: la pieve, infatti, che è una chiesa enorme, sta nascosta tra i vicoli. Né, standoci vicino, si vede l’altissimo campanile di laterizi, irregolarmente esagonale, che nei primi anni del 1200 aveva funzione di torre di guardia sul contado. Se si prende la statale per Faenza, prima che inizi la vera salita verso le frescure appenniniche gradite ai villeggianti, verso Ronta e i boschi di castagni, a tre chilometri si vede la chiesa di San Giovanni Maggiore, molto grande per essere isolata in campagna, anch’essa con un altissimo campanile di forma ottagonale costruito nell?XI secolo.Tra Borgo San Lorenzo e Vicchio c’è il Mugello giottesco; sul torrente Ensa si trova il Ponte della Ragnaia, quello della leggenda riportata sulle scatole delle matite colorate Giotto. Il già affermato Maestro Cimabue che passeggia in campagna si ferma ammirato nel vedere come un pastorello disegna le sue pecore su una pietra liscia: visto, preso e portato a bottega a Firenze. Le greggi passano ancora, lente e brucanti. A Vespignano c’è la casa natale di Giotto che in origine doveva essere piccola e povera, trattandosi di un’abitazione di pastori: da maestro affermato, l’avrà sicuramente ingrandita; poi è stata ricostruita e adesso vi è il suo museo didattico. Il monumento al pittore è sulla piazzetta di Vicchio, paese posto su un rialzo, a forma di nave, che si salva dal traffico in quanto la statale lo evita. Senza monumento il secondo grande artista, nato proprio a Vicchio, il Beato Angelico; di sicuro non se la prese, era un fraticello poco avvezzo alle vanità mondane. Tutt’altro carattere l’iroso Benvenuto Cellini: la casa dello scultore fiorentino è nell’attuale Corso del Popolo, dove si trova anche il seicentesco l’oratorio della Misericordia; altre opere d’arte nel museo.
Dicomano, invece, è un paese di bivio e di mercato tutto da attraversare; lì si stacca la strada che porta verso la Romagna tramite il Passo del Muraglione, sotto il quale ci sono due paesi freschi tra il verde: San Godenzo e Castagno, che si chiama Castagno d’Andrea in onore del grande pittore ivi nato e detto appunto Andrea del Castagno (1421 – 1457). A Dicomano, sopra il paese, c’è la pieve di Santa Maria, originaria del XII secolo, con un massiccio campanile buono per la difesa; ha un bel chiostrino, aperto. Se non c’è la messa (domenica è alle 12) si chiede al gentile parroco di vedere l’interno: terrecotte di Giovanni della Robbia e Santi di Buglione, quadri di Santi di Tito e altri toscani dal XV al XVIII secolo.
La valle aperta, il Mugello, era finita già prima di Dicomano; ora si chiama Val di Sieve: rimane lo stretto solco scavato dal fiume, dritto a sud, aperto a un vento caldo. C’è stata una trasformazione nelle colture; le colline che si alzano ripide sui due lati con ulivi, cipressi e pievi, sono coltivate a vite: non è il Chianti geografico e classico, ma è zona di produzione Chianti doc e docg. Il paese che segue è Rufina, ha un nome celebre nell’enologia, mentre Villa di Poggio Reale, ospita il Museo del Vino e della Vite della Val di Sieve. Si vedono le viti e si immaginano enormi cantine piene di botti, visitabili nei giorni di manifestazioni. Il percorso si conclude a Pontassieve, cittadina piena di movimento, con un bel centro storico antico. Prende nome dal bel ponte snello e robusto, sempre lì da quando nel 1555 Cosimo de’ Medici lo fece costruire dall’Ammannati; i due grandi archi di mattoni si appoggiano su un filante pilone centrale in pietra bianca, duecento metri dopo, le acque della Sieve sfociano in Arno.

Sieve fresca e azzurra
“Arno ‘un cresce se Sieve ‘un mesce”. Se ci si ferma a Pontassieve, alla confluenza dei fiumi, si vede bene che quanto ad acqua ne mesce quasi più la Sieve; questo nonostante l’Arno fino a quel punto sia lungo il triplo, abbia un bacino grande il doppio e con montagne ben più alte. Dipende allora dai terreni che non trattengono, rendendo l’Arno un fiume torrentizio e anche più derubato con i prelievi. I monti, alti sui 1000 metri, che contornano il Mugello da tutti lati sono invece un po’ più saggi; l’acqua che piove sul manto boscoso l’assorbono nel terreno, la trattengono e la ributtano fuori bella limpida dalle sorgenti nella giusta misura. Così che il canto dell’acqua nella Sieve, pur lieve, non manca mai; quindi ci sono pesci, pescatori uomini e pescatori alati, aironi ad esempio. Stivaloni e giubbino, gli uomini lasciano sul letto di levigati ciottoli bianchi le loro borse, poi avanzano verso il centro del fiume fino ad avere l’acqua a mezza gamba; da lì lanciano la lunga canna tentando cavedani, carpe, scardole, pesci gatto, arborelle. In estate, quando sulle rive della Sieve il sole batte con forza, i pescatori si trasferiscono sugli affluenti, a maggior quota, piccoli e quindi quasi sempre coperti di vegetazione. Lì, prima dei centri abitati, le acque sono più fresche e pulite: si prendono anche le trote.
Un tempo con quell’acqua fluitava il legname e si azionavano le pale dei mulini; uno ancora in funzione è sull’affluente Ensa in località Madonna dei Tre Fiumi, a monte di Ronta, sulla statale per Faenza: è un mulino romanico a presa diretta (l’acqua sbatte sulle cucchiaie di legno). Dal 1882 lo conduce la famiglia Marcheri (tel. 055/8403051), ora alla quarta generazione: macina grano tenero, mais, castagne. Il vantaggio del mulino ad acqua è che la farina non si riscalda e non si perdono così le sostanze proteiche.
Il bel colore dell’acqua e l’assenza di cattivi odori rendono piacevole la sosta sulle rive della Sieve: è un “fiume da picnic” raro in Italia. Da tempo è delizia dei canoisti tranquilli che lo scendono da Cavallina (Barberino) a Pontassieve per 49 chilometri, con qualche tratto di terzo grado solo tra Dicomano e Rufina; adesso dipenderà dalla diga, che non dovrebbe far mai mancare l’acqua per quel viaggiare sportivo e avventuroso che è la discesa dei fiumi in canoa. Se piove è inevitabile che il fiume diventi fangoso, marrone; occorrono allora un paio di giorni perché ritorni azzurro. I canoisti fiorentini, passando in auto per Pontassieve, si fermano a guardare: se l’acqua copre tutto il letto roccioso deI fiume a valle del ponte mediceo, significa che la portata promette una buona discesa. I più animosi scelgono invece il torrente San Godenzo; ci si imbarca appena sotto l’omonimo paese e fino a Dicomano sono 10 chilometri tutti di terzo, con gole e scivoli.

Firenze in piccolo
Un compendio di toscanità. Dolci ondulazioni che si fanno collina e montagne dai boschi verdeggianti; case intonacate di chiaro, persiane verdi, tetti di coppi; palazzi e chiese di pietra serena, grigia o azzurrognola. Fondata dai Fiorentini a inizio ‘300, Scarperia ha l’orgoglio della piccola capitale del Mugello: qui risiedevano gli amministratori, vicari o podestà. E il Palazzo dei Vicari, chiamato anche Palazzo Pretorio, è la materializzazione dell’autorità; ha una torre che vigila dall’alto dei suoi 42 metri, una costruzione forte e merlata, ben più grande di quel che appare dalla piazza. La serie di magnifici stemmi dei governatori della regione, scolpiti in pietra o modellati e colorati in maiolica, danno il senso di un unico potere forte che continua nei secoli. Dentro il rettangolo delle mura, l’osservanza religiosa si materializza invece in più punti: la prepositurale, l’oratorio della Madonna di Piazza, l’oratorio della Madonna dei Terremoti.
Toscana è arte: si ritrovano nei monumenti cittadini le opere di artisti quali Arnolfo di Cambio, Benedetto da Maiano, il Ghirlandaio, Andrea della Robbia, Taddeo Gaddi, Mino da Fiesole; Giotto, invece, ad affrescare ci mandò gli allievi. Toscana è artigianato: specialità di Scarperia sono i coltelli grandi e piccoli, da caccia e da cucina, una tradizione di cinque secoli che continua accurata in alcune botteghe. Infine ci sono le feste, una anche con l’infiorata.
Il declivo dell’Appennino è formato da tante pieghe, con in fondo il rio. L’autodromo del Mugello è quindi un po’ nascosto in un avvallamento, un luogo a sé; non disturba troppo, se non è un giorno di gran folla. In cerca di tranquillità, ci si sposta di tre chilometri a nord-ovest, a Sant’Agata. E’ un piccolo borgo che prende il nome dalla grande pieve, la più antica della regione nelle forme originarie (XI secolo), a parte gli scavi della chiesa paleocristiana; l’interno è rimasto romanico, semplice e suggestivo, con un fonte battesimale a forma di ottagono, scolpito in un blocco di pietra serena. Il paese si snoda su una sola strada, da cui si distaccano vicoli per la campagna; in fondo, un museo riproduce l’antica vita di un borgo toscano, gli ambienti e i mestieri con figure anche animate di perfetto realismo.

Barbiana che non c’è
Un celebre luogo dello spirito, inteso come apostolato e come scienza, il cui nome è legato a un uomo discusso in vita (succede ai rinnovatori, ai pionieri in ogni campo), talvolta avversato dalle autorità (era fautore dell’obiezione di coscienza). Col tempo le sue tesi, che avevano entusiasmato i più progressisti, ha avuto grazie al loro grande valore una generale comprensione e un inizio di applicazione. Don Lorenzo Milani (1923 – 1967) capì la grande ingiustizia sociale creata dalla differenza d’istruzione. Capì l’insufficente azione della scuola che diventa discriminante già alle elementari, espellendo e perdendo (cioè condannando all’ignoranza, a un’incompletezza di umanità) una massa di bambini non in grado di seguire il ritmo cadenzato sulla capacità e gli interessi dei ragazzi di livello borghese. Il punto di partenza fu mettere in risalto le differenti condizioni di base dei ragazzi (ad esempio il rude linguaggio appreso in casa da un figlio di contadini rispetto al più vasto lessico parlato nella casa di un professionista). Don Milani non fu solo un illuminato pensatore: organizzò una scuoletta dove i figli dei contadini non erano bocciati e allontanati, ma aiutati a recuperare il ritardo di partenza con un’applicazione totale dell’insegnante. L’esperimento riuscì, perché studiando tutto il giorno, alternando le normali materie con argomenti più formativi per la vita, i ragazzi giunsero alla maturità, divennero uomini in senso completo, sicuri di sé. Giunsero anche pedagoghi e giornalisti da vari paesi del mondo per vedere come funzionava la straordinaria scuola di Don Milani, dove nessun ragazzo andava “sprecato”, cioè restava ignorante; giunsero anche i successi letterari (Lettera ad una professoressa). In pratica Don Milani fu il precursore della scuola a tempo pieno e di quella dell’obbligo (tutti devono essere portati a un livello di maturità che prepari alla vita adulta); nella sua scuola, già negli anni Cinquanta e Sessanta, i ragazzi leggevano i quotidiani e commentavano i fatti del giorno.Barbiana non è segnata sulla carta del TCI in scala 1:200.000 ed è tutto dire (la zona e la strada, mal disegnata, sono 2 centimetri sotto Vicchio); non c’è nemmeno sull’Annuario dei Comuni e delle frazioni, che pure elenca località senza abitanti e rifugi. Era una meta con Don Milani vivo e lo è anche ora che di lui è rimasto l’amore per i poveri, il mito e la tomba nel minuscolo cimitero. Barbiana non è quella apparsa nello sceneggiato in tv (con l’ottimo Sergio Castellitto), perché sarebbe stato troppo scomodo girare lassù. Barbiana non ha una strada larga perché non è nemmeno un paesino: è una chiesetta con la canonica, un paio di case addossate e qualche modesto cascinale sparso per una povera montagna. Solo andando ci si rende conto dell’isolamento sofferto in quei tempi. Ci si arriva da Vicchio o da Borgo San Lorenzo prendendo la strada che percorre la riva sinistra della Sieve. Da qui prima si sale, poi ci si inerpica (da quota 200 a 400) per uno stradello (unico accesso) che diventa sterrato e stretto, dove è difficile incrociare e impossibile fare manovre; dopo uno sperone si ridiscende un po’ per arrivare alla pieve (si manovra sul prato). Percorso sconsigliato ai camper e a tutti i veicoli nelle belle domeniche; meglio farsela a piedi, circa 4 chilometri, pensando ai ragazzi che a piedi salivano dai paesi vicini per frequentare la scuola di un maestro di vita.

PleinAir 327 – ottobre 1999

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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