La valle delle maschere

Da Moena a Canazei, il coloratissimo Carnevale della Val di Fassa è una delle più significative espressioni della cultura ladina ma anche lo spunto per visitare un comprensorio sciistico d'eccezione, con decine di chilometri di piste che formano il tracciato di un vero e proprio skitour.

Indice dell'itinerario

Con tre grandi balzi il Lachè si insinua tra la folla, rompe gli indugi e dà inizio al Carnevale fassano. Tra il gioioso raccoglimento del Natale e le lunghe penitenze della Quaresima si inserisce l’evento più atteso, spettacolare e scanzonato dell’anno: il Carnascèr, per dirla in ladino. La festa ha origini antichissime, decretava la fine dell’inverno e l’arrivo della bella stagione e, secondo la tradizione, aveva inizio il 16 gennaio, vigilia di Sant’Antonio Abate, quando i giovani scendevano per le strade e slegavano il Carnevale . Il Lachè, in giacca bianca adorna di un fiocco colorato e di addobbi vivaci per richiamare l’attenzione dei passanti, è l’ambasciatore dell’evento e il responsabile dello svolgimento della mascherèda. Al suo seguito arrivano i Marascòns, riuniti in gruppi di due o quattro: indossano pantaloni neri alla zuava, camicia e calzettoni bianchi, un’alta cintura di cuoio alla quale sono fissati dei campanacci di bronzo e portano una maschera lignea, la facèra, che reggono con la mano destra per salutare o per nascondere il volto. Sulle loro teste troneggia un copricapo adorno di mesacoudes, le penne della coda del gallo forcello, simbolo di forza e virilità.
Poi entra in scena il Bufòn, che ha il volto nascosto da un’appariscente maschera anch’essa in legno, con un lungo naso dal quale pende un ciondolo rosso, e indossa un grande cappello a forma di cono impreziosito da decine di nastri di raso giallo, azzurro, bianco, verde. E’ un personaggio bizzarro e imprevedibile, divertente ma temuto, soprattutto dalle ragazze in cerca di marito: avvista le sue vittime con il cucalònch (una sorta di cannocchiale), poi le colpisce con una bacchetta di legno detta stica. Le malcapitate devono subire anche le beffe della sua lingua irriverente che, senza alcun pudore, narra fatti e misfatti, difetti e debolezze, aneddoti piccanti e segreti di colei che è stata presa di mira. A volte il Bufòn avanza saltellando, altre piegato sulle ginocchia, e con voce alterata dichiara enfatico: «Ascoltate miei diletti, ascoltate giovinetti, delle donne le malizie, i difetti e le bruttezze!». A lui è consentito dire tutto e andare dappertutto: «Lerga, lerga che son pien de…, e se ence che son burt voi pa lerga dapertut» (Largo, largo che son pieno di…, e se anche sono brutto voglio largo dappertutto).
I Marascòns procedono con passo ritmato nel rumore dei campanacci. Poi è la volta delle Mèscres da Bel, sempre ben vestite ed eleganti, e delle Mèscres da Burt, figure più goffe in abiti decisamente modesti. A garantirne l’anonimato ci sono le facères di legno, tutte intagliate a mano da scultori locali come Feliciano Costa di Moena, detto Parolot, le cui opere si rifanno a figure tradizionali esposte al Museo Ladino di Vigo di Fassa o a vecchi disegni. «Ogni facèra – spiega Feliciano – è diversa perché rigorosamente intagliata e dipinta a mano con colori a olio. In genere preferisco usare il cirmolo, un legno leggero e robusto che ben si adatta ad essere portato anche per diverse ore. Modellato il ceppo con la scure, il legno si sagoma grossolanamente con gli scalpelli e poi si rifinisce con le sgorbie. Oltre alle classiche maschere del Carnevale ladino ne realizzo altre più fantasiose, grottesche, irriverenti o legate ai personaggi delle leggende fassane». A chi lo va a trovare nel suo laboratorio mostra come nasce una maschera e la sua ricca collezione, che comprende decine di esemplari. Dietro a un volto di legno si nascondono anche i Conscric, i giovanotti e le fanciulle che entro il 31 dicembre compiranno 18 anni. Fin dal mattino passano di vicolo in vicolo cantando e urlando l’anno di nascita, con indosso un grembiule blu e un cappellaccio nero ornato di fiori e di nastri. In questa occasione, ma anche ai balli o alle feste in genere, i ragazzi che avevano superato la visita militare potevano sfoggiare un copricapo abbellito da alcune penne di gallo forcello. A corroborare lo spirito e il corpo e a rendere ancora più coinvolgente l’atmosfera ci sono bibite a volontà, vin brûlé e gròstoi, gustosi riquadri di pasta fritta spolverati di zucchero a velo.
E così, tra una sfilata e l’altra, ecco arrivare il Martedì Grasso, quando le maschere scopano via il Carnevale . Dopo le ultime, scatenate esibizioni, giunge l’ora di ritirarsi e di spogliare i panni della festa: per un nuovo Carnascèr con i suoi mille colori, i suoi scherzi, i suoi protagonisti bisognerà attendere il prossimo anno.

PleinAir 426 – gennaio 2008

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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