La smarrita via

In camper e a piedi tra i pochi resti della Via Traiana, la strada che per mille anni spodestò l'Appia. Quasi un alibi per scoprire un angolo poco noto del Sannio, intorno a Benevento, e a Pietrelcina, il paese di Padre Pio.

Indice dell'itinerario

Tutti conoscono l’Appia, la strada che iniziata circa nel 300 a.C. collegò Roma con Benevento e quindi con Brindisi. Non altrettanto risaputo è che agli inizi del II secolo una nuova arteria tra Benevento e Brindisi spodestò la regina viarum. Non fu una semplice rettifica. Tenendosi nettamente più a nord e puntando decisamente verso Troia e l’Adriatico, la nuova strada abbreviava sensibilmente, di uno o due giorni, il percorso dell’Appia per Taranto. Voluta da quel saggio amministratore e forte soldato che fu l’imperatore Traiano, venne inaugurata nell’anno 109. Vi dice niente il fatto che immediatamente la città di Benevento (vedi PleinAir n. 345) offrì all’imperatore uno dei più grandiosi e ammirati fra gli archi romani? In realtà traffico e scambi determinati dalla nuova strada segnarono l’inizio del secolo più fortunato della Benevento romana. Ma quale il tracciato e cosa rimane oggi della Via Traiana, che per oltre mille anni sarebbe rimasta l’usuale collegamento del versante tirrenico con quello adriatico? Questo è il movente del nostro itinerario sannita, che prende le mosse proprio dall’arco di Benevento nel punto iniziale della strada fatta costruire dall’imperatore sua pecunia (è scritto sui cippi ritrovati), cioè di tasca propria. Ricordiamo per inciso che a Benevento da qualche tempo il Comune ha allestito un’area attrezzata provvista di cancello. La nostra direttrice è la 90 bis per Foggia, che alle prime ondulazioni collinari a nord-est di Benevento passa non lontano dal cosiddetto Ponte Valentino, ancora in uso fino ad alcuni anni fa. Poiché manca qualsiasi segnalazione, eccone le coordinate. Circa tre chilometri fuori città, un raccordo sulla destra sottopassa la nazionale e conduce a una piccola zona industriale. Di qui si riconoscono le tre grandi arcate di un ponte in laterizio con solidi basamenti in pietra da taglio. Il ponte, a schiena d’asino, consentiva alla Traiana di portarsi sulla sponda destra del Calore, dal cui corso si allontanava poi definitivamente per seguire per qualche chilometro la valle del torrente Tammaro. La strada romana risaliva quindi a mezza costa la fiancata destra della valle per passare sotto il paese di Paduli, di origine più tarda, che noi raggiungeremo però dalla parte opposta seguendo le indicazioni della 90 bis. Qui la costruzione più rilevante del paese è un palazzo baronale che mostra delicate decorazioni d’epoca barocca. Oggi è sede del Municipio e il suo parco adibito a giardino pubblico. Nei pressi, un centro storico maltrattato dai terremoti. Prendendo la strada che passa davanti al cimitero per poi restringersi, scegliamo di continuare a piedi sboccando poco dopo in una via di campagna attualmente asfaltata, con alcuni casolari tra i quali un rudere, popolarmente ricordato come la Taverna, lascia presumere l’antico percorso di transito che anche la vox populi riferisce alla Traiana.D’altra parte, l’andamento della via campagnola risulta coerente con l’esigenza per il percorso romano di salire a raccordarsi con il crinale nella località di Forum Novum, popolarmente tradotto Forno Nuovo. Qui, secondo qualche studioso, si sarebbe trovata la prima mansio della Traiana, dove al termine di una salita alquanto faticosa si poteva godere di una tranquilla sosta. Quanto al camperista che volesse egli pure fermarsi in questi luoghi – rinomati tra l’altro per la qualità dell’olio d’oliva – segnaliamo due possibilità: l’area di Paduli dove la domenica si fa mercato e lo spiazzo antistante il settecentesco convento della Madonna di Loreto, dove si venera una Madonna col Bambino imprevedibilmente scolpita da intagliatori in legno dell’Alto Adige. Continuando oltre il convento, vi ritroverete in breve sulla 90 bis.
Scavalcato il crinale, la Traiana scendeva presto in un altro fondovalle, quello del torrente Miscano, dove a valle dell’attuale paese di Buonalbergo si trovano con il ponte delle Chianche i resti più suggestivi dell’antica strada. Per raggiungerli, vi sconsigliamo dall’infilarvi con il mezzo nel viottolo sulla destra segnalato da una vecchia tabella. Continuate invece per la 90 bis lungo la parte bassa dell’abitato fino al Comune, un restaurato palazzo ducale del Settecento di fronte al quale potrete osservare il cippo del tredicesimo miglio della strada romana. Ora, retrocessi per qualche centinaio di metri, imboccate di fronte a una piccola chiesa la strada per Santa Maria della Macchia. Il piccolo santuario, in invidiabile posizione su uno sperone boscoso, possiede un parcheggio adatto anche al pernottamento. Nella chiesa, la Madonna bizantina in legno che sarebbe stata donata dal principe normanno Boemondo ci ricorda come la Traiana divenisse nel Medioevo via di transito delle Crociate e dei pellegrinaggi in Terrasanta. La Madonna della Macchia è il punto di partenza per la camminata di tre chilometri al ponte delle Chianche. Si tratta di proseguire oltre la deviazione al santuario per forse trecento metri fino a un quadrivio segnato da una casa sulla destra, dove scenderete per la stradetta sulla sinistra, seguendola per un paio di chilometri fino a un altro quadrivio dove prenderete il viottolo di sinistra (unico non asfaltato). Ancora cinquecento metri e vi apparirà il ponte con cui la Traiana superava il torrente Santo Spirito, affluente del Miscano. Vi si ritrova anche la classica pavimentazione delle strade romane. Un’arcata manca, certo, l’ultima mostra un improvvido tentativo di recupero, ma il sito deserto immerso nel verde e la cospicua struttura in mattoni che collega ormai un nulla a un altro nulla vi trasporterà davvero in altri tempi. Una curiosità: alcuni chilometri oltre il ponte delle Chianche il tracciato coincise con quello del Regio Tratturo Pescasseroli-Candela (circa 170 chilometri) che, sceso al fiume dalle quote di Casalbore, si separava in seguito dalla Traiana per continuare su una direttrice più meridionale. In proposito, da uno scritto del patrizio arianese Tommaso Vitale, che fu nel Settecento attento battitore del territorio, apprendiamo di una lapide traianea sul ponte delle Chianche rimossa nel 1713 e fatta segare in due parti dal barone del posto per scolpirvi sul retro la lista dei pedaggi per il passaggio del bestiame, da esporre come d’uso all’esterno delle taverne di tratturo. Ora, per restare ancora sul tema del tratturo, tornati al nostro camper rinunciamo a proseguire sulla nazionale e prendiamo invece la strada che conduce alla parte alta di Buonalbergo (buon piazzale di parcheggio nei pressi della Chiesa Madre) e, ancor più su, alla Taverna di Monte Chiodo. Ormai solitario e come abbandonato, il cospicuo edificio, plurisecolare relitto della vita di transumanza, meriterebbe miglior sorte. Si trova proprio sul tracciato del tratturo, qui trasformatosi nella stradina asfaltata che con breve tragitto in quota ci porterà al successivo paese di Casalbore evitando il giro vizioso della nazionale.
Molte delle notizie che abbiamo raccolto sulla Via Traiana le dobbiamo a una fortunata conversazione, al convento situato proprio dove l’ex tratturo entra in Casalbore, con un francescano molto informato sull’argomento e la cui disponibilità giungerà al punto da farci avere in fotocopia estratti dai testi della bibliografia di cui dispone, dal Settecento fino a oggi passando per Theodor Mommsen. Del Nobel tedesco, che pubblicò nella sua vita qualcosa come quarantamila pagine, padre Demetrio dell’Oglio ci sottolinea come le Inscriptiones regni Neapolitani latinae si basassero sulla sua indagine palmo a palmo di queste terre meridionali. La nostra sosta a Casalbore avrà però anche altri buoni motivi. Un sindaco determinato, cosciente dei valori storico-ambientali della zona, vi ha appena creato in un punto strategico una capace area attrezzata per v.r. che sostituisce precedenti punti di sosta del paese. Al riguardo, una funzione di stimolo è stata svolta da Michele Arancio, presidente del locale Traiano Camper Club (tel. 0825 849021 o 348 8025905) i cui soci provengono soprattutto dalle province di Avellino e Benevento ma che, per quanti gradiscono viaggi ed escursioni organizzate di gruppo, ha spesso fatto del paese la base di riferimento anche per camperisti di lontana provenienza. Il centro storico del paese si caratterizza per una salda torre di probabile periodo svevo adiacente all’antico Palazzo Caracciolo in attesa di restauro. Accanto ad esso passava il già visto Tratturo Reale e il bestiame trovava nei pressi uno dei suoi riposi , mentre i mandriani potevano bere un bicchiere nella taverna delle Tre Fontane (questa era tra i cespiti del feudatario) scomparsa da pochi anni. Gli anziani del posto riferiscono agli anni Sessanta il ricordo del passaggio in paese delle ultime greggi transumanti. Alla periferia di Casalbore si visita una grotta con doppio ingresso dedicata all’Arcangelo, uno dei tanti luoghi del culto micaelico fra Tirreno e Adriatico. Qualche chilometro a monte, in un ambiente rimboschito soprattutto a pini, alcuni mezzi possono trovare una piacevole zona picnic con fontana e servizi ai margini di un laghetto di riserva antincendio.Una stazione di posta
Per la strada che continua oltre l’area attrezzata scendiamo nuovamente sulla statale, avvicinando poco dopo ancora qualche documento della Traiana. Quasi di fronte al bivio sulla sinistra per la Malvizza e Castelfranco in Miscano, oltre un’ampia casa rustica, il sentiero che scende in dieci minuti al corso del Miscano conduce agli avanzi del ponte (un ennesimo ponte del Diavolo) eretto per superare l’affluente torrente della Ginestra. Tra sparsi resti del manufatto, un solo pilastro con accenni delle arcate si leva solitario su una bella base di pietre da taglio egregiamente sopravvissuta. Il rio doveva gonfiarsi talvolta in modo pauroso se una lapide trovata nel letto del corso d’acqua informa che, travolto il ponte già nel 117 dalla forza di una piena, se ne era cambiata l’ubicazione. A questo punto potremmo proseguire direttamente alla ricerca degli scavi di Equus Tuticus, su cui passava la Traiana, ma essendo da qualcuno indicata come punto di transito dell’antica via la contrada Malvizza, percorriamo per circa quattro chilometri la già notata strada di Castelfranco. Il quadrivio della Malvizza si segnala per l’edificio di un’antica taverna oggi sprangata e per la recente inaugurazione di una struttura agrituristica. Distanti non più di quattrocento metri dal quadrivio, le Bolle della Malvizza indicano un vulcanello di fango a superficie variabile con emissione di bolle gassose. Tra i campi a sud-est erano segnalati modesti avanzi di almeno un antico ponte sul Miscano che è difficile credere non appartenesse al tracciato della Traiana.
Benché la Malvizza non disti in linea d’aria da Equus Tuticus (in epoca cristiana Sant’Eleuterio) che tre chilometri, per raggiungere tali resti saremo costretti a tornare alla 90 bis per poi deviare, in tutto una quindicina di chilometri. Mancando qualsiasi indicazione stradale, e data l’alta scala della cartina del Mommsen, tocca fermarsi a domandare, con poco costrutto, in qualcuna delle rare abitazioni sulla strada deserta. Trovato finalmente il bivio, l’aiuto decisivo ci è fornito da un massaro con una semplice ricetta: continuare sempre finché non appaia un albero, un’unica quercia, gli scavi sono lì, a qualche distanza dalla strada. Che dire di Equus Tuticus, sulle cui ipotesi storiografiche non è qui l’occasione per diffondersi, ma dove si trovava una mansio, una stazione di posta importante della via romana? Una tettoia di lamiera ripara per fortuna ciò che è stato portato alla luce (che non è affatto poco) non sappiamo quanto tempo fa, però la recinzione è divelta e tutto appare come abbandonato, compresa una palina segnaletica abbattuta e piegata. Ci sarà pure una spiegazione ma non la conosciamo e preferiamo non esprimere commenti. Quanto alla Traiana, poco oltre entrava in Puglia, scendeva a Troia che allora si chiamava Aecae, mandava una deviazione verso Luceria e l’approdo di Sipontum, continuava a sud verso Egnatia e Brundisium. Per proseguire il nostro itinerario verso Castelfranco in Miscano, scegliamo di non tornare alla Malvizza, continuando invece per la strada asfaltata che ci ha portato a Equus Tuticus e che la carta mostra raggiungere in breve il paese. Ma ecco la delusione. Appena oltre un’isolata masseria agrituristica restaurata in sembianze alquanto disneyane, la via si restringe a uno sterrato in totale dissesto. Per scendere fino al ponte Bagnaturo sul Miscano e poi salire ai 760 metri di Castelfranco in Miscano saranno sette o otto chilometri guadagnati quasi a passo d’uomo, con varie soste per tirare il fiato. Perché insistere? Perché, al di là della difficoltà di inversione, paesaggi come questi (Veronelli li definiva di desolato splendore ) donano uno strano senso di spaesamento. Sono grandi spazi di nude colline tondeggianti, dove un albero solitario può diventare un protagonista, con qualche masseria i cui soli abitanti sembrano essere i cani che hanno rinunciato anche ad abbaiare all’intruso. Naturalmente, visto lo stato della strada, al lettore consigliamo caldamente di passare invece per la Malvizza. A Castelfranco andrebbe vista Santa Maria delle Grazie per la Madonna in arenaria del Quattrocento che si direbbe somigliare a una contadina, la pacchiana, dell’agro campano. Quanto a sapori genuini, andrebbe provato il caciocavallo di latte di pecora a lunga stagionatura che viene onorato da una sagra settembrina.
A questo punto una rotabile di crinale cambia le prospettive scoprendoci la valle del Fortore. E si continua in quota fino alla scenografica apparizione di Montefalcone Valfortore, 850 metri, del cui castello che ebbe ardita e strategica collocazione spunta soltanto qualche moncone di nessun interesse. E’ un tramonto di sole tiepido e i vecchi son tutti sulla piazzetta. Se stimolati, zampillano da soli racconti e leggende. Montefalcone si sarebbe trovato in origine in un altro posto che si chiama San Luca, ma le formiche avrebbero costretto gli abitanti a rifondare il paese nel sito attuale, sulla roccia. Uno si spinge a dire di averle anche viste, formiche lunghe mezzo dito. Del diritto di prelazione accampato anticamente dal signorotto del luogo sulle nuove maritate dubitano in pochi. Giungono anzi a indicare nome e cognome di uno che, travestitosi da donna ed entrato nel letto del prepotente, avrebbe posto termine all’usanza. Queste terre furono tra le più povere nel profondo Sud contadino dei feudi, vessato e incapace di ribellione o che quando si rivoltò fu per un disorganizzato fuoco di paglia. Ne converseremo più tardi col professor Cosimo Nardi, uno studioso del posto che tra altri scritti su vicende locali si è occupato anche della sommossa contadina che alla fine dell’ultima guerra infiammò Montefalcone nell’indifferenza della politica. L’amore per questa gente e questa terra ha spinto Nardi al lungo impegno di ricerca dei tremila oggetti che costituiscono oggi il Museo della Civiltà Contadina dell’Area del Fortore. Per visitarlo, troverete da fermare il camper nei paraggi della Madonna del Carmine, convento nella parte bassa del paese.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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