La regina del Prosecco

Al suo frizzante nettare Conegliano deve fama internazionale: ma questa splendida cittadina, dove il turista pleinair trova accoglienza in una comoda area attrezzata, è anche una meta privilegiata d'arte e di cultura e il fulcro di un percorso tematico fra gli ameni paesaggi collinari del Trevigiano.

Indice dell'itinerario

Una splendida posizione sulle ultime propaggini delle Prealpi davanti alla grande pianura veneta, su una terra ottima per piantarvi le viti: eppure i Romani, grandi cercatori di acque termali e di fondi per la viticoltura, non se ne accorsero. Conegliano vanta dunque origini tarde, e fu solo prima del Mille che i principi-vescovi di Belluno individuarono un erto colle ben difendibile per costruirvi un castello con lunga visuale sulla piana.
Nata come piazzaforte militare, la città fu disputata per secoli tra le piccole signorie che si spartivano il Veneto, con una breve parentesi da comune indipendente, finché nel 1388 si affermò definitivamente la potenza unificatrice della Repubblica di Venezia. A quel tempo, dal borgo alto che era la residenza del potere laico e religioso, l’abitato si era esteso nel pendio assolato e panoramico sul lato vallivo, tracciando a mezzacosta una cinta muraria. Una seconda fu delineata in fondo al declivio, dove dal ‘300 si era costituito il borgo dei mercanti; da questo lato la difesa fu poi rinforzata dai Veneziani con il Refosso, un canale congiungente i due piccoli fiumi, il Monticone ad est e il Rujo ad ovest, che scorrevano sui fianchi della collina.
Dietro lo scudo protettivo della Serenissima, Conegliano iniziò la trasformazione in strategico centro di commerci. Gli abitanti poterono esprimere la loro capacità imprenditoriale, il Refosso fu colmato e divenne il lungo spazio del mercato, oggi asse cittadino (Via Vittorio Emanuele e Via Mazzini) tangente al centro storico. Ma era piccola la medioevale città di Coneian, a forma di sottile falce di luna lunga 800 metri e poggiata al piede dei colli, con la convessità rivolta alla pianura che proprio da qui si fa piatta sino al mare. Dal lato della concavità subito inizia la salita del colle, mentre in alto domina il castello con intorno una minima città murata, il nucleo originale. Dalle due estremità della falce salgono le mura per congiungersi in cima: meglio conservate ad ovest, presentano tuttora alcune porte e torri (nel XVI secolo erano ben quarantuno) e sono affiancate da ripidi stradelli. La città antica, dunque, è un triangolo disteso sul colle, con l’abitato fitto alla base e il castello al vertice: il paesaggio urbano odierno si presenta denso del verde di orti, vigneti e alberature, poche ville e distinti edifici serviti da una strada che sale dolcemente a tornanti. Fuori dalle mura la piccola città in basso, con la pace assicurata da Venezia, si estende già dal ‘400.
Conegliano diviene infine molto grande, arrivando ad ampliarsi di ben venti volte fino al ‘900. L’espansione è avvenuta quasi esclusivamente in piano lungo il vecchio e il nuovo tracciato della statale Pontebbana che procede alla base dei colli, verso il fondovalle sulla strada che scende da nord e lungo la pianura a sud. Da qualunque parte si arrivi, per giungere al centro si deve quindi percorrere qualche chilometro di trafficata periferia, però mai brutta e asfissiante; il profilo del colle con il castello indica che si è nella giusta direzione. Oggi ci si trova di fronte una meta d’arte per il bel centro storico, minuscolo ma ricco di atmosfera, e il tessuto urbano compatto, un insieme di alto valore estetico creatosi dal ‘500 in poi e mantenutosi quasi intatto, comunque privo di stonature stilistiche. Eppure Conegliano fu coinvolta nella Grande Guerra, trovandosi pochi chilometri a nord del Montello e del Piave dove infuriarono per giorni le terribili battaglie che determinarono la vittoria dell’esercito italiano. Poteva diventare un mucchio di rovine, ma miracolosamente si salvò: i danni interessarono solo la periferia che dalla fine delle ostilità riprese un grandioso sviluppo, parallelo alla crescita imprenditoriale.
Il terreno delle alture ha una composizione fisico-chimica di straordinario valore; i pendii scendono da 500 a 50 metri di quota, ma in modo perlopiù lieve, così da prendere sole in abbondanza a prescindere dall’esposizione. Le Prealpi Bellunesi difendono la zona dal freddo del settentrione e la inumidiscono con numerosi piccoli ruscelli. Su questo suolo meraviglioso la coltura della vite, esercitata da secoli, è stata portata ad altissima perfezione con il Prosecco (di cui si detiene il record nazionale di esportazione), mentre la distillazione della grappa è l’altra proficua attività locale.
L’industria, dal canto suo, ha occupato per chilometri la piana di Conegliano, ma ciò nonostante la città ha conservato un armonioso rapporto con la collina pedemontana. Anzi, se si vuole arrivare o ripartire dal centro storico senza attraversare la periferia si possono usare le strade panoramiche che, scollinando o procedendo in fondovalle, collegano piacevolmente la città con Ogliano e Carpesica verso Vittorio Veneto, con Tarzo verso i laghi di Revine e con San Pietro di Feletto.

Il giro delle mura
Volendo dare alla visita della città un ordine cronologico, è giusto cominciare dalle mura che ne disegnarono la sagoma dal XII secolo, quando esisteva solo l’abitato fortificato sulla cima del colle. In seguito scesero a conglobare il borgo basso: se ne occuparono gli Scaligeri, poi la Repubblica di Venezia, quindi i Carraresi e infine di nuovo Venezia che dal 1420, signora dell’intera regione pacificata, fece perdere importanza alle mura, che iniziarono il loro declino.
Il percorso parte dal mezzo chilometro di salita per nulla faticosa che si dipana per stradine, cordonate e scale in un ambiente verde, silenzioso ed esteticamente appagante. Si prende ad est della Porta del Monticano, sul cui esterno non si notano le tracce della struttura difensiva col ponte levatoio perché l’attenzione è colpita da un enorme e minaccioso leone di San Marco, affrescato dal Pordenone con l’intento di dissuadere eventuali assalitori; di fianco sorge la Torre Carrarese. Si lascia subito a destra la Torre di Borgo Allocco mentre più su, lungo tratti di mura seminascoste dalla vegetazione, si arriva al Belvedere Dal Vera.
Verso il centro del colle, dove un tempo erano le mura tra borgo alto e basso, si alternano le viuzze fra i muretti delle belle proprietà e alcuni tratti sulla carrozzabile alberata, finché si giunge sotto Castelvecchio. Si accede al silenzioso piazzale dove si trova l’antica pieve di San Leonardo col campanile romanico ed edifici annessi, adesso oratorio di Sant’Orsola. Pochi gradini conducono al terrazzo sommitale su cui si alza il piccolo castello, quel che resta dell’imponente fortezza del ‘300. Nella ricostruita Torre della Campana è ospitato un piccolo museo, molto suggestivo per gli ambienti in parte arredati con mobili, armature e oggetti vari di epoca rinascimentale: consta di una sezione archeologica, con materiali soprattutto delle Età del Bronzo e del Ferro, e di una sezione artistica che comprende opere della scuola di Cima da Conegliano, affreschi provenienti da chiese del ‘400 e del ‘500 a firma di Giovanni di Francia e del Pordenone, dipinti ancora del ‘500 e ‘600 tra cui quelli di Palma il Giovane e dello Spagnoletto, nonché due bronzi del Giambologna e dello scultore trevigiano contemporaneo Arturo Martini. Infine un lapidario medioevale e raccolte di monete, armi, pesi e misure. Il bel quadro della vetta del colle si completa con la facciata di Villa Gera, sagoma di tempio classico, pronao con otto colonne e timpano, opera ottocentesca dello Jappelli che fu grande costruttore di giardini e ville d’influenza palladiana. Da qui, raggiunto il vertice, il giro delle mura continua in discesa toccando la porta di Ser Belle, l’oratorio della Madonna della Neve alla Porta della Castagnera, le Mura Carraresi e il grandioso ex convento restaurato di San Francesco, ora campus di formazione postuniversitaria. Siamo così tornati nel centro abitato e la discesa si conclude alle Torricelle Dante, erette nel 1865 in sostituzione della Porta Rujo per celebrare il poeta e l’italianità, un anno prima dell’attesa liberazione di Conegliano dal dominio dell’impero asburgico. Le mura continuano per poche decine di metri fino allo spigolo occidentale del triangolo formato dalla città antica, la cui base era difesa anche dal canale Refosso. Oggi al suo posto c’è una fascia continua di giardini che creano un piacevole spazio davanti alle facciate dei nobili palazzi, nei quali sono conglobati tratti di mura. Andando verso est si trovano una porta e due torri, concludendo così il giro perimetrale.

La Contrada Grande
Il borgo basso è costituito da una strada principale, la Contrada Grande, che forma un’ampia curva; nella zona centrale incontriamo due strade in salita da cui si dipartono, a quota più elevata, le cosiddette Rughe, parallele alla Contrada Grande. Si riprende il giro dalla Porta del Monticano e, dopo una piazzetta con oratorio e stradina che sale obliqua, inizia la caratteristica del tratto orientale della strada: un terrapieno acciottolato colma il dislivello fra i palazzi sul lato della pianura, a sinistra, e quelli sul lato della collina, a destra. Sfruttando il dislivello, i caffè hanno costruito una pedana come spazio all’aperto.
L’epoca degli edifici va dal Rinascimento al ‘700; alcuni conservano gli affreschi in facciata, come il cinquecentesco Palazzo del Monte di Pietà, altri hanno bugnati e decorazioni plastiche. In questa metà della Contrada Grande non ci sono traverse verso l’esterno (Via Mazzini è oltre le mura) o, per meglio dire, l’unico passaggio fu occupato nel ‘700 dal palazzo dei Montalban, la famiglia più ricca della città, lasciando cortesemente il diritto di transito pubblico attraverso l’androne che resta sempre aperto sui due lati. Poco oltre iniziano i portici, che danno un senso di leggerezza agli edifici e sono ideali per passeggiare con la pioggia e col troppo sole. Fra le case distinte appare sul lato sinistro Palazzo Sarcinelli, ora sede della biblioteca e scuola di musica; contiguo l’edificio più antico, la quattrocentesca Casa Longega, con pezzi di decorazione gotica in facciata, mentre all’angolo una traversa conduce alla Porta San Polo, un tempo l’unico accesso meridionale della città. Sul lato destro di Contrada Grande si fa invece notare il Palazzo Vecchio dei Montalban. Arriviamo così nell’antica piazza del mercato dedicata alla gloria locale, il pittore Cima da Conegliano, con il municipio del XVIII secolo. Il sito ha subito importanti modifiche nell’800: al centro domina e contrasta con l’insieme l’imponente mole in marmo bianco del Teatro dell’Accademia, d’ispirazione classicheggiante, di fronte sorge la rinascimentale Casa Piutti, su un lato un’apertura ad archi e una scalinata conducono verso la città moderna, mostrando in lontananza la facciata della stazione ferroviaria.
Sempre in piazza entra nella visuale l’alto e possente campanile del duomo. Proseguendo invece per la Contrada Grande, sulla destra si incontra una nobile costruzione con atrio porticato e, al piano superiore, trifore e balconcini che danno luce a un salone affrescato dal Pozzoserrato con scene del Vecchio e Nuovo Testamento: è la Sala dei Battuti, sede dell’omonima congregazione religiosa molto attiva in Veneto fra il XIII e il XIV secolo nell’assistenza ai poveri, ai malati, ai pellegrini. I Battuti avevano costruito la propria chiesa in posizione arretrata rispetto alla strada, ma avendo bisogno della sala la realizzarono nello spazio antistante; con tale originalissima soluzione si mantenne la continuità prospettica della strada, prevalentemente porticata, e la chiesa ebbe un maestoso atrio assembleare al posto della solita facciata. Sull’altare maggiore è il capolavoro di Cima, una Madonna dolce e serena con Gesù Bambino e santi su uno sfondo di grande architettura. Alla fine del ‘500 l’edificio fu allungato con la costruzione del presbiterio e allargato con due navate laterali, affermando la sua posizione di maggior chiesa della città con un imponente campanile, e due secoli dopo divenne duomo.
Da Piazza Cima, salendo sulla sinistra del teatro, ci si trova sulla via che dal centro porta al castello. Sull’angolo della prima traversa la Casa Sbarra, del ‘400, è ingentilita da un poggiolo d’angolo, mentre in fondo alla stessa stradina sorge la casa natale del pittore Giambattista Cima, ora sede della fondazione a lui intitolata, interessante per gli sfondi di paesaggi veneti e per una piccola raccolta di ceramiche dell’Età del Bronzo, che fanno pensare a una frequentazione preistorica del luogo. Proseguendo invece in salita, con la successiva traversa ritroviamo l’ex convento di San Francesco, da poco restaurato. Più su, come già visto nella prima parte della nostra passeggiata, gli edifici si diradano e si contornano di giardini.

I nuovi borghi
Mentre nella città vecchia ha prevalso il rispetto dell’ambiente architettonico originario di tipo rinascimentale, con qualche intrusione neoclassica, nei borghi cresciuti dal ‘400 fuori le mura l’edilizia si è rinnovata nel corso del tempo, con emergenze architettoniche oggi isolate fra le costruzioni moderne. Sullo stradone a nord-est, fuori da Porta Monticano, si trova sulla sinistra Casa Carpené o del Re di Cipro, palazzetto gotico del ‘400 (quasi persi gli affreschi sulla facciata) appartenuto al principe consorte della nobile veneziana Caterina Cornaro, regina dell’isola egea. Poco oltre la chiesetta del ‘700 della Madonna delle Grazie, con bella pala d’altare recuperata dal precedente convento distrutto.
Retrocessi in Via Mazzini, al di là del torrente Monticano, si nota l’imponente chiesa dei Santi Martino e Rosa, barocchizzata con begli arredi lignei. Sul centrale Corso Vittorio Emanuele sorge invece la chiesa di San Rocco, buon esempio di ricostruzione del ‘900 di chiesa barocca. Ad ovest si stendono i borghi di Sant’Antonio, con Via Garibaldi, e di Santa Caterina, con la porticata Via Cavour e resti dei conventi soppressi; notevoli il grandioso palazzo settecentesco Gera Minucci (da guardare anche sul retro) e la Casa Marchetti-Zara, a inizio ‘800 storico Albergo delle Poste.
L’antica Porta del Rujo, in Via Caronelli, era la zona abitata dagli ebrei dalla fine del ‘300 e divenne ghetto con domicilio coatto nel 1675. La comunità giudaica oggi non c’è più, e nel 1954 gli arredi sono stati trasferiti nella sinagoga italiana di Gerusalemme. A Conegliano resta il suggestivo cimitero ebraico usato dal XVI al XIX secolo.

In giro sui colli
Sono varie, piccole ma ben tenute le strade che attraversano la prima fascia collinare tra la pianura e le Prealpi Bellunesi; alcune corrono in fondovalle, ma sono di più quelle che preferiscono le dorsali. Ai margini sorgono i paesi e le fattorie isolate, più avanti i vigneti.
Un tracciato che procede tranquillo sul crinale è la Via del Prosecco, tratto iniziale della Strada del Vino Bianco che si conclude a Valdobbiadene: è stato il primo itinerario enogastronomico ad essere inaugurato in Italia, nel 1966 (vedi l’approfondimento “Chilometri di bollicine”). Lasciata Conegliano dall’angusta Porta di Ser Bele, nei cui pressi sorge l’Istituto Enologico Cerletti, tra ondulazioni e curve si apprezza qualche scorcio panoramico sino al fondovalle passando gli abitati di Costa e di Rua. Dopo alcuni tornanti in salita si giunge al punto panoramico più spettacolare, a San Pietro di Feletto, salendo alla pieve porticata del XII secolo da dove lo sguardo spazia sulla valle e sui colli ricoperti dal verde intenso della vite.
Da San Pietro di Feletto la strada piega ad ovest scendendo velocemente nell’aperto fondovalle a Refrontolo, nome famoso tra gli esperti di enologia. Da qui si prende verso nord per una carrabile che scende ancora di poco, attraversa un bosco e si ritrova in un fondovalle stretto fra le pendici dei colli, giungendo in un posticino davvero speciale: il Molinetto della Croda, con un vasto parcheggio inusuale nella zona a indicare la notorietà del luogo (nell’arco dell’anno vi si tengono varie manifestazioni, tra cui una frequentata mostra di presepi). Pur essendo a bassa quota l’insieme ha un aspetto montano creato da un singolare salto roccioso, appunto la croda, su cui poggiano gli edifici tuttora ben conservati. A completare il quadro, il fiumicello Lierza dà il meglio di sé con una cascata di 12 metri che scivola sommessamente in una grande vasca, abitata da una numerosa famiglia di oche.
La strada prosegue stretta fra colline che non superano i 500 metri di altezza, ma pare di trovarsi a quote più alte anche per i boschi di castagni che qui predominano sulle vigne, ridotte a qualche pendio meglio esposto. Da Rolle si gira ad ovest per Farrò, nome derivato dal longobardo fare, cioè clan, e poco oltre si sbocca nella valle del Soligo, dove si ritrovano orizzonti più ampi. Anche il nome di Follina, posta ai piedi delle Prealpi, ha origini storiche legate in questo caso ai folli, luoghi dove nell’alto Medioevo si lavorava la lana e in tempi più recenti la seta, grazie all’acqua del fiume e di numerosi piccoli affluenti. In paese c’è un’importante abbazia con un pregevole chiostro, fondata dai benedettini nel XII secolo e primo motore della prosperità economica di questo territorio. Si risale infine la valle del Soligo che nasce dai due Laghi di Revine, lunghi poco più di un chilometro e collegati in linea, nei quali confluiscono vari torrentelli scesi dalle Prealpi.
Vicino al Piave, 6 chilometri a sud-ovest di Conegliano, con identica origine e la posizione geografica al limite della pianura, Susegana è un’altra delle tappe della Strada, lungo uno dei percorsi tematici che la completano. Il paese è piccolo ma nella parrocchiale vanta una pala d’altare del 1515, capolavoro del Pordenone, ed è famoso in particolare per il castello di San Salvatore, che è piuttosto una vastissimo borgo fortificato da un doppio giro di mura, posto su più livelli con grandi spazi verdi e culminante nel bastione. Residenza dal ‘300 dei duchi di Collalto, che dal XVI secolo diedero al complesso un aspetto più ricco e pacifico, fu in seguito restaurato dagli stessi trovandosi sulla linea del fronte nella Prima Guerra Mondiale.
Nel tranquillo girovagare per queste colline potremo scoprire via via l’una o l’altra meta del percorso e attardarci a volontà fra ville, pievi e giardini. Ma prima di ripartire (la vicinanza ai grandi assi stradali favorisce un comodo rientro) non dovremo mancare una sosta in una delle numerose locande e trattorie collegate agli attigui vigneti, con la garanzia di un comitato di tutela che controlla cantine e cucine perché risplenda la gloria enogastronomica di tutta la Marca Trevigiana.

PleinAir 424 – novembre 2007

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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