La quiete dopo la tempesta

Caduto il giogo sovietico, smantellate le basi militari, assaporato il gusto della democrazia, l'Estonia vive questo momento di pace manifestando le sue radici culturali, con tanta voglia di natura e di musica.

Indice dell'itinerario

Le deportazioni in Siberia degli anni ’40 segnarono l’inizio del lento, ma inesorabile processo di assimilazione messo in atto dall’Unione Sovietica. Ma dopo ogni temporale, per lungo e impietoso che sia, torna il sereno, e al crollo dell’impero moscovita hanno fatto seguito l’indipendenza e la rinascita culturale delle Repubbliche Baltiche, prima fra queste l’Estonia. Grande due volte l’Emilia Romagna, il Paese si protende verso il 60° parallelo, come un pianoro intriso d’acqua che a malapena supera i 300 metri di altitudine: ma non manca di attrattive nel senso classico del termine. Con Lettonia e Lituania completa la triade del Baltico, irrinunciabile nelle rotte stradali per il nord-est. Ma può costituire una meta a sé anche per i visitatori della Germania settentrionale o della Scandinavia (vedi PleinAir n. 311), che possono raggiungerla facilmente via mare.
«Pedalare tra le fattorie perse nella campagna, tra i villaggi di basse case sorvegliate dalle cicogne è un po’ come ritrovare la mia infanzia» afferma compiaciuto Mikael, un finlandese magro come una sardina, ma con un viso allegro e pieno di lentiggini. Con la sua bicicletta è sbarcato in Estonia e a colpi di pedale si è ritrovato accanto a noi, nelle prime ore del mattino, ad ascoltare Tallinn che si sveglia. Dai bastioni di Toompea, un balcone fortificato che si sporge sulla città, si può sbirciare sul mosaico di tetti rossastri, far correre lo sguardo sulla selva di campanili appuntiti o rincorrere qualche giovane garzone in bicicletta che pedala a ritmo di rock. La capitale è una cassa armonica nella quale risuona ogni genere musicale e, se nei parchi sono i ritmi anglosassoni a dominare, è il jazz che avvolge la fumosa atmosfera di molti piccoli locali. Le note solenni e profonde dell’organo danno vita a un festival affollato di concerti che si tengono nelle principali chiese. Le piazze diventano il palcoscenico di cantastorie, musicisti metropolitani, violoncelliste con gli occhi azzurri come il cielo dopo un temporale. Jelena suona come se lo strumento fosse parte di lei e accompagna le note ondeggiando lentamente. Sorride compiaciuta ogni volta che qualche spettatore getta una moneta nella custodia del suo strumento. Si esibisce aiutata da una coreografia d’altri tempi, fra le possenti mura cittadine dominate dalla torre Kiek in de Kök e dalla lucente cattedrale ortodossa Alexander Nevski. Non sa resistere però al nostro invito per una colazione tra le colorate architetture di Raekoja Plats, la piazza principale della capitale. Seduta davanti a una tazza fumante trasforma le note musicali in un fiume di parole: «Nel mio Paese ogni espressione dell’animo umano è importante, lo è da secoli. Siamo un popolo di poeti e amiamo cantare, i rahvalaule (canti della tradizione) danno vita a grandi feste, città e paesi si animano durante la bella stagione e la musica è la guida ideale per un viaggio tra musei, gallerie d’arte, teatri e cattedrali». La sua allegria ha contagiato la piazza che pullula di vita. Persino i draghi di latta che sporgono dall’edificio del Municipio hanno ora un aspetto più rassicurante.
Tallinn è una signora un po’ snob che non vuole invecchiare e rinnova, con giovanile passione, il suo guardaroba. Non sa rinunciare a fare da modella ai giovani artisti che vendono i loro quadri nella parte alta della città. Sfoggia, per questo, un look a tinte vivaci: Parlamento rosa, piccole case gialle e rosse, candide chiese dal tetto verde, intonaci azzurri. Jelena adora questa città, ma il cuore lo ha lasciato nella sua Saaremaa, l’isola che l’ha vista nascere, la maggiore tra le oltre mille di cui l’Estonia è circondata.

Riserva della biosfera
E pensare che meno di dieci anni fa nella piccola isola gli stranieri non potevano entrare. L’area, che ospitava i sistemi radar e le basi missilistiche sovietiche, era off limits ai visitatori. Oggi restano i mulini a sorvegliare i confini, mentre il filo spinato è stato divorato dalla salsedine e dalla voglia di democrazia. La strada che corre sulla costa occidentale volge le spalle alla capitale, sfiora il castello di Koluvere, la chiesa di Kirbla e termina a Virtsu, il porto da cui salpano i traghetti diretti alla piccola Muhu (circa mezz’ora). Sulla sua ridotta superficie, poco meno di 200 chilometri quadrati, il visitatore trova piacevoli motivi d’interesse: la chiesa di Liiva e il villaggio-museo di Koguva, uno squarcio nel passato rurale della regione.
Alla più grande Saaremaa si approda percorrendo il sabbioso cordone ombelicale che unisce le due isole. La natura da queste parti è stata generosa, ha circondato nel liquido abbraccio dei flutti boschi di conifere, gineprai, praterie dorate di spighe; ha incastonato laghi tra le foreste, ha sagomato tranquille insenature popolate di uccelli.
Riserva della biosfera istituita per salvaguardare questo habitat sospeso fra terra e mare, Saaremaa è oggi la meta preferita da chi ama un turismo in simbiosi con l’ambiente. Escursioni nei boschi, passeggiate tra i levigati ciottoli del litorale, spiagge sabbiose e pedalate senza fine caratterizzano le vacanze isolane. Il soggiorno è incentivato da una buona presenza di alberghi familiari, cottage e campeggi, molti dei quali attrezzati per il noleggio delle due ruote. Le località principali sono Orissaare e Kuressaare; a quest’ultima è delegato il compito di rappresentare l’isola. Il capoluogo, che può vantare un animato centro con negozi, ristoranti e un vivace mercato, ospita il massiccio Castello del Vescovo, attuale sede del Museo Regionale. La tranquilla spiaggia di Mändjala apre la strada per la penisola Sorve, segnalata ai naviganti dall’alto faro di Sääre e oggi popolata da volatili e pecore desiderose d’affetto. Non temono i visitatori le lanuginose e belanti creature, anzi sembrano rincorrerli in cerca d’attenzioni più consone a un cagnolino che ad un ovino al pascolo.
Risalendo alla volta di Ohesaare si scorgono i primi mulini, piccole e squadrate costruzioni lignee appoggiate a un basamento di pietre sovrapposte. Sono fantasmi del passato condannati a consumarsi sotto la pioggia, il vento, il sole. Offrono il loro spettacolo migliore al tramonto, nella località di Angla, sulla costa settentrionale. Sembrano un gruppo di vecchi amici che si raccontano storie di donne, e brindano fino a svanire nella penombra della sera.
Sono molti altri i luoghi che questa terra, popolata da sorridenti e biondi folletti, tiene in serbo per i suoi ospiti: il museo all’aperto di Viki, le basse e trasparenti acque del lago Karujärv, la scogliera che dal promontorio di Panga (Panga Pank, area picnic) si getta in mare con un balzo di oltre venti metri. Vi è persino un cratere, generato da un meteorite, nei pressi di Kaali. Per non parlare poi delle numerose cappelle, come quella di Kaarma (circa 12 chilometri dal capoluogo), che rappresentano una piacevole divagazione storica e architettonica. Spicca fra tutte la germanica chiesa di Valjala, la cui origine va ricercata nelle cronache del 1200.
A Saaremaa il vento gelido dell’industrializzazione sovietica non ha soffiato con impeto, contrastato forse da un tempo capriccioso e insolente capace di trasformare la volta celeste in un rabbioso drappo nero. Ma le sfuriate temporalesche, a differenza delle umane convinzioni, passano senza rancore e lasciano il posto a radiose giornate di sole, al profumo dell’erba bagnata, a un’insaziabile voglia di esistere.

PleinAir 312/313 – luglio/agosto 1998

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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