La prima Africa

Tre settimane per scoprire in lungo e in largo la porta d'ingresso naturale del continente, a poche ore di traghetto dall'Italia. Un viaggio autogestito con un'auto fuoristrada, una tenda da tetto e due bambini al seguito.

Indice dell'itinerario

Sabbia. Quella di Ksar Ghilane e di Cartagine, lasciata ancora un po’ nella tenda per non far svanire del tutto i segni materiali del viaggio. Luce. Quella del deserto di Jebil e quella dorata dei templi di Sbeitla. E musica, musica. I tamburi del festival degli ksour a Tataouine, il rap etnico tra i banchi dei venditori di spezie nel suk di Douz, le note di Khaled che accompagnano nei bar il tempo senza fretta dei giocatori di ramino e dei fumatori di narghilè. Come si racconta la Tunisia?
Grande come mezza Italia, dune e montagne, spiagge e laghi salati, villaggi d’argilla e avenue tirate a lucido, l’Africa dietro l’angolo emoziona e insieme rassicura, smentisce luoghi comuni, regala panorami mozzafiato. Fino a tirare fuori, più prima che poi, quella domanda: ma perché abbiamo aspettato tanto a venire?
Le dita di una mano non bastano a elencare le principali attrattive. I paesaggi naturali, ricchi in varietà e qualità; i siti archeologici, in più di un caso di interesse eccezionale; il Sahara, del quale la Tunisia è la porta d’accesso naturale; le architetture tradizionali, come le abitazioni trogloditiche di Matmata; il mare, bello e accessibile; le città, dove quartieri anonimi nascondono centri storici pulsanti di vita. Insomma, una meta di prim’ordine. Ma non è tutto. Seppur mimetizzata dalle poche ore di viaggio, è la sua profonda diversità a rendere unica una vacanza in Tunisia: è l’Africa dei colori e dei suoni, delle tradizioni rurali ancora tenaci in almeno due terzi del paese, dei carretti trainati dagli asini, delle vecchie Peugeot stracariche, persino della leggera inquietudine provata all’arrivo di fronte a tutto questo. E senza il filtro rassicurante di un viaggio organizzato, ma recuperando appieno la propria identità di viaggiatori: questa, non c’è dubbio, è un’esperienza per tutti.

L’impero del sud
Straordinaria nella sua solenne vastità, l’antica città romana di Dougga (inserita dall’Unesco nella World Heritage List) riveste un intero colle. Da Tunisi si raggiunge velocemente in un centinaio di chilometri lungo la statale P5, in direzione Le Kef. Lungo strade ancora pavimentate si ammirano il campidoglio, i templi, le case, le terme di Licinio, il mausoleo libico-punico, l’arco di Settimio Severo, lo splendido teatro affacciato sulla quinta dei campi a perdita d’occhio. E’ la Pompei di Tunisia, ricchissima di resti e scorci spettacolari, eppure non di rado – com’è capitato anche a noi – si visita in completa solitudine. Nell’area settentrionale sorgono alcune fattorie tuttora abitate, ma il grosso della popolazione che fino agli anni Cinquanta viveva tra le rovine è stato trasferito nella città nuova per consentire più agevoli campagne di scavo e di restauro agli archeologi francesi.
Poco prima di giungere a Le Kef, a un bivio è segnalata a sinistra la strada per Kairouan; in alternativa, a 11 chilometri da Dougga trovate la deviazione a El Krib per la C47 fino a El Fahs, con possibile visita al sito romano di Thuburbo Majus, e poi la P3 per Kairouan. La città santa della Tunisia – nota anche per essere la capitale dei tappeti – possiede diverse attrazioni, a cominciare dalla grande moschea: come altre del paese, pare più una fortezza che un edificio religioso e la sua visita ai non musulmani è limitata, in ogni caso, al solo cortile interno (è bene inoltre tenere a mente che è aperta ai turisti solo la mattina dalle 8 alle 14, il venerdì fino alle 12). Una passeggiata nella medina consente di apprezzare la produzione locale di tappeti annodati, il cui prezzo è determinato – oltre che, naturalmente, da estenuanti trattative tra venditore e cliente – dal numero di nodi al metro quadro. In città, tra le altre cose merita una visita la zaouia di Sidi Sahab (compagno del profeta Maometto), una sorta di mausoleo con bei cortili in marmo bianco e raffinate decorazioni in gesso.
A seguire si prende la P3 in direzione Gafsa, giungendo dopo un centinaio di chilometri a Sbeitla. Poco oltre la città moderna, lungo la strada per Kasserine e di fronte al museo archeologico, sorgono i magnifici templi in pietra arenaria dell’antica Sufetula dedicati a Giunone, Giove e Minerva: alla luce dell’alba e del tramonto, inquadrati dalla cornice della bella porta a tre archi dedicata all’imperatore Antonino, da soli valgono abbondantemente la visita. Ma la vera attrazione è il fonte battesimale, completamente rivestito a mosaico, che va cercato tra i resti della basilica di San Vitale poco a nord del foro.
Ripresa la strada dopo Gafsa (chi arriva in estate potrà apprezzare le piscine romane, non lontano dalla grande moschea), ancora la P3 attraversa la cittadina di Metlaoui dov’è la stazione di partenza del trenino turistico Lezard Rouge, ovvero lucertola rossa. Si tratta di un piccolo convoglio trainato da una locomotiva a vapore del 1910 che percorre la gola scavata dal torrente Selja, tra aspri picchi dove si trovano importanti miniere di fosfati. Il non trascurabile costo dell’ora e mezzo di escursione in treno (60 dinari, ovvero circa 40 euro, per una famiglia con due bambini) ci consola dell’essere arrivati proprio nel giorno di riposo settimanale, ovvero il mercoledì; il percorso lungo i binari, e proprio nel tratto più spettacolare, è del resto tranquillamente accessibile a piedi. La partenza si effettua da uno spiazzo dove si può lasciare il mezzo, raggiungibile con una breve sterrata che parte dalla strada Metlaoui-Tozeur (deviazione a destra per Selja) e si percorre fino in fondo: accanto a una baracca in lamiera con tutta probabilità troverete un uomo che si proporrà come guida, del tutto superflua, per cui va bene limitarsi ad affidargli in custodia il v.r. Seguendo all’inizio il fondo fangoso del torrente, si supera una stretta rocciosa e quindi si risale a destra il terrapieno della ferrovia, per poi percorrere lungo i binari la breve galleria. Bello il colpo d’occhio subito fuori, dove la gola crea una scenografica piega verso destra, tra le rocce stratificate. Si cammina sulle traversine fino a un ponte, dove il paesaggio si apre, e si ritorna sui propri passi (un’ora e mezzo in tutto).
Da Metlaoui ci portiamo ora verso il confine algerino in direzione Tamerza, per l’interessantissimo circuito delle cosiddette oasi di montagna. Dopo Moulares e Redeyef, al bivio per Mides si svolta prima a destra e poi a sinistra raggiungendo, oltre un palmeto, il parcheggio al limitare di questo luogo straordinario. L’oasi sorge sul ciglio di una profonda e sinuosa gola dal fondo percorribile, set di molti film tra cui Il paziente inglese (qui sono state girate le scene finali in cui la protagonista muore in una grotta); il vecchio abitato berbero, abbandonato alla fine degli anni Sessanta perché pericolante, merita soprattutto per gli scorci vertiginosi sul vallone sottostante. Una piccola folla di mercanti chiede pochi dinari in cambio di splendide conchiglie fossili, cristalli di quarzo e mica, rose del deserto.
Tamerza offre un altro e più grande insediamento ormai abbandonato sulla sponda di un oued, ai margini di un magnifico palmeto, e alcune piccole cascate dove ritroveremo le bancarelle dei souvenir.
L’ultimo paese sulla strada verso la pianura è Chebika, addossato a una montagna brulla e solenne. Qui un piacevole sentierino, che parte dalla piazzetta presidiata dai bar e dai venditori di scorpioni e babbucce in pelle di dromedario, attraversa il palmeto lungo un sistema di canalizzazioni fino a una piccola cascata all’interno di una gola. Con una scalinata si raggiunge un picco panoramico, e occhio a dove mettete le mani: queste rocce sono in realtà conglomerati di conchiglie fossili, mentre a terra abbondano frammenti di miche e cristalli di varia natura.

Storie di sabbia…
Tozeur sorge ai margini settentrionali del grande lago salato Chott El Jerid, e la possibilità di trovare finalmente giornali italiani è solo uno dei segni inconfutabili – tra cui i numerosi alberghi, l’abbondanza di negozi di souvenir e le comitive di viaggi organizzati – di un successo turistico ormai affermato. Da visitare il centro storico, alle spalle della via commerciale, con bellissime case decorate in mattoni e passaggi coperti fino alla moschea dall’alto minareto; interessante anche il museo Dar Charait con ricostruzioni della casa del bey, il governatore. Le guide locali propongono passeggiate a dorso di dromedario nel vasto palmeto, esperienza che può essere fatta pure nella vicina Nefta, assai simile a Tozeur quanto ai vecchi palazzi (all’Ouled ech Cherif), al palmeto e all’atmosfera turistica. Da non perdere la traversata dello Chott lungo la strada rialzata che lo taglia in due fino a Kebili: senza scomodare i miraggi magnificati dalla letteratura turistica, è un luogo magico dove la distesa bianca e grigia di sale e di fango si dilata in uno spazio immenso, pari a quello dell’intera Valle d’Aosta.
Lo Chott è anche il vero preludio all’altra Tunisia, quella del deserto, già intravista ma che ha la sua indiscussa porta nella cittadina di Douz: pur non essendoci vere e proprie attrazioni turistiche, se non un piccolo museo del Sahara e uno zoo alquanto deprimente, affascina per l’atmosfera da crocevia di viaggiatori che vi si respira. Con più officine meccaniche che ristoranti, questo è il regno indiscusso dei fuoristrada che vi sostano prima di addentrarsi tra dune e pietraie. La piazzetta centrale, circondata da portici, è occupata dai negozi di tappeti e in certe mattine è invasa da un caotico mercato, autentica babele di suoni, colori e aromi. Presso la zone touristique a ovest del centro si eleva la cosiddetta Grande Duna, dove un piccolo esercito di cammellieri si offre per una breve passeggiata nel deserto . Conviene però accettare l’offerta alla vicina Zaafrane, dove almeno le dune sono molte e meno domestiche. Tra le escursioni di maggior sviluppo la più gettonata è quella fino a Ksar Ghilane dove, tra un boschetto di tamerici giganti e un palmeto, si può godere di un imperdibile bagno tonificante in una pozza d’acqua calda sorgiva in mezzo alle dune: ci si arriva percorrendo per un’ottantina di chilometri la pipeline, ovvero la pista di servizio dell’oleodotto, a partire dalla strada Douz-Matmata. Gli ultimi 13 chilometri sono impeccabilmente asfaltati, ma nei precedenti la pista è massacrata dalla tole ondulée e assolutamente non consigliabile ai normali camper: molto meglio, in questo caso, noleggiare un 4×4 con o senza guida presso una delle numerose agenzie di Douz. Da Ghilane, in circa un’ora a dorso di dromedario si raggiungono i resti di un forte romano tra le dune, dove un tempo passava il Limes Tripolitanus dell’impero. E poi c’è l’intero Sahara tunisino da esplorare, a lungo sottovalutato e ora riscoperto anche dai sahariani più esperti nelle sue mete e difficoltà (come quelle per raggiungere i laghetti di El Borma).

… e di pietra
Non è difficile capire perché, a metà degli anni Settanta, George Lucas e i produttori di Guerre Stellari scelsero proprio Matmata per ambientare la loro favola fantascientifica che meritò ben sei premi Oscar. Nonostante i pullman gran turismo e l’insistenza delle guide, questo rimane un luogo veramente unico e i crateri ravvicinati delle abitazioni, scavati nei secoli dalle popolazioni berbere per sfuggire al caldo, non mancano di stupire ogni visitatore. Chi ha voglia di curiosare con maggiore tranquillità può dirigersi verso la vicina Téchine, dove un più piccolo ma non meno interessante gruppo di abitazioni trogloditiche si apre sul fianco di una collina.
Tornati sulla strada principale per Matmata, si svolta invece a destra verso Toujane (all’inizio dell’anno erano in corso lavori di bitumatura con fine prevista a giugno, ma il fondo era comunque già praticabile da un camper), paese di case in pietra in bella posizione sui due fianchi di una gola. Quindi si arriva via Medenine a Tataouine, capoluogo della regione, anonima cittadina dove però merita una visita il coloratissimo mercato che si tiene ogni lunedì e giovedì. Sono inoltre possibili diverse escursioni nei dintorni, tra cui le più belle conducono alla scoperta degli ksour, autentica meraviglia dell’architettura popolare berbera: granai fortificati, eretti perlopiù tra il XV e il XVI secolo, dove le ghorfa in pietra e fango con il soffitto a volta venivano costruite intorno a un cortile in posizione dominante su un’altura. Restaurato di recente, il più straordinario è quello a quattro piani di Ouled Soltane, a sud-est di Tataouine; ma, tempo permettendo, si possono esplorare anche gli ksour di El Ezzarah, Joumaa e Haddada.
Altro splendido percorso è quello che ha inizio a Guermessa, dove conduce pure una bellissima pista (percorribile in fuoristrada) che giunge direttamente dalla pipeline, all’altezza di Ksar Ghilane. In piacevole solitudine, offre panorami simili a quelli della ben più affollata Chenini, con una cascata di vecchie abitazioni in rovina sul fianco di un colle fino alla bianchissima moschea. Ancora più scenografica la posizione di Douiret, che si allunga ai piedi di un roccione di arenaria degno di un film western: due moschee di cui una troglodita, case con portoni decorati e un silenzio emozionante lasceranno un segno nei ricordi di viaggio.

Città di mare
Panorami, atmosfere, frequentazione: come quasi sempre avviene nei paesi mediterranei, affacciandosi sulla costa i connotati del territorio mutano repentinamente. La Tunisia non fa eccezione, e anche un itinerario fuoristagione come questo non poteva ignorare il forte richiamo di un magnifico mare. Tra le località costiere merita senz’altro una deviazione l’isola di Jerba, che si raggiunge con un breve traghetto da El Jorf oppure mediante una strada su terrapieno di 7 chilometri il cui tracciato risale all’epoca romana. Moschee, sinagoghe (tra cui quella di El-Ghriba, la più antica del Nordafrica) e le vecchie case di Houmt Souq aggiungono altrettanti motivi d’interesse all’attrattiva rappresentata dalle bellissime spiagge, spesso frequentate anche d’inverno.
Risalendo la costa lungo la statale, oltre Gabes e il suo palmeto, assolutamente da non mancare una sosta a Sfax (che è anche il porto d’imbarco per le tranquille isole Kerkennah). Al di là di mura possenti, la seconda città della Tunisia nasconde la grande medina più interessante e autentica del paese, ancora poco frequentata dai turisti, dove in parte si osservano – suddivisi in strade, ciascuna occupata da una categoria professionale – schiere di artigiani al lavoro. Bellissimi i suk coperti, tra cui quelli dei profumi, delle stoffe, dei fabbri. Nell’entroterra di Madia, altra meta irrinunciabile è El Jem ovvero il Colosseo africano, copia in arenaria del nostro marmoreo anfiteatro che giganteggia tra le modeste abitazioni della cittadina; se ne visitano i vari piani, nonché i sotterranei dove venivano recluse le fiere.
Superata la barriera di alberghi, il mare torniamo a rimirarlo a Monastir dove si trovano anche un bel ribat (fortezza), una gradevole piccola medina e il grande mausoleo dedicato al primo presidente tunisino Habib Bourguiba, nato e vissuto qui fino alla morte, nel 2000.
Un pugno di chilometri più a ovest c’è quindi Sousse, la terza città del paese. Animata e piacevole, conserva una medina strabordante di negozi e botteghe e un museo archeologico ricco di splendidi mosaici, la moschea e il ribat sul quale spicca l’alto e affusolato nador, la torretta di guardia.
Presa a questo punto l’autostrada, Tunisi e il suo richiamo sono ormai alle porte. Nelle immediate vicinanze della città – caotica come tutte le capitali – due tappe consentono un avvicinamento più graduale al fatidico appuntamento con il traghetto del ritorno. La prima è Sidi Bou Saïd, piccolo villaggio una ventina di chilometri a nord-est della città: decisamente piacevole la passeggiata tra le sue case imbiancate a calce, i vicoli pavimentati in pietra e le finestre di un azzurro che ricorda le Cicladi. L’altra meta è Cartagine, poco distante: è pur vero che non bisogna riporre troppe aspettative nei resti punici e romani (quasi del tutto distrutti oppure assai compromessi, come il teatro), ma resta comunque un luogo da visitare per via della panoramica collina di Byrsa su cui sorge una bizzarra cattedrale ottocentesca, delle piacevoli spiaggette e, soprattutto, dell’importante museo nazionale con magnifici mosaici e resti vari. Per chi ha qualche altro giorno a disposizione, suggeriamo senz’altro il bellissimo lago e l’avifauna selvatica del parco nazionale di Ichkeul (vedi riquadro “Andar per parchi”), la penisola di Capo Bon oppure la costa appartata tra Bizerte e Tabarka.
Quanto a Tunisi, è una grande e piacevole città dalle molte sfaccettature, dove pochi minuti a piedi separano l’usuale confusione dei suk dall’atmosfera occidentale ed elegante, ma anche più anonima, di Avenue Bourghiba. Quest’ultima è il punto di riferimento per ogni visita: a un’estremità c’è Place 7 Novembre, con fontana illuminata ed edicola provvista di giornali italiani, dove sono l’ingresso della tangenziale e l’ufficio turistico; dall’altra parte la monumentale e ormai isolata Porte de France costituisce l’accesso alla grande medina. Le guide e certe piccole targhe disseminate tra i vicoli suggeriscono alcuni itinerari a toccare i monumenti più importanti, ma non è facile seguirli. Il consiglio è di girare liberamente, a più riprese, badando poi a non mancare almeno la moschea Zitouna, la Medersa Mouradia, il cortile del museo delle tradizioni popolari, i pittoreschi suk coperti. Su Avenue Bourghiba affaccia tra l’altro il grande negozio statale di artigianato Socopa, dove è possibile se non altro farsi un’idea dei prezzi reali per contrattare con maggior convinzione gli ultimi acquisti nella medina prima del rientro. A Place Barcelone, dove si trovano i crocicchi dei lustrascarpe, si va invece per prendere il tram numero 4 (il biglietto si acquista nella piazza) che in un quarto d’ora porta comodamente all’immancabile museo del Bardo, una passerella d’eccezione sulla più importante e ricca collezione di mosaici romani al mondo. E’ l’ultima emozione di un viaggio unico e a portata di mano: quando la nave Carthage si allontana dal porto della Goulette non c’è bisogno di aggiungere che, certo, ritorneremo.

PleinAir 386 – settembre 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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