La porta delle Dolomiti

Abbracciata da due fiumi e dalle prime vette della grande montagna veneta, Belluno è una città tutta da scoprire. Ed è anche l'accesso privilegiato a uno dei più bei parchi nazionali italiani, che tutela un sorprendente patrimonio di natura da vivere in ogni stagione con i modi del pleinair.

Indice dell'itinerario

Abbracciata dal Piave e dall’Ardo e immersa in una verde vallata, Belluno ha come quinta scenografica le prime vette dolomitiche. Con l’autostrada basta un’ora per arrivare alla Serenissima e all’Adriatico: ma qui batte un altro cuore, quello del Veneto alpino.
Già 12.000 anni fa l’uomo si avventurava da queste parti per cacciare una fauna ricca e varia, come provano i ritrovamenti di reperti e testimonianze che sfatano il mito dell’invalicabilità delle Alpi. L’etimologia del nome in celtico, Belodonum, dovrebbe significare invece splendente o luminoso con riferimento alla solarità del luogo in cui la città fu edificata, e guardando certe fotografie si capisce il perché: la luce è ovunque, sulle mura del centro, sulla cima del Monte Serva che guarda Belluno dall’alto, sulle placide acque del Piave che oggi, deviato a fini idroelettrici, non è più quello di una volta ma ancora conserva il richiamo di vicende che hanno fatto la nostra storia. Per non dire della letteratura con un maestro quale fu Dino Buzzati, lo scrittore, giornalista e pittore bellunese che restò sempre legato alla terra d’origine dedicandole pagine intense e narrando l’affascinante e remota solitudine di queste aspre montagne. Un fascino che si coglie soprattutto d’inverno, quando la neve ammanta di bianco le rocce: e riesce ad apprezzarlo solo chi, uscendo dall’autostrada, procede lentamente in direzione di Belluno lasciandosi superare dai frettolosi vacanzieri che corrono verso le Dolomiti più famose.

Antiche pietre
Belluno è dunque una città da scoprire con calma, grazie anche al fatto che il centro storico è perfettamente a portata del visitatore itinerante: lasciato il camper nel moderno parcheggio del Lambioi, vi si giunge in pochi minuti con le ardite scale mobili che risalgono il versante affacciato sul Piave. Alla confluenza tra il grande fiume e l’Ardo, complice anche la forra scavata dai millenni, si arroccò il municipium le cui maglie ortogonali ancora oggi si percepiscono nel nucleo antico. Secolo dopo secolo, il Medioevo caratterizzò il borgo fortificato stratificatosi sui resti di epoca romana, attestandosi sulle difese naturali e su quelle costruite dall’uomo. Di quei tempi conserviamo la bellissima Piazza dei Martiri, allora come oggi spazio pubblico privilegiato per gli abitanti, luogo di mercato, di festa e d’ozio nei tanti caffè ma anche scenario di manifestazioni culturali come quella degli intagliatori di legno per il patrono San Martino, o del vin brûlé nei mercatini di Natale. La piazza prende il nome dai tragici eventi che valsero alla città la medaglia d’oro per la Resistenza; oggi è il salotto cittadino appena fuori le mura, composito teatro di architetture dove i bellunesi passeggiano sulle pietre del listòn. Qui sorgono la chiesa di San Rocco, edificata alla metà del ‘500 e nei cui pressi è stata posta una lapide che ricorda Buzzati, e l’aulico Teatro Comunale costruito in stile neoclassico demolendo l’antico Fondaco delle Biade (ne rimane l’architrave datata 1625, murata sul retro) che sorgeva a fianco della Porta Dojona. Due leoni vegliano la scalinata d’ingresso, dominata da nove busti in pietra e in bronzo di rettori veneti dei secoli XVI e XVII provenienti dallo smantellato Palazzo Comunale. Sul lato opposto, una splendida teoria di porticati offre rifugio dalle fredde giornate invernali o dagli improvvisi acquazzoni dell’estate.
Costeggiando il belvedere sul Piave – che da solo meriterebbe una sosta in città – si superano i ruderi del castello e si giunge in Piazza Duomo, centro del potere politico e religioso sin dall’età di mezzo. Tutta l’area è dominata dalla mole della cattedrale, che custodisce importanti tele di Jacopo Bassano, Palma il Giovane, Cesare Vecellio e altri artisti. Un primo edificio sacro, probabilmente paleocristiano, era stato intitolato a San Martino di Tours nel 548, durante le guerre gotiche; nel 1471, dopo un incendio, fu ricostruito con la facciata rivolta verso il Piave, mentre la nuova struttura venne eretta a partire dal 1517 e via via arricchita per tutto il XVII e il XVIII secolo dai vescovi che si susseguirono alla guida della chiesa. Nel 1732 fu innalzato il campanile barocco. Sulla piazza si affacciano il Palazzo del Comune, detto anche Palazzo Rosso, e quello di Giustizia, nonché lo splendido Palazzo dei Rettori. La sede municipale venne realizzata in stile neogotico sul luogo di una più antica, la Caminada, risalente al XIII secolo e completamente ricostruita una prima volta nel 1476: era ornata da stemmi e da quegli stessi busti che ora decorano il Teatro Comunale e in parte anche il Palazzo dei Rettori, realizzato tra il XV e il XVI secolo su una fortificazione preesistente; l’ampio portico, un’elegante loggia a due ordini e la torretta dell’orologio ne caratterizzano la facciata. L’ex Palazzo dei Vescovi, oggi auditorium, fu probabilmente ampliato e rafforzato alla fine del 1100 conservando la sagoma quadrangolare di una più antica struttura anch’essa fortificata. Svetta sulla piazza la torre civica, dietro la quale si impone la vista del Monte Serva.
Poco distante, all’angolo con Via San Lucano, Palazzo Piloni è sede dell’amministrazione provinciale: tra carte e sale riunioni si possono ammirare (chiedendo all’ufficio informazioni) diversi quadri e affreschi cinquecenteschi di Cesare Vecellio. Per chi volesse approfondire la conoscenza del territorio, percorrendo Via Duomo si giunge al Museo Civico, mentre lungo la vicina Via Ripa si ammira il cinquecentesco Palazzo Crepadona, sede di una ricca biblioteca civica e di prestigiosi eventi culturali; resti degli affreschi originari si possono ancora scorgere al piano terra e al primo piano, mentre sotto il porticato del cortile è stato sistemato il sarcofago del funzionario imperiale Caio Flavio Ostilio Sertoriano e di sua moglie Domizia, del III secolo.
Via Duomo sfocia nella suggestiva Piazza del Mercato o delle Erbe, caratterizzata dalla trecentesca fontana di San Lucano, dove ha luogo il mercatino della frutta. Tra i palazzi che la circondano spicca il Monte di Pietà, completato nel 1531, con il portone originale rinforzato in ferro e parte delle pitture murali che un tempo ricoprivano per intero le pareti.
Tra una schiera di bei palazzetti si percorre ora Via Mezzaterra fino a Porta Rugo, storico accesso meridionale alla città, e da qui si scende verso Borgo Piave, dove aveva sede il porto fluviale. Agli inizi dell’800 venne abbattuta buona parte delle mura cittadine e con esse la grande torre sulla sinistra e le altre fortificazioni laterali che difendevano la porta, della quale oggi rimane solo un arco a sesto acuto della fine del ‘200. Lungo Via San Pietro, ancora una tappa al seminario dedicato al papa bellunese Gregorio XVI con due bei chiostri, uno gotico e l’altro rinascimentale. Fuori le mura, a partire dal tardo Medioevo si sviluppò la Belluno dei borghi: Piave, Pra, di Tiera, Santo Stefano con l’omonima chiesa dallo svettante campanile e l’annesso convento, costruiti a partire dal XV secolo.
Fra tanta ricchezza d’arte e di storia, non dimenticate di guardare in terra per notare le bellissime ammoniti fossili racchiuse nelle lastre di dolomia che pavimentano buona parte del centro storico. Oppure alzate gli occhi e fatevi catturare dalla vista della Gusela del Vescovà, l’incredibile picco roccioso simbolo della città. E poi, osservate il Piave che scorre tranquillo come le chiacchiere della gente nei caffè e nei locali, in cui assaggiare una gastronomia tipica che sa di montagna: sarà il miglior preludio alla prossima tappa, che ci porterà alla scoperta del magico ambiente delle Dolomiti Bellunesi.

Alla scoperta del parco
Prima della nascita del parco nazionale, tredici anni fa, le Dolomiti Bellunesi erano sconosciute ai più. Eppure sono un autentico scrigno di biodiversità e di panorami incantati, da apprezzare in ogni stagione anche grazie all’impegno di chi ci lavora e alla gente che abita questo territorio di aspra meraviglia.
A due passi dalla brulicante pianura veneta ci si ritrova quasi all’improvviso immersi nella pace, nella solitudine, in quel silenzio che permette finalmente di ascoltare la voce della natura selvaggia. Calcare e dolomia sono le fondamenta di un paesaggio che si leva verso il cielo non meno che nel sottosuolo: ai Piani Eterni gli speleologi hanno censito oltre 200 grotte grandi e piccole toccando una profondità record di quasi 1.000 metri. Il divieto di caccia ha riportato gli ungulati selvatici a ripopolare questi bellissimi monti: cervi e caprioli, camosci e mufloni sono i padroni indisturbati di vette e valli, di boschi e forre, mentre da poco, ad opera dell’ente parco, è tornata a fischiare la simpatica marmotta.
Oltre un decennio di attenta conservazione ha poi valso la timida ricomparsa della lince e dell’orso, ospiti d’eccezione insieme a tutti i tetraonidi delle nostre Alpi (il gallo cedrone, la pernice bianca, il francolino, il fagiano di monte) e alle otto coppie nidificanti di aquila reale che volano maestose sulle cime: una fauna che tutti possono sorprendere in libertà, anche se l’avvistamento è una conquista. Ben più facile invece osservare la vegetazione, che con oltre 1.600 specie di piante vascolari comprende un terzo di tutta la flora italiana e soprattutto tra la primavera e l’estate si presenta smagliante di verde e di fioriture.
D’inverno, è il fruscio della neve che sfarina via dai larici ad accompagnare il passo dell’escursionista. Dalle Vette Feltrine al Sass de Mura, dall’Erera-Brendol al Serva, dai Monti del Sole allo Schiara, tante sono le occasioni di uscite in contesti unici anche nei mesi freddi, lungo tracciati che all’arrivo fanno dimenticare ogni fatica. Chi ha meno dimestichezza con ramponi, ciaspole e sci può dirigersi verso la Val di Canzoi e quella del Mis, percorribili tutto l’anno così come le prime propaggini del Serva, facilmente raggiungibili dal capoluogo: dall’aspetto quasi collinare, il monte della città si leva fino ai 2.133 metri della cima offrendo uno spettacolo senza pari quando il tramonto ne accende i fianchi innevati. A ricoprirne le pendici è un patrimonio floristico d’eccezione, documentato già da erbari del ‘400 qual è ad esempio il Codex Bellunensis, appena ristampato dall’ente parco.
Per un primo approccio sono tutti da provare i sentieri natura come i due che qui vi suggeriamo, itinerari ad anello che si snodano generalmente a quote modeste e sono dedicati ad escursionisti non necessariamente esperti ma interessati a conoscere più in dettaglio flora, vegetazione, fauna e geologia dei luoghi attraversati: lungo i percorsi sono infatti collocati pannelli didattici illustrati che agevolano la comprensione di caratteristiche ambientali anche complesse, rivelando inoltre la presenza di piante e animali che potrebbero passare inosservati. Di grande fascino anche i percorsi da compiere in libertà alle basse e medie quote della valle dell’Ardo che, come il Monte Serva, si raggiunge direttamente dalle porte di Belluno.

Val di Canzoi e Lago della Stua
Altitudine Da 600 a 850 m Lunghezza 8,4 km Difficoltà Facile Tempo di percorrenza 4 ore circa
Questo semplice percorso, fattibile tutto l’anno in assenza di neve, si sviluppa intorno al Lago della Stua nella parte mediana di una delle valli più note del parco, sulle due rive del torrente Caorame dalla località Preton fino al Pian del Goso. Vi si accede dalla provinciale che collega Belluno a Feltre, seguendola fino a Soranzèn e qui imboccando il bivio per la Val Canzoi, da risalire (con cautela se si è alla guida di un mezzo di grandi dimensioni) fino al Preton, dove si trovano un’area picnic e un parcheggio.
Lungo il sentiero natura dominano gli affioramenti della dolomia principale e sono evidenti le azioni dei corsi d’acqua, delle glaciazioni e dei fenomeni carsici. La vegetazione è estremamente varia e comprende carpino nero, faggio e pino silvestre, ma anche aree a prato e piante pioniere che colonizzano i canaloni; tra le specie rare o di particolare interesse troviamo la silene di Veselskyi, l’asplenio delle Dolomiti, la lunaria, il giglio dorato, la campanella odorosa e il veratro nero. Oltre ai numerosissimi passeriformi nei boschi, i prati sono frequentati da caprioli e mufloni mentre nelle acque del torrente e del lago si possono osservare la ballerina gialla, il merlo acquaiolo e i rospi.

Val Falcina
Altitudine Da 420 a 660 m Lunghezza 4 km Difficoltà Facile Tempo di percorrenza 2 ore circa
La profonda Val Falcina corre lungo la destra orografica del torrente Mis, che sbocca nell’omonimo lago artificiale ed è dominata a sud-ovest dalle pareti del Pizzocco. Da Belluno si segue brevemente la statale 203 Agordina fino a Mas per poi prendere la direzione Valle del Mis, lasciando il veicolo a Pian della Falcina; la strada presenta diverse gallerie non illuminate ma di altezza e larghezza sufficienti al passaggio di un camper (osservando cautela solo se si decide di proseguire nella parte più alta della valle, oltre il Lago del Mis e verso Gosaldo, dove la carreggiata è in alcuni punti molto angusta con senso unico alternato). L’ambiente è assai rappresentativo delle medie quote di questo settore del parco, con specie vegetali come il pino nero, l’ambretta di Ressmann, la campanula della Carnia, l’euforbia di Kerner. Oltre ai passeriformi, con un po’ di pazienza e di attenzione è possibile vedere il picchio nero e l’aquila reale, mentre sul lago sono presenti vari anfibi, l’innocua natrice dal collare e ancora uccelli quali la ballerina gialla e il germano reale, che sverna nelle acque del bacino.

Valle dell’Ardo
Qui siamo proprio a due passi dal capoluogo, con accesso alla valle sempre dalla statale Agordina. Alla periferia di Belluno, subito dopo la caserma dei Vigili del Fuoco, si prende a destra seguendo le indicazioni.
La Valle dell’Ardo, in cui passeggiare a piacimento in base alla propria esperienza ed energia, solca profondamente il versante meridionale del gruppo della Schiara ed è chiusa a nord dalla cima omonima, la più alta del parco (2.565 m). La sua particolarità sono i frequenti tratti a forra, generati dal corso del torrente: spettacolari il Bus del Busón e il Pont de la Mortìs. La principale presenza arborea è data dalle faggete, ma non mancano il carpino nero e bianco, il pino mugo alle quote più elevate e, in special modo nella Val Rui Fret, l’abete bianco; nelle zone più profonde e ombreggiate abbonda invece il tasso. Tra i fiori si segnalano alcuni rari endemismi dolomitici come la primula tirolese, la coclearia alpina e la campanula morettiana. Ricca anche la fauna che include, fra le numerose specie, il merlo acquaiolo e i camosci, facili da scorgere anche a bassa quota.

PleinAir 412 – novembre 2006

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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