La Pompei della Tuscia

A pochi chilometri da Roma, la natura dell'Etruria meridionale e un paesaggio plasmato da antichi vulcani s'incontrano con la storia nella Riserva Regionale di Canale Monterano.

Indice dell'itinerario

E’ il 1799 quando le truppe francesi mettono a ferro e fuoco la storica Monterano: agli abitanti, già provati dalla miseria e dalla malaria, non rimane che abbandonare le macerie fumanti delle case per rifugiarsi nei vicini agglomerati di Montevirginio e Canale.
Oggi, grazie a una paziente opera di restauro intrapresa dal Comune, ai fondi messi a disposizione dall’Unione Europea e all’istituzione di una riserva naturale regionale, l’antica città sta rifiorendo. Liberate dalla vegetazione e ricomposte nelle parti crollate, le sue mura tornano a parlarci di un passato che, con alterne vicende, portò Monterano ad essere uno dei principali centri agricoli della Tuscia meridionale.
La tradizione vuole che il nucleo originario sia proprio un insediamento etrusco di nome Manturna, come testimonierebbero i resti delle numerose tombe rinvenute nei dintorni. Una fitta rete viaria lo collegava con la città egemone di Caere, l’attuale Cerveteri, e tra il VI e il V secolo a.C. gli permise di raggiungere il massimo sviluppo culturale ed economico. Poi Caere decadde, Roma sottomise gli Etruschi e anche Monterano progressivamente s’impoverì fino all’abbandono. Tornò a ripopolarsi nel Medioevo per la sua felice posizione arroccata, fu ampliata e fortificata durante l’invasione dei Longobardi e si alternò come feudo delle potenti casate dei Cybo, degli Anguillara e degli Orsini.
La sua vera rinascita, però, si deve molto più tardi a papa Clemente X, della famiglia degli Altieri, che nel 1671 ne prese possesso e avviò una profonda trasformazione urbanistica affidandola nientemeno che a Gianlorenzo Bernini. L’artista progettò la chiesa di San Bonaventura, l’annesso convento e la prospiciente fontana ottagonale, oggi in copia (l’originale si trova davanti al Municipio di Canale). Poi ridisegnò il palazzo feudale, unendo con un loggiato a sei arcate le due torri e costruendovi al di sotto la scenografica fontana del Leone (anch’essa una copia con originale all’interno dello stesso Municipio, mentre un quadro dell’insieme che fu lo offrono le belle vedute dipinte da Giuseppe Barberi e conservate nel Palazzo Altieri di Oriolo). In questo nuovo periodo di prosperità Monterano divenne famosa per i suoi prodotti agricoli e in particolare per l’Alicante, giudicato all’epoca uno dei migliori vini d’Italia.
La morte del Papa e la crisi dello Stato Pontificio portarono nuovamente a una lenta ma inesorabile decadenza, culminata appunto con la distruzione da parte delle truppe napoleoniche.

Oasi di storia e natura
Tutelate dalla riserva naturale che la Regione Lazio ha istituito nel 1988 e ampliato nel 1992, le rovine di Monterano ci appaiono tuttora imponenti, isolate su uno sperone tufaceo contornato dal fiume Mignone e dal suo affluente, il torrente Bicione. In migliaia di anni questi corsi d’acqua hanno inciso profondamente i sedimenti del sistema vulcanico dei Monti Sabatini, creando una serie di profonde forre che costituiscono un ambiente ricco di fascino, oltre che di biodiversità: vi crescono ad esempio varie specie di felci, tra cui le rare florida e lonchite minore (facilmente osservabili intorno alla cascata Diosilla) che sono veri e propri relitti di un clima più umido dell’attuale. Una particolarità della forra è il fenomeno dell’inversione termica, che si riflette nell’organizzazione vegetale: salendo con lo sguardo dal fondovalle si passa infatti dalle specie tipiche dei boschi “freschi” – carpini, aceri, noccioli e persino qualche esemplare di faggio (che nell’Italia centrale non scende quasi mai al di sotto degli 800 metri) – alle essenze che caratterizzano la macchia mediterranea. La riserva include anche zone di notevole interesse floristico, come i pascoli di Monte Angiano dove a primavera si distinguono fino a trenta specie di orchidee spontanee e alcuni rarissimi ibridi.
I vari sentieri segnati, tutti percorribili senza difficoltà a piedi, in bicicletta o a cavallo, permettono inoltre di apprezzare diverse specie animali che qui trovano un habitat favorevole. Non è raro incontrare la testuggine comune, ormai rara in natura; nei fontanili si può scorgere il tritone punteggiato, un anfibio che trova rifugio (come la più rara salamandrina dagli occhiali) tra il fogliame umido ed è un indicatore della qualità ecologica dell’area. Le scoscese pareti di tufo costituiscono un luogo ideale per la nidificazione dei rapaci: alzando gli occhi non ci sfuggirà l’abile volo di gheppi, poiane, bianconi e nibbi che perlustrano l’area in cerca di prede. I fitti boschi, poi, sono terreno di caccia per elusivi predatori come la martora, la faina, la volpe e il raro gatto selvatico, mentre bellissimi aculei bianchi e neri tradiscono qua e là il passaggio dell’istrice. Attualmente sono in corso studi per accertare se perfino il lupo usi sporadicamente il territorio della riserva come un corridoio naturale per i suoi trasferimenti nell’Appennino centrale. Anche lo sfruttamento della zona da parte dell’uomo ha creato habitat particolari per la vita animale: antiche miniere di zolfo oggi sono rifugio di varie specie di pipistrelli, mentre negli stagni delle vecchie cave di tufo della Mercareccia proliferano rettili, anfibi e insetti, in particolare splendile libellule.
All’incalzare del tempo resistono altre attività: accanto all’artigianato del cuoio, comune con la confinante regione tolfetana, permane l’allevamento brado delle vacche di razza maremmana. Si tramanda così lo stile di vita dei butteri, attentamente preservato da alcune associazioni di Canale Monterano e di Montevirginio.

A piedi nella riserva
Una precisa segnaletica a colori individua i tracciati escursionistici nell’area di Monterano. Ne ricordiamo brevemente alcuni che sono percorribili tutto l’anno, anche se in piena estate l’elevata temperatura e l’alto tasso di umidità possono renderli disagevoli. In ogni caso, prima di programmare un’escursione è bene rivolgersi all’ufficio della riserva dove, oltre alla carta dei sentieri aggiornata, si possono richiedere utili consigli sui percorsi da seguire nelle diverse stagioni.
Parcheggiato il camper a Canale Monterano, una stradina asfaltata in discesa (più adatta alle auto) conduce in dieci minuti all’ingresso più comodo della riserva, con piccolo parcheggio, da dove ha inizio il primo sentiero, forse il più rappresentativo e adatto a tutti.
Sentiero Natura Bicione Segnalato con paletti di colore rosso, è percorribile in circa 2 ore: inizia nei pressi della cascata Diosilla, proprio all’ingresso della riserva, e costeggia il torrente Bicione. Oltre alle citate rarissime felci, consente di osservare antiche cave di zolfo e diverse manifestazioni idrosulfuree, retaggio di una remota attività vulcanica; quindi sale tra la vegetazione alla rupe dell’antica Monterano, attraversa una spettacolare tagliata e sbuca davanti all’acquedotto medioevale, dove piega a sinistra fino al prato e ai ruderi del convento di San Bonaventura. Da qui, a vista, conduce tra i ruderi della città (visitabili anche con un altro breve anello, il Sentiero Natura Manturna che parte da Casale de’ Persi, indicato da paletti azzurri).
Sentiero Escursionistico Mignone-Monterano Di media difficoltà, segnalato con paletti di colore grigio, si snoda per 8 chilometri percorribili in circa 3 ore e può essere affrontato anche a cavallo o in mountain bike. Inizia in corrispondenza delle polle sulfuree sopra ricordate e costeggia il Bicione verso ovest. Inoltrandosi nella forra scavata dal torrente, l’itinerario consente di osservare l’azione erosiva e il fenomeno dell’inversione climatica attraverso le associazioni vegetali. Superato il ponte sul Mignone, si prosegue fino al facile guado del fosso del Rafanello per poi arrivare alla necropoli etrusca Ara del Tufo, con interessanti tombe risalenti al VII e VI secolo a.C. Qui, tra i pascoli, è tracciato un altro facile sentiero percorribile in circa 2 ore e segnalato con paletti di colore verde.
Sentiero Escursionistico Valle del Mignone Lungo 9 chilometri, di media difficoltà, è percorribile in 4 ore e anch’esso adatto a cavallo e bici. Indicato da paletti gialli, ha inizio dalle polle sulfuree, costeggia brevemente verso nord il fosso della Palombara e si inoltra nel bosco per poi arrivare alla sterrata di Casale de’ Persi. Continuando su quest’ultima strada giunge alla vecchia Mola della Cava, ora abbandonata, scendendo da qui nella valle del Mignone; poi guada il fiume e segue i paletti fino a ricongiungersi con il sentiero precedente (da ripercorre in senso inverso se si vuole tornare al punto di partenza).

PleinAir 381 – aprile 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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